“Il libro delle parole altrimenti smarrite” di Sabrina D’Alessandro

Il libro delle parole altrimenti smarrite, Sabrina D’AlessandroDott.ssa Sabrina D’Alessandro, Lei è autrice de Il libro delle parole altrimenti smarrite, edito da Rizzoli. Il Grande dizionario della lingua italiana contiene circa 184.000 parole; in realtà, solo 6.500 di esse sono di uso corrente, con le quali copriamo il 98% dei nostri discorsi: perché alcune parole si smarriscono e perché è importante salvarle dall’oblio?
Il linguaggio è un organismo vivo e in continua evoluzione, le sue trasformazioni dipendono dalle abitudini dei parlanti, spesso dalle mode attivate dai mezzi di comunicazione di massa. Così si decreta l’imprevedibile fine di alcuni vocaboli e la nascita di altri. Molte parole scompaiono più prevedibilmente perché l’oggetto che definiscono smette di essere usato. Un esempio che si trova anche nel mio ultimo libro – Accendipensieri, Rizzoli 2021 – è l’ippoferrovia, il tram su binari trainato da cavalli. Superata la tecnologia, è superato anche il nome.

In ogni caso bisogna considerare che per tante parole che si perdono si acquisiscono altrettanti neologismi, o termini che erano caduti in disuso e che poi ritornano in auge. Il problema sta nella discrepanza fra l’offerta di vocaboli contenuta nei dizionari, che rimane cospicua, e le effettive competenze linguistiche dei parlanti. Il depauperamento lessicale che in molti oggi lamentano credo sia dovuto all’uso intensivo degli strumenti informatici. Siamo bombardati da stimoli che ci richiedono risposte veloci, immediate. Queste risposte si sposano meglio con emoticon e abbreviazioni, piuttosto che con una prosa attenta alle sfumature. In sostanza abbiamo poco tempo da dedicare alla scelta dei termini più appropriati per esprimere uno stato d’animo o un concetto. Usiamo meno parole perché tendiamo a scrivere come parliamo (la ricchezza lessicale della lingua parlata è sempre inferiore a quella della lingua scritta).

Il rischio è che l’abitudine a una progressiva semplificazione del linguaggio esca dal linguaggio stesso per diventare appiattimento del modo di percepire e relazionarsi. Occorre insomma evitare che, parafrasando Wittgenstein, i “limiti del nostro linguaggio” diventino “i limiti del nostro mondo”. Credo sia importante non dimenticare le parole proprio per questo. Le possibilità che abbiamo non solo di esprimerci, ma anche di catalogare e riconoscere i concetti e le cose, dipendono molto dalla nostra padronanza della lingua e dunque anche dalla varietà dei termini che conosciamo. Tutto quello che riusciamo a percepire e a immaginare ha un nome. E viceversa.

Questo in linea generale. Le parole “altrimenti smarrite” che ho raccolto nel libro rappresentano un discorso a parte. Si tratta di parole rare, per lo più arcaiche o cadute in disuso, ma che conservano una vitalità straordinaria sia per il loro significato, in cui possiamo continuare a riconoscere noi stessi e il mondo che ci circonda, sia per come risuonano e fanno risuonare la realtà. L’intenzione non è quella di farle rientrare necessariamente nell’uso comune, ma di trasmettere la loro forza poetica ed evocativa.

Le ho scelte perché pur essendo antiche, sono ancora sorprendentemente attuali. Raccontano qualità umane – vizi, virtù, modi di agire e relazionarsi – e lo fanno sempre in modo lucido e disarmante, ribaltando la nostra tendenza a prenderci troppo sul serio.

La loro utilità? Suggeriscono sfumature inaspettate, illuminando il nostro sguardo sul mondo. Dare alle cose il loro (antico) nome è spesso un modo per vederle meglio.

Il libro si inserisce nell’alveo delle attività dell’Ufficio Resurrezione: di cosa si occupa?
L’Ufficio Resurrezione è un “ente preposto alle resurrezioni in vita”, fondato a Milano nel 2009. Tra le varie possibili resurrezioni c’è naturalmente quella delle parole “smarrite benché utilissime alla vita sulla Terra”. La sezione che se ne occupa si chiama URPS, acronimo di Ufficio Resurrezione Parole Smarrite e la sua attività consiste nel ricercare e riportare in vita queste parole trasformandole in opere d’arte visiva.

Il lavoro dell’URPS si può appunto “vedere” sul sito ufficioresurrezione.com

Trattandosi di un ufficio, l’URPS è strutturato secondo un organigramma in cui ogni area e dipartimento ha le sue mansioni e finalità. C’è il “Dipartimento Oggettificazioni”, che si occupa di trasformare le parole in sculture e installazioni in modo da conferire loro un ingombro fisico e dunque, automaticamente, farle esistere nel concreto -in questo modo le parole non “volano” più e si perdono più difficilmente-, il “Dipartimento Rinascita Psicovocale”, che si occupa di cantarle e di metterle in scena per dare espressione alla loro sonorità, la “Divisione Mutoparlante”, che si occupa invece dell’espressione non verbale, o il “Dipartimento Applicazioni Editoriali”, che resuscita parole divulgandole attraverso libri e pubblicazioni (come appunto Il Libro delle Parole Altrimenti Smarrite o Accendipensieri).

Con gli anni, grazie al riconoscimento di istituzioni della cultura e dell’arte (da Treccani, al Museo CAMeC, alla Collezione Farnesina, al Museo di Santa Maria della Scala) tante opere-parole realizzate dall’URPS sono state esposte in musei pubblici e privati, in Italia e all’estero. Letteralmente resuscitando negli occhi e nella memoria delle persone.

In definitiva l’URPS è un modo per ricordare che le parole sono importanti, a tal punto da diventare opere d’arte e monumenti nelle piazze. Per una parola (altrimenti) smarrita non si potrebbe desiderare miglior rinascita.

Quali, tra le parole da Lei salvate, ama di più?

Sabrina D’Alessandro, Farlingotto (marmo, acciaio, ottone, 2020)
Sicuramente quelle che ho trasformato in opere che poi sono state esposte in musei e spazi pubblici. Una su tutte, “Redamare”. Una parola antica, mai più usata, che contiene la reciprocità del sentimento amoroso. Significa amare ed essere amati. Nel 2022 è diventata un’opera d’arte pubblica sul lungomare di La Spezia: la parola redamare costruita in acciaio corten, lunga 6 metri e installata fra due cannoni in disuso. Qui le armi perdono la loro funzione originaria e diventano piattaforma di lancio per un messaggio verso l’orizzonte. Senza amare non si può essere redamati.

Un altro vocabolo cui sono molto legata e che ha uno spirito diverso, per quanto molto “URPS”, è l’aggettivo “Fannònnolo”, ovvero che non fa e non vuole fare niente. La parola ha preso la forma di una scultura in bronzo che naturalmente non serve a niente e non fa niente, diventando così ludico emblema di ogni scultura. Poi, nel 2018, si è tradotta in un’opera di acciaio corten e travertino su cui ci si può sedere: la panchina “Fannònnola”. Installata a Suzzara, cittadina notoriamente operosa, per ricordare quanto il fare sia impossibile senza l’ozio.

Presso la Collezione Museo d’arte per bambini del complesso museale di Santa Maria della Scala (Siena) è invece esposto il “Farlingotto”. Arcaismo dal significato molto contemporaneo che descrive chi, parlando, mescola e confonde varie lingue, spesso storpiandole; è diventato una scultura in marmo e ottone che, girando su sé stessa, insegna a tacere in 12 lingue.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link