
In che condizioni versava il Mezzogiorno preunitario?
La situazione era complessa, ma – a parte certe tare, come ad esempio, in relazione alla mafia – non è di arretratezza assoluta rispetto al Centro-Nord. La popolazione cresce a ritmi anche superiori che nel resto del paese. La riforma scolastica introdotta dal regime napoleonico viene mantenuta dai Borboni dopo la Restaurazione – pur con un arretramento della scuola pubblica rispetto a quella privata – ma non si fa il salto di qualità compiuto prima dal Lombardo-Veneto con l’introduzione dell’obbligatorietà di due anni di istruzione elementare e poi dal Regno di Sardegna alla vigilia dell’Unità. Il sistema produttivo ha vari punti di forza, anche se l’agricoltura mostra la piaga del latifondo.
L’Unità ha nuociuto al Mezzogiorno?
La questione è molto complessa e il giudizio degli storici non è concorde. Secondo alcuni l’accrescersi delle distanze tra Sud e Centro-Nord è attribuibile ad una visione ‘piagnona’, che pone l’accento esclusivamente – o principalmente – sulle anomalie del Sud, i fattori di discontinuità e sui fattori intervenuti proprio a causa dell’unificazione, trascurando i grandi vantaggi che ne sono derivati. Altri pongono, invece, in rilievo gli effetti negativi delle politiche comuni adottate dallo stato unitario – come quella tariffaria – e del drenaggio del capitale meridionale verso il Nord. Ciò che si può forse dire è che le indubbie tare preesistenti al Sud non hanno resistito all’impatto delle politiche unitarie, in assenza di politiche specifiche per il Mezzogiorno.
Quale evoluzione caratterizzò la popolazione e l’economia meridionali fino alla Grande Guerra?
L’età media della popolazione aumenta, per la riduzione sia della natalità che della mortalità, ma anche per effetto dell’emigrazione, che caratterizza anche il Centro-Nord, ma in misura via via inferiore a partire dall’inizio del Novecento. Essa è alimentata nel Mezzogiorno anche dalla lottizzazione delle proprietà ecclesiastiche, spesso in appezzamenti incapaci di assicurare la sussistenza di una famiglia, che vengono venduti, per sostenere le spese di viaggio. L’emigrazione costituisce un elemento innovativo sul piano economico, che migliora le condizioni di vita e la dieta delle persone rimaste in patria.
Il reddito medio dell’intera circoscrizione rimane comparativamente elevato rispetto al Centro-Nord per alcuni decenni, ma un divario comincia a manifestarsi a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento. Le cause della caduta del reddito sono molteplici, a partire dal brigantaggio e dall’introduzione della tariffa doganale piemontese, che causa difficoltà per l’industria e la successiva creazione di posizioni di rendita per l’agricoltura latifondistica. La povertà e la diseguaglianza, inizialmente più basse al Sud, con il passare del tempo si accrescono.
Quali interventi adottò per il Mezzogiorno il fascismo?
L’istruzione migliora in questo periodo, al Sud come nel resto del paese, ma il tasso di analfabetismo resta molto più elevato che al Centro-Nord. Il calo del Sud è rilevante, ma nei decenni precedenti vi erano state riduzioni maggiormente consistenti.
Non sono pochi i provvedimenti del regime in materia di politiche sociali e sanitarie, ma quasi tutti sono in diretta continuità con politiche o progetti di epoca liberale. Il regime non fa altro che portare avanti provvidenze già esistenti dal secolo precedente. Fra il 1933 ed il 1935 vengono istituiti: l’Istituto nazionale fascista della previdenza sociale (INFPS), che sostituisce la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali istituita nel 1919 e gestisce le assicurazioni obbligatorie per invalidità e vecchiaia, disoccupazione, maternità ed assegni familiari e poi l’assicurazione contro la TBC; l’Istituto nazionale fascista per la assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro (INFAIL), che è la trasformazione della Cassa nazionale infortuni, istituita nel 1883 come assicurazione facoltativa, poi diventata obbligatoria nel 1898. Dunque, INFAIL e INFPS sono l’estensione e l’applicazione in ambito previdenziale di istituti simili costituiti alla fine dell’Ottocento o prima dell’avvento del fascismo. Soltanto nel gennaio 1943, a pochi mesi dalla caduta del regime, viene infine costituito il terzo Ente fondamentale dello stato sociale creato dal fascismo, denominato Ente mutualità fascista-Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori, trasformato poi dall’Italia repubblicana in Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie (INAM).
Può tuttavia affermarsi che il grado di igiene e sanità esistente al Sud resta sicuramente ancora molto basso anche in questo periodo.
Il regime intraprende alcune iniziative, come: a) la ‘battaglia del grano’ del 1925; b) la bonifica integrale, attuata a partire dagli anni Venti nell’Agro Pontino e poi, alla fine del decennio successivo, in Puglia, Sicilia e Campania; c) l’espropriazione del latifondo e delle grandi proprietà di terreni che sono spesso incolti ed improduttivi, oppure sono coltivati a grano o lasciati a pascolo e danno luogo solo a rendite parassitarie. L‘espropriazione apporta buoni risultati nel Centro Italia ed in Puglia, ma ha minor successo in Sicilia. Negli ultimi anni Trenta un insieme di fattori riduce l’importanza relativa del potere degli agrari, che non avevano assecondato le modernizzazioni introdotte dal regime. Essi sono soprattutto la concentrazione industriale e finanziaria derivante dallo sviluppo dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), creato nel 1933, e la necessità di potenziare l’industria bellica.
Come si sono evolute le politiche per il Mezzogiorno nell’Italia repubblicana?
Nel 1950 si hanno le prime vere politiche meridionaliste. Si tratta di politiche tendenti ad agire sull’offerta di beni, con riforme che mirano ad influire sul regime di conduzione dell’agricoltura e con opere infrastrutturali e investimenti nell’industria. Successivamente, dagli anni Ottanta, le politiche tendono ad influire sulla domanda, con il sostegno dei redditi familiari, attraverso lo stato sociale.
Le politiche dell’offerta si possono far iniziare dalla riforma agraria, con due provvedimenti, la legge ‘Sila’, per la Calabria, del maggio 1950, alla quale segue nell’ottobre 1950 la ‘legge stralcio’, per molti territori, dal Delta padano alla Maremma, a tutto il Meridione, eccetto la Sicilia, che adotta un suo provvedimento nel dicembre dello stesso anno. Queste misure tendono a favorire la formazione della piccola proprietà contadina, l’esproprio e la distribuzione a contadini di terreni di proprietà privata.
Con la legge 10 agosto 1950 n. 646 viene poi istituita la Cassa per il Mezzogiorno, per realizzare un piano decennale di opere straordinarie finanziate da un fondo di mille miliardi di lire, in aggiunta agli interventi dell’amministrazione ordinaria. All’inizio vengono promossi interventi infrastrutturali, poi dal 1957 investimenti nell’industria pesante, che risultano funzionali anche alle industrie alla base del miracolo economico, industria tessile, meccanica e automobilistica, che si sviluppano intorno alla fine degli anni Sessanta anche al Sud per l’azione delle PP.SS. o anche di aziende private. Miglioramenti si hanno anche nelle disponibilità sanitarie. Dopo un’iniziale discesa, dal 1954 al 1961, della disponibilità di posti letto per abitante da 4,3 a 4,0, questa risale a 6,2 nel 1971 e poi salirà ancora nei decenni successivi, contro una disponibilità certamente maggiore al Centro-Nord (rispettivamente 9,1, 7,5 e 9,4).
Alla convergenza del Mezzogiorno nei primi due decenni successivi al 1949 segue un ritorno alla divergenza iniziale o un approfondimento di essa, a seconda degli anni e degli accadimenti esterni, nonché delle politiche pubbliche. Infatti, le cause vanno ricercate nel mutato quadro internazionale e nel cambiamento delle politiche per il Mezzogiorno. Dal primo punto di vista, le crisi petrolifere che si succedono a partire dai primi anni Settanta pongono problemi per le produzioni ad elevato consumo di energia, che costituiscono l’ossatura dell’industria meridionale. Dal secondo punto di vista, negli anni Settanta inizia un periodo nel quale si adottano le prime politiche di tipo diverso da quello che aveva caratterizzato il periodo iniziale. Le politiche dell’offerta lasciano il posto a quelle nelle quali è la domanda ad essere privilegiata, in particolare con le spese per la sicurezza sociale ed altre che configurano un’economia ‘sussidiata’ o ‘assistita’, invece che ‘produttiva’, destinando di più alle pensioni che all’istruzione e al progresso tecnico.
Che cosa non ha funzionato nelle politiche per il Mezzogiorno?
Considerando il punto precedente, è naturale quindi che agli effetti iniziali favorevoli delle politiche sulla convergenza seguano effetti perversi, innescati da meccanismi clientelari che attivano uno scambio politico tra centro e periferia, che prevede consenso politico in cambio di redistribuzione di risorse senza valutazione e controllo efficace del loro uso.
Quali interventi sarebbero, a Suo avviso, necessari per concorrere allo sviluppo del Mezzogiorno?
Esempi di eccellenza esistono al Sud – come l’Università di Napoli Federico II, che ha presentato numerosi progetti di ricerca ben finanziati e dal 2016 collabora a Napoli con la Apple, avendo costituito una Developers Academy (‘la seconda al mondo dopo la sede di Cupertino in California’) dove vengono formati sviluppatori di app – e l’Università della Calabria, che collabora con un distretto industriale e una grande impresa giapponese, con uno dei suoi tre centri di ricerca a livello mondiale. Infine, nel distretto aerospaziale pugliese tra Bari e Lecce operano circa trenta aziende con circa 6.000 addetti.
Queste realtà vanno potenziate e allargate. In aggiunta, accanto alle iniziative industriali pubbliche sono soprattutto la media e piccola impresa che vanno stimolate, anche partendo da realtà di carattere artigianale esistenti nel passato (arte della ceramica, del rame e del ferro battuto) e dai fattori naturali e artistici favorevoli al turismo. Quanto alle iniziative industriali stimolate dagli enti pubblici, vanno assicurate quelle di rilievo, senza che le imprese siano inondate di sussidi, che potrebbero finire alla criminalità o alle imprese meno efficienti, e a questo fine richiedendo sempre opportuni consuntivi dell’azione svolta.
È peraltro necessario che lo stato garantisca – qui come altrove, ma al Sud in particolar modo, date le carenze ben note – le infrastrutture necessarie e, soprattutto, l’assoluto rispetto della legalità, che va considerata come la principale infrastruttura, anche se di carattere immateriale.
Nicola Acocella è professore emerito di Politica economica alla Sapienza Università di Roma