“Il metodo geniale” di Giulio Deangeli

Il metodo geniale, Giulio DeangeliIl metodo geniale. I segreti del cervello per apprendere velocemente e amare lo studio
di Giulio Deangeli
Mondadori

Giulio Deangeli è noto per essere il primo studente d’Italia ad aver portato a termine cinque percorsi universitari in parallelo con la media del 30. Un’impresa straordinaria, eppure, come lui stesso ammette, «quel risultato non è dipeso da qualche superpotere esclusivo, bensì ha trovato solide fondamenta di natura metodologica. In retrospettiva, mi accorgo solo ora di quanto la conoscenza del nostro cervello e della nostra memoria abbiano dato i loro frutti, conferendomi un dono che fu precluso alla maggior parte dei miei compagni: la conoscenza di me stesso. Se mai ho avuto qualche superpotere, sono state le neuroscienze a conferirmelo.»

Ecco i suoi suggerimenti per riuscire nello studio: «Studiare ci risulta così difficile per il semplice motivo che l’essere umano non si è evoluto per quest’attività, ma per tutt’altro. Lo studio non ha giocato il minimo ruolo nella nostra evoluzione, e la nostra facoltà di astrarre, elaborare, edificare oggetti nell’iperuranio platonico non è che uno scherzo della natura. In una prospettiva biologica, non c’è niente di «naturale» nello studio. Motivo per cui tutti noi esseri umani, di natura, siamo assolutamente inetti in quest’attività, vittime delle numerose trappole predisposte dal nostro stesso cervello. Molti degli approcci allo studio che ci risultano più spontanei e intuitivi si rivelano fallaci sul lungo periodo, e soltanto l’attenta indagine neuroscientifica è stata in grado di evidenziare le metodiche e gli accorgimenti specifici che rendono possibile ottimizzare l’apprendimento. Queste tecniche agiscono riprogrammando le attività o le informazioni da studiare in una forma diversa, assolutamente non spontanea o intuitiva, ma capace di sfruttare quelle specifiche funzioni del nostro cervello che – diversamente dal ragionamento concettuale – hanno avuto un’elevata priorità sulla scala evoluzionistica, e in quanto tali ci risultano «naturali». Rigirare la frittata, cioè convertire un’attività per la quale siamo ontologicamente maldestri verso una modalità di memorizzazione a cui il nostro cervello è naturalmente portato a seguito di millenni di evoluzione.

Le evidenze sono chiarissime nel dimostrare che gli studenti non addestrati al metodo di studio quasi sempre optano per approcci di efficacia assai scarsa, in virtù stessa della formidabile controintuitività di quei pochi metodi che rientrano nelle corde del nostro cervello. Per esempio, molto diffusa è la convinzione che la memoria sia una sorta di videoregistratore, per cui più ci esponiamo a un certo materiale, più saldamente questo verrà registrato. Magari le cose fossero così semplici! Su questa lunghezza d’onda, le statistiche confermano che il metodo di studio più diffuso nella popolazione studentesca risulta essere la rilettura ripetuta del libro di testo. Uno schiaffo violento sul volto della scienza, che dimostra non solo l’esistenza di un vasto repertorio di metodi dall’efficacia enormemente superiore, ma addirittura che in taluni casi il numero di riletture non influenza affatto la performance mnemonica. Sono molti gli esperimenti in cui si è osservato che gli studenti che leggevano un determinato brano una volta e coloro che lo leggevano svariate volte a un successivo esame performavano in maniera indistinguibile, malgrado la rilettura desse loro lo «zuccherino», la falsa convinzione di aver memorizzato meglio.

Altra meravigliosa frottola, sempre diffusissima, è la teoria dei famosi learning styles, per cui ognuno di noi sarebbe portato ad apprendere con efficienza marcatamente superiore in una specifica modalità: visiva, testuale, uditiva, o altre. Suona così naturale e credibile, peccato solo che questa teoria riscuota ben poco supporto dalla psicologia sperimentale, e anzi è stata ripetutamente smontata.

Un terzo e ultimo esempio di misconception è la nostra connaturata tendenza a concludere che il non-ricordare un’informazione sia automaticamente da ascrivere a un fallimento della memorizzazione. Ma ancora una volta, nel nostro cervello niente è come sembra. Molto spesso l’informazione è saldamente presente nella nostra testa; quello che fallisce è il nostro accesso a essa, ossia il cosiddetto retrieval. Quando il retrieval fallisce, non ha la minima importanza che ripassiamo il dato così com’è, giacché pioverebbe soltanto sul bagnato. Quello che serve quando il retrieval fallisce non è dunque un’esposizione reiterata al materiale, ma un esercizio di diversa natura, del tutto controintuitivo, che prende il nome di pratica di retrieval.

In tutta questa vicenda di «studenti mal-studianti», ben poca colpa si può imputare direttamente a costoro. Perché questa realtà è figlia dello stesso crimine che accomuna la scuola e l’accademia di tutto il mondo: l’assioma fondante per cui uno studente motivato sia automaticamente abile a studiare, e allo stesso modo un insegnante appassionato sia automaticamente abile a insegnare. Teoria che purtroppo non è vera! Anzi, quel poco di metodo di studio che viene insegnato nelle scuole molto spesso è l’esatto opposto di quanto suggerito dalle neuroscienze. Scrivendo s’impara, dice il maestro occhialuto del secolo scorso, certo! Ma con un’efficienza assolutamente disastrosa, fintantoché non si adottano gli opportuni artifizi. E il serpente tentatore alla radice di questo peccato originale non è che la tirannia dell’inerzia, la nostra inguaribile affezione per cui la risposta alla domanda «perché si fa così?» sarà immancabilmente «ovvio, perché si è sempre fatto così».

Questo libro nasce con una missione. Realizzare un distillato delle conoscenze neuroscientifiche necessarie a orientare in modo corretto l’ottica con cui avvicinarsi allo studio, per eradicare la tendenza patologica sopra descritta. Così facendo, realizzare una «pillola» di quei superpoteri che hanno sospinto le vele del mio personale percorso, perché chiunque può essere un super-studente: è una questione di metodo, non di magia! Non diventeremo tutti scienziati dell’apprendimento, learning scientists, ma tutti possiamo essere studiosi voraci di conoscenza, scientists learning.

Fin da bambino, sono sempre stato un creativo e uno sperimentatore, sapete, di quelli che una ne fanno e cento ne pensano. Questa mia cifra si è rivelata una risorsa preziosa in fatto di studio. Per tutti questi anni sono stato la mia personale cavia d’innumerevoli metodi, li ho letteralmente provati tutti, e i carissimi amici e colleghi che mi hanno accompagnato in questo cammino mi saranno testimoni di quanto sto affermando. Né mai ho nutrito il benché minimo imbarazzo nell’ideare e applicare i metodi più strampalati e anticonvenzionali, tanto è profondo l’amore che provo verso la conoscenza, il sapere, e in definitiva la vita. Indimenticabile quella volta che provai a farmi legare alla sedia per tutta la notte onde non potermi distrarre: che dire… «volli, e volli sempre, e fortissimamente volli». Nel mio paradigma studiare dev’essere in primissima istanza un’esperienza estetica, una ricerca dell’armonia, una superba presa di consapevolezza dell’eleganza cosmica che avvolge il mondo.

Conoscere i grandi principi neuroscientifici è imprescindibile, ma lo scopo ultimo è amare la cultura, nella misura in cui ci rende esseri consapevoli del funzionamento del mondo intorno a noi. Non annoiatevi mai, cari lettori. Imparate a giocare con lo studio, collaudate combinazioni nuove, sperimentate un metodo diverso per ogni materia, cesellato e tornito per adattarsi alle specificità di ognuna. Create, variate, fate vostro quanto vi racconterò in questo libro, e non permettete a nessuno di limitare il vostro repertorio con gli scudi della tradizione, o dell’inerzia.

D’altra parte, se venissi chiamato a delineare il principio ultimo, il sacramento più nucleare e fondante del metodo, che d’ora in poi indicheremo come il «teorema fondamentale del metodo di studio», sarebbe presto detto: tutti i metodi passivi sono (in generale) meno efficaci di quelli attivi, i quali a loro volta sono (in generale) meno efficaci di quelli creativi. Un metodo è passivo ogni volta che non ci chiama in causa, e non prevede alcuna forma di output da parte nostra: leggere senza prendere appunti, guardare una lezione, ascoltare un discorso senza fare altro. Viceversa, un metodo attivo è caratterizzato da un’azione concreta da parte nostra, come può essere sottolineare, evidenziare, parlare, prendere appunti scritti. Infine, l’empireo del teorema fondamentale è il metodo creativo: ogni volta che siamo obbligati a mettere farina del nostro sacco, elaborare le informazioni e partorire un risultato originale. Scopriremo insieme molto presto quanto questo teorema sia avvalorato da una costellazione di solide evidenze sperimentali.»

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