“Il libro delle nuvole. Manuale pratico e teorico per leggere il cielo” di Vincenzo Levizzani

Prof. Vincenzo Levizzani, Lei è autore del libro Il libro delle nuvole. Manuale pratico e teorico per leggere il cielo edito dal Saggiatore: innanzitutto, che differenza c’è tra nuvole e nubi?
Il libro delle nuvole. Manuale pratico e teorico per leggere il cielo, Vincenzo LevizzaniLa risposta telegrafica è: nessuna. Tuttavia, è pur vero che esistono due diversi vocaboli per indicare la stessa componente fondamentale dei nostri cieli. Cominciamo col dire che la lingua inglese, in cui si esprimono i popoli che hanno materialmente “inventato” la meteorologia moderna, indica il fenomeno col termine unico “cloud” e tanto basta. La lingua italiana no e la motivazione è esclusivamente storico-letteraria. Infatti, se consultiamo un qualunque vocabolario della lingua italiana scopriamo che con “nube” si intende sostanzialmente un “ammasso di goccioline d’acqua o cristalli di ghiaccio in sospensione nell’aria”. “Nuvola” è invece “sinonimo popolare e in uso nel linguaggio comune”. In altre parole, nube appartiene al linguaggio tecnico-scientifico e nuvola a quello di tutti i giorni o a quello letterario. Riteniamoci liberi di usare entrambe le forme tenendo presente le accezioni dell’una e dell’altra, ma senza farne una questione di importanza fondamentale.

Quanti tipi di nubi esistono?
Parlare di “tipi” di nube significa occuparsi di dare una classificazione all’effimero elevato alla massima potenza. Le nubi cambiano continuamente aspetto, forma, dimensioni, colore, organizzazione spaziale e difficilmente si ripresentano con lo stesso aspetto a distanza anche di pochi secondi. Cosa vuol dire quindi classificarle secondo una tipologia accettata e in qualche modo riconoscibile all’osservatore? Di questo problema si occupò il farmacista e naturalista britannico Luke Howard all’inizio dell’ottocento basandosi sul sistema di classificazione binomiale di animali e piante introdotto dal naturalista svedese Carl Nilsson Linnaeus (Linneo) nel 1735. Linneo suddivise ogni essere vivente in una classificazione basata su genere di appartenenza dell’organismo che è uguale per tutte le specie che condividono alcuni fondamentali caratteri e specie che caratterizza più specificamente il particolare gruppo di individui. Howard cercò di trovare alcuni generi di nubi che fossero ben identificabili per la loro struttura a un osservatore da terra e lo fece identificando le nubi come oggetti fisici invece che come forme poetiche ed eteree quali erano state considerate fino a quel momento.

Dalla classificazione di Howard sono trascorsi più di due secoli, ma l’impianto generale non è cambiato granché nei suoi concetti basilari, inclusa la denominazione delle tipologie nuvolose in lingua latina. La classificazione ufficiale delle nubi è curata dalla World Meteorological Organization (WMO) che è un organo delle Nazioni Unite con sede a Ginevra e che raggruppa tutti i servizi meteorologici nazionali. Il livello più alto è il genere e i generi accettati sono dieci: cirrus, cirrocumulus, cirrostratus, altocumulus, altostratus, nimbostratus, stratocumulus, stratus, cumulus e cumulonimbus. La nomenclatura si riferisce alle caratteristiche primarie delle nubi, cioè al loro aspetto e alla quota a cui si sviluppano. Naturalmente il genere non basta a descrivere nel dettaglio ogni nube in cielo e per questo motivo si ricorre ad altre caratteristiche, quali specie, varietà, caratteristiche supplementari e, infine, nubi accessorie. Scopriamo infatti che una categoria nuvolosa spesso invade il campo di azione di un’altra e quindi la classificazione si complica in maniera abbastanza notevole. Comunque, niente paura, per descrivere tutti i più comuni “tipi” di nube bastano e avanzano i dieci generi, utilizzando i quali sarete tutti dei perfetti classificatori dell’universo nuvoloso!

A cosa serve la classificazione delle nubi? Essa è applicata soprattutto dai servizi meteorologici per emettere ogni giorno i bollettini osservativi dalle varie stazioni sparse sulla superficie del globo. In questo modo ognuno di noi che legge il bollettino ha un’idea precisa dello stato nuvoloso del cielo in quel particolare istante.

Come si formano le nubi?
Questa è una domanda molto importante. Infatti, si potrebbe pensare che basti disporre in atmosfera di una quantità sufficiente di vapore acqueo proveniente dall’evaporazione dalle acque superficiali (mari, fiumi, laghi) per dare origine alla condensazione e formare le goccioline e quindi la nube. In altre parole, dovrebbe bastare raggiungere il livello di saturazione del vapore e questo dovrebbe condensare senza troppi problemi. Semplice, no? No, non è proprio così e il problema è che il vapore non raggiunge in atmosfera livelli di saturazione sufficienti che gli possano consentire di condensare spontaneamente e formare le goccioline. Affinché avvenga la condensazione ai livelli di saturazione naturali in atmosfera c’è bisogno di un “aiutino” che viene fornito dalle particelle di aerosol disperse nell’aria. Non tutto l’aerosol va bene, però, servono i “nuclei di condensazione” che altro non sono che particelle “igroscopiche”, cioè particelle che attirano le molecole di vapore sulla propria superficie e consentono la formazione della gocciolina in poco tempo. Per fare alcuni esempi di queste particelle basti pensare al sale che viene prodotto dalla spuma sulle onde del mare oppure a particelle vulcaniche o da incendi di foreste. Perfino particolari batteri dal sottobosco delle foreste agiscono, pensate, da nuclei di condensazione.

E i cristalli di ghiaccio come si formano? Essenzialmente in due modi. Il primo è simile a quello appena descritto per le goccioline e cioè condensando (sublimando) il vapore sulla superficie di opportune particelle di aerosol (nuclei di ghiacciamento), mentre il secondo è abbastanza intuitivo e passa attraverso il ghiacciamento in nubi che hanno già una componente di goccioline che ghiacciano a temperature abbastanza basse man mano che vengono trasportate verso l’alto. I nuclei di ghiacciamento più importanti sono quelli che provengono dall’erosione dei suoli, soprattutto quelli argillosi e desertici (es. il deserto del Sahara).

Cosa sono le idrometeore?
La parola viene dal greco hýdor (acqua) e metéoros (che sta in cielo) e viene usata per indicare tutte le componenti liquide e solide delle nubi, cioè goccioline, cristalli, fiocchi di neve, graupel e chicchi di grandine. Naturalmente non tutte le idrometeore sono presenti contemporaneamente in una nube. La loro presenza dipende da molti fattori quali quota della nube, apporto di vapore acqueo, temperatura, pressione e molto altro ancora. Le nubi si dividono in modo molto generale in nubi calde e nubi fredde. Nelle nubi calde, presenti soprattutto nei cieli tropicali, la componente di idrometeore liquide è di gran lunga preponderante e pochissimo ghiaccio può formarsi. Sono le nubi che producono gli acquazzoni sulle foreste dei tropici, per intenderci. Le nubi fredde, invece, sono nubi che si trovano a quote e in luoghi dove la temperatura dell’aria è sotto lo zero termico. In queste nubi il ghiaccio si forma e la formazione della pioggia passa tutta attraverso la fase ghiaccio. Sono le nubi delle nostre latitudini.

Come originano pioggia e grandine?
Quando una nube appare nel cielo vuol dire che si stanno formando goccioline o cristalli di ghiaccio, ma siamo ancora ben lontani dalla loro trasformazione in idrometeore precipitanti per produrre pioggia, neve o grandinate. Perché le goccioline si trasformino in gocce di pioggia e precipitino al suolo prima di evaporare occorre che crescano in massa in modo da diventare pesanti a sufficienza perché la forza di gravità le aiuti a vincere le spinte verso l’alto presenti nella nube. Per permettere questa trasformazione sono in azione due meccanismi che si supportano a vicenda. Da un lato il vapore acqueo presente nei dintorni della gocciolina continua a depositarsi su di essa facendola aumentare di volume. Questo, però, non è sufficiente perché è un meccanismo assai lento. Le goccioline crescono rapidamente a causa del secondo meccanismo: la collisione. Nell’ambiente caotico della nube le goccioline vengono a contatto, si urtano e le masse d’acqua si fondono per formare gocce più grandi. Ecco come si arriva alla formazione delle gocce di pioggia. Stessa cosa succede per i cristalli di ghiaccio, ma per loro la crescita per diffusione di vapore è molto più efficiente e veloce.

La nube, però, è un posto molto strano! L’acqua liquida rimane tale in alcune nubi, quelle temporalesche, anche a temperature molto inferiori allo zero. Com’è possibile? Nei nostri freezer l’acqua ghiaccia al di sotto di zero gradi centigradi: come può essere che in una nube temporalesca si trovino goccioline liquide fino a temperature di -38 gradi centigradi? La ragione sta tutta nella velocità elevatissima delle correnti ascensionali a causa delle quali si sta sviluppando la nube. Queste correnti portano le goccioline in quota in modo estremamente rapido e impediscono loro di ghiacciare istantaneamente. Quindi, abbiamo a disposizione goccioline liquide e cristalli di ghiaccio: ecco gli ingredienti per la formazione della grandine. Le goccioline colpiscono i cristalli e ghiacciano sulla loro superficie facendoli rapidamente aumentare di volume. Si formano agglomerati di palline ghiacciate che vanno sotto il nome di graupel che possono cadere al suolo oppure fare da embrioni per il chicco di grandine. Il chicco viene trasportato verso l’alto e continua la sua crescita, ma anche verso il basso a causa della gravità. Insomma, è sottoposto a un movimento a elastico su e giù per la nube e continua nella sua crescita per diverso tempo arrivando a dimensioni del tutto ragguardevoli. Ecco come si preparano i danni alle colture e alle nostre auto, ahimè!

Che posto hanno le nuvole nella meteorologia e nelle previsioni del tempo?
Le nubi hanno un posto d’onore nella meteorologia, ma anche nelle scienze del clima. Non sarebbe possibile parlare di previsioni meteorologiche senza avere ben chiaro che le nubi sono i fenomeni che producono la precipitazione. La conoscenza della loro struttura è fondamentale per far sì che i modelli numerici contengano le informazioni necessarie sul loro manifestarsi per risolvere correttamente le equazioni che stanno alla base della previsione numerica. Senza parametrizzare correttamente la formazione delle nubi nei modelli non avremmo le previsioni che siamo ormai abituati a consultare giorno per giorno.

Le nubi entrano anche in un altro campo di previsioni meteorologiche che hanno come scopo la previsione a brevissimo termine, cioè a 3-6 ore. Stiamo parlando del nowcasting che si basa sui dati raccolti in tempo reale soprattutto da radar e satelliti meteorologici. I sensori radar e nelle microonde su satellite e dal suolo consentono di penetrare la nube e di acquisire informazioni di prima mano sulla sua struttura interna. Da queste informazioni è possibile prevedere mediante estrapolazione in avanti di qualche ora l’evoluzione del corpo nuvoloso per capire se esso è in crescita o in dissipazione. Questo tipo di previsioni è particolarmente utile nel caso dei temporali perché le scansioni ravvicinate nel tempo della nube temporalesca consentono di indagare l’evoluzione della formazione della precipitazione in modo molto ravvicinato. In questo modo, per esempio, possiamo avvicinare i fenomeni grandinigeni e dare allerte precoci a una nutrita serie di utilizzatori finali che hanno bisogno di informazioni pensate apposta per loro.

E il clima? Le nubi entrano negli studi climatici? Certamente e anche in modo parecchio esteso. Consideriamo che le nubi sono importantissimi regolatrici della temperatura del pianeta perché da un lato le nubi spesse agiscono da schermo della radiazione solare entrante, di fatto impedendo un eccessivo riscaldamento. D’altro canto, le nubi sottili consentono alla radiazione di penetrare fino al suolo e fanno anche da schermo al contrario, cioè tengono intrappolata la radiazione infrarossa come i vetri di una serra. In questo modo la temperatura aumenta. Capiamo bene come sia importante capire in che direzione stiano andando i cambiamenti della struttura delle nubi su scala globale perché da questi dipendono anche in buona parte i cambiamenti climatici. Un esempio su tutti: gli stratocumuli marini. Queste nubi che coprono vastissime zone oceaniche sono potenti regolatori della temperatura terrestre. Osservazioni recenti supportate dai modelli climatici sembrano indicare un loro assottigliamento a causa del riscaldamento globale e questo è un fatto di per sé abbastanza allarmante. Dove stiamo andando? Una migliore conoscenza della struttura globale delle nubi può contribuire fattivamente a dare una risposta a questa fondamentale domanda per il nostro futuro.

Vincenzo Levizzani è Dirigente di Ricerca dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna e insegna Fisica delle nubi all’Università di Bologna. Tra le sue pubblicazioni più recenti, Satellite precipitation measurement, 2 voll. (Springer Nature, 2020); Il libro delle nuvole (Il Saggiatore, 2021).

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