
Significa essere uno degli attori protagonisti dei processi democratici della nostra società, significa essere responsabili – insieme alla politica, alla burocrazia, ai media e alla società civile – del ‘fare leggi’ nel modo più inclusivo e allo stesso tempo più efficace. In un contesto politico dove negli ultimi anni sono venute meno le ideologie, le tradizioni e le prassi dei grandi partiti popolari che, nel bene e ne male, guidavano l’agenda legislativa di Governi e Parlamenti, tale responsabilità è diventata ancora più grande. In un periodo in cui in politica vince il pragmatismo, l’agenda delle cose da fare e i suggerimenti per come farle che i lobbisti portano all’attenzione delle istituzioni diventano spesso decisivi. E se è un diritto per qualsiasi interesse proporre la sua agenda e le sue soluzioni, non dobbiamo dimenticarci che ne deriva anche una grande responsabilità. Facile per un grande amante e collezionista di fumetti come me citare Spider Man e il suo motto “da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Insomma, essere lobbisti significa prendersi cura responsabilmente del modo in cui in democrazia si fanno le leggi.
Cos’è e dove si annida il potere nelle nostre democrazie?
Ci sono ovviamente molte forme di potere; nel mio libro parlo principalmente di quello legislativo che si occupa di fare le leggi. Ne parlo con un certo disincanto e cercando di spiegare al lettore quali sono i meccanismi, i protagonisti e i trucchi con cui questo potere si muove, esercita la sua forza o maschera la sue debolezze (che sono molte, forse troppe). Racconto di come il potere sia un continuo movimento tra ‘camera‘, cioè il luogo dei ministri, dei parlamentari, insomma dei decisori istituzionali e ‘anticamera‘ dove invece siedono i burocrati, i consiglieri, i ‘saggi’, i lobbisti. Se i primi devono decidere, i secondi forniscono informazioni, scenari, ‘spin’ e poi eseguono, scrivono leggi, le rendono effettive. Beh, alcune volte questa ‘anticamera’ diventa più importante e decisiva della camera, soprattutto quando la politica perde di competenza ed esperienza.
In cosa consiste il lavoro di un lobbista?
Il lobbista promuove uno specifico interesse, che sia economico o sociale poco importa. Lo presenta ai decisori istituzionali e ne segue i percorsi legislativi. In estrema sintesi cerca di condurre un interesse in un testo di legge che lo protegga o valorizzi. Qui dobbiamo uscire dai pregiudizi. Il primo: non esiste legge che non sia frutto del lavoro lobbistico degli interessi. Quindi se è vero, come può essere vero, che una legge sia scritta male per colpa delle lobby, è anche vero che molte leggi sono scritte bene per merito delle lobby. Il secondo: non esistono interessi buoni o cattivi. In una democrazia tutti gli interessi (legali) hanno diritto di essere rappresentati (e la responsabilità di rappresentarsi con trasparenza e onestà intellettuale). I molti che esprimono pregiudizi nei confronti delle lobby sono poi quelli che beneficiano della nuova legislazione sul terzo settore, dei nuovi fondi per i farmaci oncologici o per i caregiver; delle nuove legislazioni sui risparmi energetici o sulla salvaguardia dell’ambiente e così via.
Come si diventa lobbisti?
Il lobbista è una professione come tante altre. Oggi ci sono corsi di formazione ad hoc e percorsi di carriera paragonabili a qualsiasi altra professione manageriale o consulenziale. Certo serve tanta sensibilità verso la politica, le sue logiche e verso le sue prassi visibili e invisibili. Così come serve tanta esperienza dei processi aziendali, delle ragioni che li muovono e degli obiettivi che perseguono. Come tutti i lavori ‘artigianali’ l’esperienza conta moltissimo. S’impara sul campo. Qualcuno potrebbe dirci che si diventa lobbisti perché ‘parenti di qualche potente politico’ o perché si è un ‘ex politico’. È falso. Dei grandi lobbisti di questo Paese non ce ne è uno che abbia questo tipo di curriculum.
Quanto conta l’anticamera del potere nel mestiere di un lobbista?
Come detto prima senza l’anticamera che crea e filtra informazioni per chi deve decidere non ci sarebbe nemmeno il potere. Camera e anticamera sono in un rapporto dialettico e strategico. Non è data l’una senza l’altra. Noi lobbisti abitiamo l’anticamera, è lì dove competiamo con gli altri lobbisti, con gli altri suggeritori dei potenti. È la nostra arena competitiva. Cito Carl Schmitt, a cui si deve, ne Il dialogo sul potere, la definizione di camera e anticamera: «Quanto più il potere si concentra in un determinato punto, in un determinato uomo o gruppo di uomini come in un vertice, tanto più si acuiscono il problema del corridoio e la questione dell’accesso al vertice. E tanto più violenta, accanita e sotterranea diventa anche la lotta tra coloro che occupano l’anticamera e occupano il corridoio».
Nel Suo libro, Lei parla anche di teoria del complotto. Quando parliamo di lobby, specie nel nostro Paese, il pensiero corre alla P2, alla massoneria o consorterie simili: in che modo la trasparenza può distinguere il mestiere di lobbista?
Parlo di teoria del complotto in modo ironico citando Eco «gli dei sono stati abbandonati ma il loro posto è occupato da uomini o gruppi potenti – sinistri gruppi di pressione la cui perversità è responsabile di tutti i mali di cui soffriamo». Se abbiamo bisogno di alibi per spiegare le nostre deficienze ecco i lobbisti, le sette segrete, le consorterie. Ma fare il lobbista non ha nulla a che fare con questo. Almeno per quanto riguarda il lobbista legislativo. Altro discorso è per chi con lo Stato vuole o deve fare affari.
Regolamentare le lobby: è necessario?
La risposta è articolata. Certamente sarebbe importante avere un legge che regolamenti meglio la nostra attività, senza dimenticare che già oggi ci sono varie forse istituzionalizzate di coinvolgimento degli interessi particolari nei processi legislativi: penso alle audizioni parlamentari, ai tavoli tecnici nei ministeri, all’analisi di impatto regolatorio che ogni legge dovrebbe fare ascoltando i portatori di interesse. Quindi non nascondiamoci dietro un dito: la lobby è già prevista nei nostri processi legislativi. Ecco sarebbe necessario, davvero necessario, mettere da parte visioni stereotipate e comodi pregiudizi per riconoscersi come responsabili di una legge e lavorare, tutti, in modo più professionale. Mia personale visione: si può essere professionisti responsabili anche senza una legge che ce ne indichi le modalità.
Quale può essere il valore del lobbismo per una democrazia?
Il lobbismo è parte del processo democratico di fare leggi. Volenti o nolenti è così. È una dinamica di fondo che non può essere modificata perché incastrata nel Dna del potere legislativo. Un lobbismo professionale rende migliore la democrazia. Banalmente, tutto qui.