
Come si è evoluto il marketing culturale?
Il marketing culturale, ovvero il marketing applicato ai processi di produzione, organizzazione e messa in offerta di prodotti ed esperienze artistico-culturali, è disciplina relativamente giovane, i cui esordi possono essere collocati tra gli anni settanta e gli anni ottanta del secolo sorso. Fin dagli esordi si è aperta, però, una stagione molto dinamica di elaborazione concettuale e di sperimentazione sul campo – durata fino agli anni ’90 – i cui esiti possono essere considerati come un significativo tentativo di affrancamento ed emancipazione dai modelli di marketing tradizionale e di rivendicazione di un’identità disciplinare caratterizzata da forti elementi di specificità. Il vero punto di svolta è avvenuto, infatti, verso la fine degli anni novanta con il libro di François Colbert “Marketing delle arti e della cultura”. La fortuna di quel libro risiede, probabilmente, nell’aver spiegato in modo semplice e illuminante la specificità del marketing culturale e aver proposto un modello che ribaltava la meccanica abituale dei rapporti tra mercato e prodotto, preservando la centralità della progettazione culturale e della visione artistica. Nel modello di Colbert il punto di partenza era, infatti, il prodotto culturale e la destinazione era il mercato. Per l’autore canadese la progettualità artistica non doveva essere modificata o snaturata in funzione delle esigenze e dei bisogni del mercato pur cercando di perseguire il miglior equilibrio economico possibile; per ciascun prodotto doveva essere trovato il pubblico più adeguato e non viceversa. Negli ultimi decenni si sono sviluppati rami disciplinari e filoni di studio sul marketing che, pur nell’eterogeneità degli ambiti di analisi, delle ipotesi interpretative e degli strumenti proposti, si possono ricondurre alla famiglia del “marketing del postmoderno”. Alcuni tratti caratteristici comuni posso essere rintracciati nell’attenzione posta sul processo di consumo nel suo complesso anziché sul momento dell’acquisto, l’accento sulla relazione anziché sulla transazione, l’attenzione ai nuovi comportamenti di consumo, uso e partecipazione abilitati dal digitale e la creazione di nuove comunità.
In che modo il marketing culturale può contribuire allo sviluppo dei pubblici e alla ricerca di nuove modalità progettuali per ampliare la base sociale dei prodotti e delle esperienze culturali?
Il marketing culturale può contribuire a rimuovere molti dei blocchi che sembrano ingessare il sistema culturale attuale e condannarlo a una situazione di forte autoreferenzialità. Esiste troppo spesso, nel mondo delle imprese e delle organizzazioni culturali, un problema di scarsa predisposizione all’innovazione di processo e di prodotto. Occorre, pertanto, lavorare su blocchi che riguardano, in primis, la scarsa attitudine all’ascolto e alla conoscenza dei reali bisogni delle persone: chi sono, come decidono (e chi influenza le loro scelte), come si informano, come comunicano, cosa cercano nelle diverse esperienze culturali e cosa li disincentiva dal farle. Non si deve dimenticare, inoltre, la presenza di modelli ormai obsoleti e poco efficaci di comunicazione, l’utilizzo di pratiche manageriali derivate dalla tradizione organizzativa industriale e inadatte a cogliere i tratti qualificanti dell’esperienza culturale e un rapporto spesso di diffidenza e di chiusura nei confronti delle nuove tecnologie e della cultura digitale. La rimozione di questi blocchi potrà indubbiamente servire ad ampliare la base sociale dei prodotti e delle esperienze culturali.
Come si struttura il processo decisionale del consumatore nell’ambito dei prodotti e dei progetti culturali?
I consumi culturali – che rientrano sempre di più tra i comportamenti di differenziazione degli stili di vita e di costruzione di nuove identità collettive – stanno evolvendosi in modo spesso tumultuoso, anche se non appare così semplice trarre una lettura univoca dei risultati e delle implicazioni a medio termine. Da un lato è indubbio il crescente appeal di arte e cultura nel mobilitare i cosiddetti “pubblici elitari di massa”, rilevati ed enfatizzati a livello mediatico e statistico quando si citano i dati sulla crescita del turismo culturale, su musei e monumenti presi d’assalto nei weekend festivi, sul pubblico di giovani e adulti che frequentano i festival estivi e le grandi mostre di richiamo. Dall’altro, non si può tacere come fasce tutt’altro che marginali della popolazione si trovino ancora oggi in una situazione di estraneità perché non coinvolte dalle proposte culturali più consolidate o perché esprimenti domande e istanze non direttamente e automaticamente riferibili all’offerta presente: si pensi agli stranieri residenti, agli anziani, ai giovanissimi, ai ceti meno abbienti e a tutte quelle persone che soffrono una condizione di cultural divide.
Quali opportunità di comunicazione e di coinvolgimento offre, in ambito culturale, il digitale?
Siti Internet, piattaforme di condivisione dei contenuti digitali, social network, app, realtà virtuale e intelligenza artificiale si stanno rivelando opportunità sempre più promettenti per il marketing e la comunicazione: possono infatti intervenire nei processi di analisi e ascolto dei pubblici, e rappresentano, altresì, possibilità inedite di sperimentazione di nuove forme di ingaggio del pubblico. Diventa, quindi, particolarmente importante lavorare sui contenuti per renderli accessibili, interessanti, facilmente aggiornabili, profilati sulle molteplici esigenze degli utenti. Dal punto di vista del marketing i social network permettono alle organizzazioni culturali, ad esempio, di diversificare e “alleggerire” la comunicazione tradizionale perché consentono modalità più spontanee, dirette e interattive di relazione tra istituzioni e utenti. Consentono, inoltre, il miglioramento delle capacità di ascolto e conversazione dell’ente e la possibilità di rafforzare il senso di comunità e di legame con una marca o uno specifico prodotto/attività. Esistono, infine, applicazioni promettenti che abilitano la combinazione tra il potenziale del linguaggio audiovisivo, le tecnologie della geolocalizzazione e quelle della “realtà aumentata”. Alcune di queste applicazioni sono progettate per accompagnare il turista e l’escursionista alla visita dei grandi musei e delle città d’arte (proponendo mappe e percorsi interattivi oppure attivando contenuti di approfondimento “in prossimità” di un punto di interesse o di una particolare opera d’arte), così come per fornire informazioni aggiornate sul cartellone di una stagione teatrale o sugli spettacoli di un festival, consentendo in alcuni casi l’acquisto o la prenotazione online. L’ultima frontiera riguarda, invece, l’Intelligenza Artificiale e la sua applicazione come nel caso del progetto Sas – Smart Archive Search, realizzato dal Polo del ‘900 di Torino che utilizza in modo pionieristico l’intelligenza artificiale per ampliare l’impatto culturale e sociale degli archivi nella società, migliorando le performance e i meccanismi di ricerca all’interno della piattaforma e consentendo inedite modalità di archivistica partecipativa, che ha visto coinvolti bambini e ragazzi in momenti di avvicinamento e di confronto con i patrimoni lavorando contestualmente sulle loro competenze informatiche e storico-culturali.
In sintesi, possiamo dire che il digitale permette di sviluppare nuove strade non solo nell’ambito della comunicazione e dell’advertising evoluto (attraverso social media e Internet), ma anche nell’area dell’analisi dell’audience (big data, social data, analisi del ticketing e tracking dei comportamenti di fruizione e di uso ecc.) e nella possibilità di interconnettere le esperienze fisiche e digitali creando occasioni inedite di dialogo, di relazione e di produzione tra artisti e pubblico.
Alessandro Bollo, esperto di management e politiche della cultura, è direttore della Fondazione Polo del ’900 di Torino. In precedenza è stato responsabile Ricerca e Consulenza della Fondazione Fitzcarraldo.