
Per ciò che concerne Venezia e la penisola più in generale, un fattore determinate nell’alimentare la formazione di un mercato della notizia sono proprio le urgenze del presente. L’ansia collettiva generata dall’esplodere delle guerre d’Italia (1494-1559) e la costante minaccia rappresentata dai Turchi nel Mediterraneo generano nella popolazione un diffuso desiderio di essere informati. L’incessante rovesciamento di alleanze, i saccheggi e le battaglie sanguinose che caratterizzano il crinale tra fine Quattrocento e l’inizio del secolo successivo determinano il diffondersi di una coscienza condivisa di vivere una crisi epocale. La risposta a questa esigenza collettiva è rappresentata da una produzione a stampa copiosa, economica ed effimera, composta da brevi opuscoli, libretti e fogli volanti, realizzati rapidamente da tipografi intraprendenti e venduti nelle piazze e nei mercati per la modica cifra di un soldo o un bagattino.
Quale ricezione offre, a tale produzione, il pubblico di ascoltatori, lettori e consumatori?
È chiaro che a Venezia in questo periodo si afferma un vasto pubblico di consumatori di notizie e informazioni. Mercanti, artigiani e popolani erano da tempo abituati ad ascoltare le notizie attraverso la circolazione orale – voci che circolavano per le strade, i mercati e le piazze, spesso portate in città da viaggiatori o marinai, per esempio, ma anche da cantastorie itineranti che trasmettevano notizie d’attualità impiegando canzoni e musica. Le élite e le persone più istruite avevano accesso all’informazione anche attraverso canali più riservati ed esclusivi: ad esempio le lettere che umanisti o diplomatici ricevevano dai loro contatti sparsi ovunque, oppure gli avvisi manoscritti che circolavano tra gruppi selezionati ed erano prodotti da veri professionisti della notizia. Ma ciò che cambia davvero a partire dalla fine del XV secolo è che le notizie iniziano a essere diffuse anche tramite il medium tipografico, spesso in formati piccoli ed economici che le rendevano accessibili a un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo. Un pubblico che andava oltre la minoranza alfabetizzata, perché la parola scritta e stampata continuava a operare in sinergia con quella parlata e cantata. Le informazioni veicolate dalla stampa venivano infatti vendute per strada, ma anche declamate o cantate ad alta voce, in modo da raggiungere un pubblico molto più esteso di quello che poteva permettersi di pagare il pur modico prezzo dell’opuscolo e che sapeva leggerlo.
La gente consumava queste notizie perché voleva essere informata sugli eventi che si svolgevano al di fuori della propria città, ma anche perché quei medesimi resoconti potevano essere fonte di divertimento o paura, suscitare sentimenti di orrore o stupore. Gli stessi cantimbanchi che diffondevano le breaking news di una sconfitta o di una vittoria militare potevano anche essere autori o esecutori di fantasiosi romanzi cavallereschi in ottave. Le modalità di racconto della realtà storica si sovrapponevano spesso a quelle della finzione letteraria. Allo stesso tempo, gli stampatori pubblicizzavano sempre più spesso i loro prodotti come aggiornati o accurati (anche se spesso ciò non era vero), mentre da parte del pubblico possiamo notare una maggiore attenzione alla ricerca dell’autenticità delle notizie che si trovavano in circolazione, e una crescente divergenza tra le forme editoriali che erano viste come più autorevoli e quelle che venivano acquistate come fonte d’intrattenimento. Se volessimo fare un parallelismo con il presente, si tratta di un meccanismo che ricorda un po’ la distinzione tra i giornali e i tabloid scandalistici. In questo senso, se le notizie vere sono una merce preziosa, anche quelle false, inverosimili o sensazionali sono altrettanto ricercate.
Che ruolo svolge, in questo ambito, Venezia?
Venezia è un caso di studio illuminante nel contesto della nascita di un mercato dell’informazione pubblica. Le ragioni sono molte. In primo luogo, perché già nel XV secolo la città lagunare si era affermata come uno dei principali “centri di informazione e comunicazione” dell’Europa e del Mediterraneo, secondo le parole dello storico Peter Burke. Innanzitutto, per motivi geo-politici: si trattava infatti di uno dei più importanti porti di transito e di commercio tra l’Oriente e l’Occidente, oltre che della capitale di un vasto impero. Quando poi, intorno al 1470, arrivarono i primi torchi, Venezia divenne rapidamente anche il più grande centro tipografico d’Europa, posizione che mantenne saldamente almeno fino alla metà del XVI secolo (primato che passò ad Amsterdam nel Seicento e poi a Londra nel Settecento), tanto che Erasmo da Rotterdam, nei Colloquia (1522), si lamentava che nella città lagunare fosse ormai più facile improvvisarsi tipografi che non panettieri. Gli stampatori ed editori operativi in Laguna attinsero quindi a una cultura dell’informazione esistente in città e divennero pionieri nella produzione di molti tipi di notizie stampate.
Oltre che un nevralgico snodo politico-commerciale nel Mediterraneo e una capitale dell’editoria europea, Venezia era anche una città con una tradizione molto vivace e radicata nell’ambito dello spettacolo di strada e dell’intrattenimento. Ciarlatani, intrattenitori itineranti e canterini vi affluivano con regolarità da ogni dove per approfittare di un pubblico ampio e diversificato che si riuniva soprattutto nei maggiori spazi pubblici urbani, come Piazza San Marco o l’area attorno al mercato e al ponte di Rialto. C’era quindi un’interazione straordinariamente ricca e creativa tra la parola stampata e le varie forme di comunicazione orale, che facilitava ancora una volta la circolazione di informazioni tra un pubblico ampio e variegato in modalità diverse.
In che modo il mercato dell’informazione pubblica del primo Cinquecento manifesta fenomeni che rimandano a dinamiche del mondo della comunicazione contemporaneo?
La varietà del mercato dell’informazione pubblica che caratterizza la Venezia del primo Cinquecento, è caratterizzato dalla presenza di fenomeni che rimandano a dinamiche comunicative che sembrerebbero proprie dell’epoca digitale. Solo per menzionarne alcune: la presenza di fake news, la propaganda, la rivendicazione della veridicità della notizia, la nascita del sensazionalismo, ma anche la multimedialità e l’interazione di strumenti comunicativi.
Le fake news, ad esempio, non sono certo un fenomeno originale della società contemporanea, ma hanno una lunga storia. Notizie false o manipolate si diffondevano in passato tramite voci, rumori o manoscritti, ma è il torchio tipografico il mezzo che ne accelera e amplia la circolazione nel tempo e nello spazio. Ed è a partire dalla fine del XV secolo che la stampa viene impiegata con sempre maggiore frequenza come strumento di propaganda o di disinformazione per ottenere vantaggi politici e destabilizzare gli avversari.
Per ciò che concerne il fenomeno dell’intermedialità. Come si è già accennato, le notizie -vere o false che fossero- circolavano in forma scritta o stampata, ma anche oralmente; impiegavano abbondantemente le immagini, ma anche suoni e musiche per rafforzare la circolazione tra un pubblico più ampio. Attraverso le stampe effimere che sono giunte fino a noi, si svelano dunque il carattere multimediale e la sovrapposizione di linguaggi diversi che caratterizzano il sistema mediatico e il mondo dell’informazione della prima età moderna, a Venezia ma anche altrove.
Massimo Rospocher è ricercatore presso l’Istituto storico italo-germanico della Fondazione Bruno Kessler a Trento. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Oltre la sfera pubblica. Lo spazio della politica nell’Europa moderna (2013) e Il papa guerriero. Giulio II nello spazio pubblico europeo (2015) per i tipi del Mulino.
Rosa Salzberg è professoressa associata all’Università di Trento; si occupa di storia sociale e culturale. Tra i suoi libri recenti, Ephemeral City. Cheap Print and Urban Culture in Renaissance Venice (Manchester University Press 2014).