“Il libro manoscritto da Oriente a Occidente. Per una codicologia comparata” di Maria Luisa Agati

Il libro manoscritto da Oriente a Occidente. Per una codicologia comparata, Maria Luisa AgatiIl libro manoscritto da Oriente a Occidente. Per una codicologia comparata
di Maria Luisa Agati
L’Erma di Bretschneider

«La scienza che si occupa del libro manoscritto, oggetto d’indagine di questo volume, viene denominata codicologia. Il termine è recente: due studiosi francesi del secolo scorso, Charles Samaran e Alphonse Dain, si contendono il diritto di averlo coniato. […] La codicologia – definizione nata da uno strano connubio di latino e di greco, in cui predomina l’elemento discorsivo, implicito nel suffisso –logia (da λὁγος), rispetto ad un elemento analitico evidenziato dall’altro suffisso –grafia – prende nome dal codice, latino codex, caudex, che designava il tronco, o fusto d’albero (su cui si incidevano le lettere dell’alfabeto) e successivamente, per metonimia, le tavolette fatte di legno e opportunamente trattate per creare un supporto alla scrittura. Poiché queste erano spesso attaccate, tramite anelli, a due, tre ecc. a formare un blocco, lo stesso termine nell’era cristiana passò a designare blocchetti di papiro o pergamena cuciti assieme, antenati del codice vero e proprio. Codice indica pertanto la forma libraria conservata (sia pure con diverse caratteristiche) sino al giorno d’oggi che, a partire dal I secolo d.C. circa, progressivamente sostituì il volumen, o rotolo, passato al mondo greco-romano dall’antico Egitto. Si riferisce al libro nella sua concreta materialità, quella in cui l’idea astratta dell’autore (di qualunque tipo essa sia) trova tramite un editore la sua realizzazione fisica per giungere all’estremo opposto, che è il lettore: il libro, però, anteriormente all’invenzione dei caratteri a stampa, quindi il libro manoscritto.

Manoscritto: a sua volta, questo termine deve la sua ragion d’esistere, per contrapposizione, alla tipografia, che mutando le tecniche di produzione e di editoria crea un profondo spartiacque nella lunga storia del libro. Vero è che con manoscritto può intendersi qualunque tipo di scritto che non sia stampato (autografi, documenti, atti, inventari … ), di qualunque epoca e su un supporto di qualsivoglia natura, si è tuttavia sclerotizzato l’uso nel senso precipuo di libro (da sottendersi), qual portatore di testo (letterario, filosofico, giuridico, religioso ecc.) destinato alla circolazione e al commercio, copiato da un amanuense (e quindi entro chiari limiti cronologici), e realizzato con materiali differenziati che determinano epoche distinte nella sua evoluzione: l’oggetto della codicologia.

Emerge, da questa premessa, l’improprietà terminologica di questa disciplina: se il suo oggetto di studio è il libro manoscritto, oltre al codice rientra nel suo dominio, sia pure un po’ marginalmente, anche il rotolo, assieme alle forme librarie più primitive, come le stesse tavolette. […]

La codicologia studia dunque il libro antico e medievale e, in parte, umanistico e rinascimentale, nei suoi aspetti molteplici e con le problematiche che pone. Se, infatti, un libro stampato nasce da procedimenti tecnici conosciuti e standardizzati, al contrario il libro copiato a mano cela il più delle volte, in modo totale o parziale, ciò che riguarda la sua genesi, quando, dove e perché fu concepito.

Nel tentativo di trovare risposta alle varie incognite, la codicologia cerca, attraverso tutti gli indizi utili, in primo luogo di “interpretare le condizioni della produzione originale di un libro confezionato in modo artigianale” (Lemaire 1989): quale prodotto artigianale appunto, il manoscritto è un unicum, e come tale va studiato e valutato, indagando la rete complessa di fattori – al di là di scelte personali – di cui è il risultato non casuale; ed è un “arcano archeologico” (id.), i cui fatti materiali una volta constatati dall’archeologia, vanno sottoposti alla storia perché ne proponga la spiegazione. La nostra disciplina rileva pertanto forma, supporti e tutte le procedure tecniche di fabbricazione perché il libro arrivi alla realizzazione, con l’intervento finale di chi scrive, di chi eventualmente lo decori per renderlo più pregevole o per illustrare meglio il testo, di chi infine ricomponga tutte le sue parti con un assemblaggio ed una copertura adeguati. In questo senso (codicologia stricto sensu) essa è l’archeologia (sopramenzionata) del libro, la scienza delle sue componenti materiali, della sua fisicità.

Tale scienza, oggi, si avvale di metodi di ricerca che si affinano sempre più, come le tecniche di laboratorio in continua evoluzione, grazie alle quali si è in grado di determinare la specie animale utilizzata nella fabbricazione della pergamena, il legno impiegato nella costruzione delle assi di rilegatura, o le componenti degli inchiostri e dei pigmenti; si è in grado di misurare con precisione lo spessore del supporto, o di fare riaffiorare le scritture svanite per leggere testi cancellati.

Tutte queste osservazioni sono possibili solo lavorando direttamente sugli originali, come del resto avviene per ogni branca dell’archeologia. Per capire l’oggetto-libro come reperto archeologico, ben poco, o nulla, servono le riproduzioni, sulle quali non si può toccare il supporto, o guardarlo in trasparenza per capirne tutte le caratteristiche (consistenza, qualità, trama, ecc.), né si può misurare le varie dimensioni – di formato, superficie scritta, interlinea, ecc. – o scorgere fori e solchi di rigatura per capirne le tecniche utilizzate, o filigrane per aiutarsi a datare il manufatto. Solo nella fase successiva all’osservazione dei dati, la riproduzione trova una sua utilità: come pro-memoria, come testimonianza, per costituire un archivio di dati, ecc., ad eccezione della riproduzione di una filigrana che, indipendentemente dalle modalità in cui viene effettuata, diventa indispensabile per una giusta classificazione.»

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