
Proprio per questo, anche nell’ultima (la quinta) edizione del nostro manuale “Il matrimonio canonico” (Giuffré, Milano, 2017) non abbiamo rinunciato a tracciare, nel Capo primo, dedicato all’illustrazione dei principi generali, un sia pur breve itinerario temporale delle fonti magisteriali ispiratrici della normativa che regola l’istituto.
Gli stessi atti pontifici che introducono le ultime innovazioni sull’ ‘istituto’ matrimoniale null’altro rappresentano se non le più attuali risultanze di un vero e proprio work in progress, ossia di un progrediente processo di specificazione ed attualizzazione (o, se si preferisce, di ‘decantazione’) del c. d. depositum fidei, sublimato dalla dinamica della tradizione ecclesiale in tema di matrimonio e di famiglia. In un certo senso, la ‘svolta’ magisteriale concretizzatasi nell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia di Papa Francesco non è, come alcuni vorrebbero, una ‘rottura’ rispetto a quella tradizione, bensì l’ultimo stadio di quel processo di interpretazione dei ‘segni dei tempi’, esplicitato a livello dei principi dal Vaticano II, soprattutto con la Costituzione Dei Verbum e con il Decreto Ad Gentes, ma che sempre la storia della Chiesa ha conosciuto.
Per quanto può qui interessare, la stessa codificazione canonica delle regole matrimoniali e familiari, nella prima versione del 1917, trova la sua fonte ispiratrice nell’Enciclica Arcanum divinae sapientiae, con cui Leone XIII prende atto della circostanza che ormai la visione della Chiesa in materia non è più rispecchiata nei codici delle nazioni pur definite ‘cattolicissime’, e quindi abbisogna di una propria evoluzione normativa. Una evoluzione che, nonostante la costanza dei dettami codiciali all’epoca vigenti, registra, ancor prima dell’avvento del Vaticano II, importanti sviluppi, come quelli segnati dalla Casti connubii di Pio XI o dalla Mystici corporis e dai discorsi di Pio XII, a proposito, rispettivamente, del matrimonio da intendere non solo come atto ma anche come rapporto, o della ministerialità dei coniugi nella celebrazione del sacramento nuziale, nonché dell’ ‘umanità’ e della responsabilità da cui devono risultare permeati gli atti generativi della prole.
Un avanzamento ulteriore del magistero si è registrato con il Vaticano II, in particolare con le Costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes, i cui principi sono stati progressivamente svolti dagli atti posti in essere da Paolo VI e da Giovanni Paolo II, ed hanno trovato un primo parziale riflesso nella normativa codiciale di seconda generazione tra il 1983 (Codex iuris canonici) ed il 1990 (Codex canonum ecclesiarum orientalium). Con queste codificazioni si è, fra l’altro, operato un superamento della gerarchia dei fini e della visione ‘giuscorporalista’ del matrimonio; si è dato il giusto rilievo al c. d. bonum coniugum, aprendo ad una prospettiva personalista; si è richiesta una più convinta adesione da parte dei nubendi a tutto ciò che comporta la sacramentalità del matrimonio e si è esigita, come requisito previo alla validità delle nozze, una loro adeguata idoneità all’adempimento degli oneri coniugali.
Al conseguimento di detti obiettivi non ha mancato di offrire un notevole contributo anche la giurisprudenza rotale.
Tuttavia, la normativa dei Codici appena richiamati non sempre ha compiutamente svolto i principi sanciti in materia dal Vaticano II o il modello preconizzato, oltre che da Lumen gentium, 11, dallo stesso Giovanni Paolo II nella Familiaris consortium, a proposito della famiglia come “Chiesa domestica” e quindi come la via maestra (la “via della Chiesa”: Lettera alle famiglie, 2 e 16) per cogliere la impreteribile, biunivoca reciprocità – quasi una sorta di mutuo rispecchiamento – tra la famiglia e la chiesa.
Lungo questa direttrice, un’ulteriore tappa nell’incessante e sempre progrediente cammino dell’evangelizzazione, ossia dell’incarnazione della buona novella nella realtà e cultura di ogni tempo, viene segnata dal magistero di Papa Francesco, confortato non solo dagli esiti sinodali sul tema della famiglia, ma anche dallo spirito che ha animato l’Anno Santo straordinario sulla misericordia. In fondo, se vi è una stretta connessione tra Chiesa e famiglia, allo stesso modo in cui la Chiesa, quando sperimenta le sue ‘miserie’ (nel cimentarsi in una pratica di perenne «reformatio» o «purificatio Ecclesiae»: LG, 8; UR,6) ha bisogno di essere sostenuta dalla ‘misericordia’ del Suo Fondatore (Lettera Apostolica Misericordia et misera, del 20 novembre 2016), altrettanto la famiglia, là dove è sofferente per le sue infelicità, per i suoi fallimenti, o viene afflitta dagli inclementi ‘segni dei tempi’ di una globalizzazione vissuta in preda al consumismo più sfrenato ed alla prorompente tecnocrazia, ha bisogno –questa famiglia ‘misera’ e ‘ferita’- di essere, a sua volta, compresa e sorretta dalla misericordia della Chiesa.
Sono questi i principi ispiratori dei primi interventi normativi prodotti da Papa Francesco con i Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, Mitis et Misericors Iesus e Concordia inter Codices, richiamati ed illustrati nella già richiamata ultima edizione del nostro Manuale, in specie nella Sez. E), del Capo III della Parte Seconda.
Si può prevedere che, lungo il tragitto delineato con questi interventi, ancora altri atti regolativi si susseguiranno, perché, al contrario di quanto da più parti si sostiene, il Pontefice non trascura di dare un rivestimento istituzionale al Suo progrediente magistero. In quest’opera non disdegnerà certo di essere affiancato e sostenuto dall’azione dei canonisti, purché convinta fattiva e coerente, come auspicato dal Cardinale Parolin, il 4 ottobre 2017, nel Suo saluto inaugurale ai convenuti per il XVI Congresso della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo. Il contributo dei canonisti sarà utile, ed anzi indispensabile, ai fini, per esempio, di un più congruo e definito trattamento giuridico delle differenziate situazioni – diffusamente analizzate nei nn. 242 ss. di Amoris laetitia – di quei fedeli che più hanno bisogno dell’accompagnamento misericordioso della comunità ecclesiale per potere meglio affrontare le accidentate vicende della loro vita familiare.
Quali sono i più recenti orientamenti della giurisprudenza rotale sul tema del matrimonio canonico?
La giurisprudenza rotale, già prima del Concilio e dell’ultima Codificazione canonica, ha rappresentato un costante stimolo per la concretizzazione degli insegnamenti del Magistero in tema di matrimonio, inteso quale donazione integrale delle persone degli sposi. A tal proposito si può mettere in evidenza come nelle sentenze rotali si sia registrata una sorta di evoluzione (anche in collegamento con la modifica codiciale inerente l’oggetto del consenso, non più lo “ius in corpus”, ma il “mutuo sese tradunt et accipiunt”:si vedano, al riguardo, i parr. 3 ss., del Capo I, della Parte Prima, del nostro Manuale), che ha portato ad una maggiore attenzione alla “persona”, intesa come complessità di corpo e anima. In particolare, ciò si è verificato con riferimento a tutte quelle problematiche psicologiche che oggi vanno maggiormente riscontrandosi e che attengono ai c.d. “disturbi di personalità”, riflettendosi sulla relazione matrimoniale, menomandola. Ricordiamo, infatti, che si deve proprio all’opera della giurisprudenza la riflessione che ha condotto all’introduzione nei vigenti codici di nuove figure di nullità relative all’incapacità matrimoniale, quasi presagendosi il moltiplicarsi dei disagi che nel nostro tempo, affetto da individualismo, da relativismo e dall’affermazione egoistica dei propri bisogni, soffre la relazione coniugale caratterizzata, al contrario, per l’apertura all’altra persona in una continua donazione di sé.
Si può segnalare un’altra novità, sempre con riguardo al maggiore rilievo dato alla persona, inerente ai profili, sopratutto intenzionali, dell’atto coniugale. Infatti, nelle cause relative al problema dell’inconsumazione del matrimonio per impotenza di uno dei coniugi, già a partire dagli anni ‘40 del secolo scorso, la giurisprudenza ha mostrato una maggiore attenzione all’aspetto della volontarietà dell’atto, giungendo recentemente a considerare anche il complesso di elementi spirituali e affettivi che caratterizzano il rapporto fra un uomo e una donna; una significativa ricognizione di questi indirizzi può rinvenirsi nella sentenza rotale coram Sciacca, dell’ 8 aprile 2008.
L’attenzione agli aspetti personali del legame matrimoniale si registra pure nell’evoluzione giurisprudenziale relativa al c.d. “bene dei coniugi”, inteso quale fine cui il legame matrimoniale deve essere orientato, come anche nelle ipotesi delle cc. dd. simulazioni del consenso, ad esempio nel caso dell’esclusione della fedeltà, laddove vengono in rilievo, quali cause di nullità, anche tradimenti di natura spirituale.
Infine, in relazione ai capi di nullità relativi all’errore sull’identità della persona si possono registrare interessanti sviluppi negli indirizzi che non si soffermano solo sull’identità fisica del soggetto, ma prendono in considerazione pure altri caratteri identificanti, riferiti alle qualità morali e di rilievo sociale della persona.
Sempre in tema di errore, nonostante l’introduzione di un nuovo canone sul c.d. errore doloso, che tutela la buona fede dei coniugi, la giurisprudenza – per le ragioni che risulteranno più chiare alla luce di quanto sarà di seguito illustrato a proposito dei vizi del consenso – ritiene che il nuovo disposto non debba avere effetto retroattivo, e che si debba applicare esclusivamente ai matrimoni celebrati dopo il 1983.
Anche in relazione all’errore sulla ed alla esclusione della dignità sacramentale del matrimonio, gli indirizzi della giurisprudenza rotale – sempre per le ragioni che si evidenzieranno di seguito – manifestano una qualche prudenza, e questa cautela fa sì che le pronunzie di nullità intervengano solo nelle situazioni coinvolgenti il nucleo centrale costitutivo del matrimonio, configurandosi come riserve incompatibili con la sussistenza dello stesso patto coniugale o contrarie ad uno dei tradizionali ‘bona matrimoni’ (indissolubilità – prole – fedeltà).
Come si è evoluta la dottrina contemporanea in tema di vizi del consenso?
Dal punto di vista dell’operatore giuridico laico, la dottrina contemporanea sui vizi del consenso, anche matrimoniale, è evoluta nel senso di dare sempre più rilievo alla realtà nella sua dimensione oggettiva, e non per come appare o viene percepita da chi pone in essere il consenso medesimo. Infatti, nel diritto civile italiano (art. 122 c.c.), l’errore, spontaneo o procurato da dolo, che verta su qualità essenziali, ha efficacia invalidante, in ragione del vulnus oggettivamente patito dal principio dell’affidamento.
Nella Chiesa occorre tener conto di una impostazione alquanto diversa, perché essa è portata a considerare la volontà matrimoniale per come rileva alla percezione del soggetto che la esprime: se a costui la volontà appare integra, in genere sarà valutata tale anche dalla Chiesa, secondo il principio che il consenso è atto personalissimo, e quindi occorre vagliarlo rispettando, in primo luogo, il punto di vista di chi lo manifesta. A motivo di ciò, per molto tempo, e fino al Codice piano-benedettino, nell’ordinamento canonico si è dato rilievo ad un solo vizio del consenso matrimoniale, ossia alla violenza morale (vis vel metus), e la dottrina ha ritenuto di individuare la ratio di questa scelta legislativa nella differente situazione psicologica in cui veniva a trovarsi il nubente minacciato, rispetto a quella propria del nubente ingannato o caduto in errore per fatto proprio.
Tuttavia, sulla scorta dell’insegnamento conciliare del Vaticano II, teso ad esaltare la dimensione personalistica dell’istituto matrimoniale, si è mirato ad assicurare, anche sul piano normativo, una tutela più estesa alla libertà di formazione del consenso nell’animo del nubente. Si è, per tanto, data ulteriore applicazione al principio di effettività (e affettività!) del consenso nuziale, che deve il più possibile corrispondere ad una scelta maturata nell’intimo del soggetto in modo pienamente libero e responsabile, al riparo dall’influenza di qualsiasi grave turbamento di ordine sia intrinseco che estrinseco. Per tanto, anche il diritto canonico ha potuto registrare in proposito una modifica della postura tradizionale e, di conseguenza, la riforma del 1983, oltre a tenere ferma la disciplina dell’errore sull’identità del negozio e sull’identità dell’altro contraente, nell’ambito del difetto del consenso, ha approntato una nuova normativa per la materia dei vizi del consenso, dando rilevanza non più solo alla violenza morale, ma altresì pure al dolo e ad ipotesi ben precise di errore-motivo (o errore-vizio).
La dottrina canonistica, in specie quella impersonata dagli studiosi di formazione laica, è evoluta, a sua volta, secondo indirizzi volti a valorizzare i nuovi apporti codiciali (essendosi, in materia, uniformata alla riforma del 1983 pure la codificazione del 1990), soprattutto con riferimento all’errore sulle qualità di cui al par. 2 del can. 1097, C.i.c. e al par. 2 del can. 820, C.c.e.o., e cioè all’errore spontaneo sulle più svariate qualità dell’altro contraente, purché caratterizzate dalla circostanza che il soggetto errante rivolga la propria attenzione direttamente e principalmente (anche se non esclusivamente) alle medesime qualità.
Al riguardo, la giurisprudenza canonica sembra voler attestarsi su posizioni più caute, forse paventando che il dare ingresso a vere e proprie ipotesi di errore-vizio del consenso (e non di errore-difetto del consenso), comporti, da un punto di vista rigorosamente tecnico, pronunzie di annullamento e non semplici declaratorie di nullità, con possibile pregiudizio del principio di indissolubilità del vincolo. Non mancano, per altro, eccezioni a questo atteggiamento, spesso troppo restrittivo e, del resto, poco giustificato alla luce delle innegabili novità introdotte in materia dalle stesse disposizioni dei Codici attualmente in vigore. Di queste eccezioni non si manca di tenere conto, con le opportune referenze, in specie nei paragrafi iniziali del Capo III, Sez. C), della Parte Prima dell’ultima edizione del nostro Manuale.
In che modo le sfide e i problemi posti dalla nostra società contemporanea affliggono l’istituto matrimoniale?
Si è già accennato alle difficoltà cui le famiglie vanno incontro in una realtà sempre più segnata dalla globalizzazione e dalla tecnocrazia, che spesso inducono vere e proprie ‘mutazioni’ antropologiche, come quando, ad esempio, le giuste rivendicazioni sulla parità dei generi o le motivate repulse per ogni odiosa discriminazione omofobica, tracimano in ideologie che si spingono fino a negare qualsiasi naturale distinzione fra i sessi o a propugnare sistematiche forme disumane di trasmissione della vita o di accudimento della prole.
Più in particolare ed in concreto, non possono trascurarsi le sfide che provengono dal diffondersi delle condizioni di povertà estrema o di mancanza di lavoro, viepiù contrapposte a stili esistenziali e comportamenti caratterizzati da sfrenato consumismo e da rivendicazioni individualiste aliene dal benché minimo impegno solidaristico; spesso sono proprio questi fenomeni ad ingenerare, per un verso, imponenti ed irregolari flussi migratori e, per altro verso, il diffondersi di esecrabili episodi di terrorismo, con l’inevitabile contrappunto dell’insorgere o del riacutizzarsi di estrinsecazioni di odio etnico e razziale, se non, addirittura, di irragionevoli campagne antinataliste.
Pur quando gli sviluppi registrabili nell’età contemporanea favoriscono l’innesco di fattori di per sé positivi, come la sempre maggiore facilità e celerità degli scambi, l’incremento e la dematerializzazione dei mezzi di comunicazione, il prolungarsi delle aspettative di vita, anche in questi fattori, inseriti nel contesto degli elementi negativi di cui prima si è detto, possono annidarsi insidie e pericoli per il normale svolgimento della vita familiare. Si ponga mente al dilagare delle tossicodipendenze o di altri tipi di soggezioni psicologiche, alla tendenza a privilegiare ed a farsi catturare da forme di relazione di carattere virtuale anzi che reale, al protrarsi eccessivo del momento della scelta dello stato di vita o all’accentuarsi della tentazione di operarne più di uno, anche se incompatibile, nel corso della stessa esistenza, spregiando la pratica dell’arte di sapere invecchiare insieme con se stessi e – come direbbe il salmista – con «la sposa della prima giovinezza».
Consapevole delle conseguenze di questa serie di fenomeni negativi, caratteristici dell’età contemporanea, Papa Francesco, con il Motu Proprio Humanam progressionem del 31 agosto 2016 ha istituito un nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale (frutto dell’accorpamento e dell’integrazione di quattro precedenti Pontifici Consigli), affidando a quest’organismo la competenza a trattare delle «questioni che riguardano le migrazioni, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura». Qualche mese prima, il 4 di giugno, il Pontefice aveva approvato lo Statuto di un nuovo Dicastero per i laici e per la famiglia; mentre il 18 ottobre dello stesso anno procedeva alla promulgazione del nuovo Statuto della Pontificia Accademia della vita.
Questi atti magisteriali testimoniano la sollecitudine della Chiesa per le problematiche familiari tipiche del mondo contemporaneo, dopo che la Relatio finalis 2015 del Sinodo sulla famiglia si era così espressa al n. 51: «Di fronte a situazioni difficili e a famiglie ferite, occorre sempre ricordare un principio generale:”Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni” (Familiaris consortium, n.84). Il grado di responsabilità non è eguale in tutti i casi, e possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengano conto delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione».
A questo passaggio della Relatio espressamente rinvia Papa Francesco, nel n. 296 di Amoris laetitia, ricordando una Sua omelia, pronunciata nella messa con i nuovi Cardinali il 15 febbraio 2015. Riteniamo che le Sue parole possano suonare come la migliore conclusione possibile di questo contributo: «Due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare (…) La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi è stata sempre quella di Gesù. Della misericordia e dell’integrazione (…) La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero (…) Perché la carità è sempre immeritata, incondizionata e gratuita!».