“Il lavoro sub umbra Petri” di Mattia Persiani

Il lavoro sub umbra Petri, Mattia PersianiProf. Avv. Mattia Persiani, Lei è autore del libro Il lavoro sub umbra Petri, pubblicato da Edizioni Studium: quale fondamentale distinzione è necessario fare riguardo al «lavoro in Vaticano» e come nasce la formula sub umbra Petri?
Quando si parla del “lavoro vaticano” e, cioè, del lavoro che viene eseguito sul territorio dello Stato della Città del Vaticano, occorre tener presente che, con quella espressione, sono designati una pluralità di rapporti regolati da regimi diversi.

Alcuni rapporti sono quelli regolati dall’ordinamento, per così dire, laico proprio dello Stato della Città del Vaticano istituito nel 1929 a seguito del Trattato lateranense. Altri rapporti, invece, sono quelli che attengono al governo della Chiesa universale e, quindi, ne sono parte quanti collaborano con la Curia Romana e che sono regolati dal più che secolare diritto canonico.

Se mai, è da dire che, a ben vedere, quella ora riferita è una distinzione tutt’altro che netta in quanto dal nostro punto di vista, è, nei fatti, assai sfumata per almeno due ragioni.

La prima ragione è che l’ordinamento vaticano e quello canonico, pur essendo distinti, in parte si sovrappongono.

La seconda ragione è che, con il Motu Proprio Nel primo anniversario” del 1989, San Giovanni Paolo II ha confermato il carattere unitario del servizio alla Santa Sede e, quindi, ha eliminato, per molti versi, le distinzioni esistenti tra il regime di chi collabora con la Curia Romana e con ogni altro ente o struttura ad essa connessi e quelli che collaborano con lo Stato della Città del Vaticano.

Quanto, poi, alla formula lavoro “sub umbra Petri” è da dire che questa, così come quella di “servizio petrino”, sono state introdotte da San Giovanni Paolo II nella Costituzione Apostolica “Bonus Pastor” del 1988.

Con quelle espressioni si volle significare che quanti, laici od ecclesiastici, collaborano in varie guise nella Curia Romana e in tutti gli altri organismi della Santa Sede nonché nello Stato della Città del Vaticano svolgono un vero e proprio “servizio ecclesiale” perché traggono “dal Pastore della Chiesa universale la propria esistenza e competenza”.

È anche questa la ragione per cui, sebbene gli ordinamenti prevedano obbligazioni e diritti per chi svolge il “servizio petrino” è da escludere che questo possa essere considerato negli stessi termini in cui è considerato il lavoro subordinato nelle società capitalistiche.

Ed infatti, la struttura dei rapporti nei quali si attua il “servizio petrino” è, in qualche modo, analoga a quella del lavoro subordinato se non altro a ragione dell’inevitabile esercizio di un potere direttivo. Manca, però, una contrapposizione tra gli interessi che chi possiede i mezzi di produzione e quelli di chi lavora per vivere.

È questa la ragione per cui nella Costituzione Apostolica “Pastor Bonus” è avvertito che il “servizio petrino non ha equivalenti nella società civile” in quanto tutti operano a servizio della stessa finalità e, cioè, cooperano al “ministero universale del successore di Pietro”.

Quali principi e valori ispirano la disciplina lavoristica vaticana?
Quando si tratti di individuare i principi che ispirano la disciplina che regola il “servizio petrino” è necessaria una premessa.

Mancano, infatti, sia per la Curia Romana che per lo Stato della Città del Vaticano, disposizioni di carattere generale che contengano i principi fondamentali ai quali si debba ispirare la concreta disciplina del “lavoro sub umbra Petri” e dei quali debba tener conto chi decide le relative controversie.

Mancano, cioè, disposizioni che abbiano le stesse caratteristiche di quelle contenute nelle costituzioni che, oramai, garantiscono per quasi tutti gli stati civili la tutela dei diritti ritenuti fondamenti dei cittadini e, soprattutto, di chi vive del proprio lavoro.

Esiste soltanto, come vedremo tra poco, una pluralità di Regolamenti che dettano la disciplina analitica e, a volte, minuziosa dei rapporti dei dipendenti con la prevalente funzione di garantire il buon funzionamento delle strutture e la loro efficacia operatività.

Disciplina analitica che, come insegna l’esperienza e proprio perché non è riconducibile a principi generali in quanto destinata a risolvere soltanto problemi pratici e di dettaglio, non sempre è in grado di tener conto di tutti i casi che si possono verificare e, soprattutto, dell’inevitabile evoluzione della realtà e delle nuove esigenze che di conseguenza attendono di essere soddisfatte.

È stato discusso se, quando manchino disposizioni che prevedono la disciplina di casi concreti, o quando si tratti di interpretare quelle vigenti, la regola possa, o no, essere individuata avendo riguardo al patrimonio culturale contenuto nell’oramai secolare Insegnamento Sociale della Chiesa che esprime, allo stesso modo delle costituzioni degli stati civili e sia pure con tecniche diverse, quei principi e quei valori che tutelano l’uomo che lavora.

La controversia è stata risolta soltanto recentemente dall’art. 6 Legge sulle fonti del diritto LXXI del 1° ottobre 2008 a mente del quale, quando una disposizione non può essere decisa con il riferimento ad una norma, devono essere tenuti presenti i precetti del diritto divino e del diritto naturale.

Di questi, infatti, è, a mio avviso, è espressione anche l’Insegnamento Sociale della Chiesa.

Come si è evoluta la disciplina del lavoro vaticana e quali funzioni svolge l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica?
A ben vedere, l’evoluzione della disciplina del “servizio petrino” è stata determinata dalle disposizioni dettate da San Giovanni Paolo II delle quali già è stato fatto cenno nella risposta al primo dei quesiti.

Qui è da aggiungere che la svolta fondamentale è stata determinata con il Motu ProprioNel primo anniversario del 1989”.

Con questo Motu Proprio, infatti, è stato istituito l’Ufficio del Lavoro della Santa Sede con la funzione di realizzare e consolidare “una vera e propria comunità di lavoro i cui pilastri portanti sono quelle caratteristiche del lavoro umano” che deve essere inteso “come dovere, come diritto ed infine come funzione”.

Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica che ha compiti propositivi e consultivi in materia di lavoro, ma soprattutto, e qui l’innovazione più significativa, ha la funzione di conciliare le controversie individuali e collettive del lavoro realizzando la “tutela della dignità di ciascun collaboratore”.

Nel suo ambito, infatti, è stato costituito il Collegio di conciliazione e arbitrato che, su ricorso dei dipendenti e sia pure nei limiti previsti, decide sui provvedimenti sospettati di aver leso un diritto o un interesse di chi lavora.

All’effetto, il Collegio ha eventualmente il potere (che non ha il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano) di annullare il provvedimento impugnato.

Per meglio comprendere la portata e il significato di queste innovazioni, basterà ricordare che, fino al 1989, e, cioè, fino all’istituzione dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, il dipendente che avesse ritenuto un suo diritto o un suo interesse fosse stato leso da un provvedimento illegittimo aveva soltanto la facoltà di reclamare, tramite i superiori, al Sommo Pontefice o quella di adire eventualmente al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano che, però, pur quando accerta l’illegittimità di un provvedimento, “non può revocarlo né modificarlo”.

Quali norme regolano il lavoro sub umbra Petri?
Come già accennato, le discipline che regolano il lavoro “sub umbra Petri” sono contenute nei vari Regolamenti che, oltre a quello Generale della Curia Romana, sono dettati per ogni altra struttura organizzativa della Santa Sede dello Stato della Città del Vaticano.

Fa eccezione esclusivamente la disciplina dei trattamenti retributivi e quella della tutela previdenziale che, almeno dal 1985, sono demandate alla competenza del Segretario di Stato anche per garantire la necessaria uniformità dei relativi trattamenti.

La conseguenza è che, per le altre materie, esiste una pluralità di regolamenti e, quindi, una pluralità di regimi che, a volte, differiscono tra loro limitatamente a qualche istituto e, a volte, trovano applicazione soltanto a pochi dipendenti.

Pluralità di regimi che, a ben vedere, contrasta con la visione unitaria del “servizio petrino” come “comunità ecclesiale” voluta da San Giovanni Paolo II della quale ho già riferito, ma che potrebbe essere almeno spiegata con l’autonomia di cui godono le singole strutture.

Come si articola il sistema pensionistico vaticano?
Un vero e proprio sistema pensionistico dei dipendenti vaticani è stato istituito da San Paolo VI con il Motu Proprio De pensionibus iterum ordinandis” del 1963.

Il sistema, essendo destinato a realizzare la tutela previdenziale di lavoratori considerati “pubblici dipendenti”, era ancora ispirato alla concezione per cui la pensione altro non è che la retribuzione spettante dopo il collocamento a riposo e, quindi, prevedeva una rigorosa correspettività della pensione con l’ultima retribuzione.

Non teneva conto, cioè, che in quasi tutti i paesi civili, e anche in Italia, i sistemi previdenziali erano, oramai e da tempo, ispirati al principio di solidarietà. Principio che aveva comportato il superamento della prospettiva in cui la pensione è considerata il rigoroso corrispettivo del lavoro prestato e quindi dei contributi previdenziali versati e che, per definizione, esclude qualsiasi preoccupazione in ordine all’effettività della tutela che ne deriva.

Fatto è che il sistema previdenziale del 1963 ha subito una profonda evoluzione nel 1992 e nel 2008.

Con il Regolamento del 1992 il sistema previdenziale vaticano si è, per così dire, modernizzato. Da un lato, la sua attuazione, fino ad allora affidata alle singole amministrazioni, è stata affidata al neo istituito Fondo Pensioni gestito dall’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede Apostolica. D’altro lato, la tutela pensionistica è stata estesa ai dipendenti non di ruolo, e cioè ai dipendenti “temporanei” o “avventizi” fino ad allora iscritti al regime generale italiano, e, infine, è stata avvertita l’esigenza di garantire l’effettività della tutela pensionistica anche nel tempo.

Per soddisfare questa esigenza, sono state previste, per la prima volta, la garanzia di un “minimo di pensione” e quella della “perequazione automatica” dei trattamenti pensionistici, mentre ai pensionati sono erogati assegni familiari non più in misura ridotta, ma nella stessa misura di quelli ai quali hanno diritto i dipendenti in servizio.

Il Regolamento del 2008 ha rafforzato l’effettività della tutela prevedendo una lievitazione costante dei trattamenti pensionistici che prescinde dalle variazioni del costo della vita alle quali già provvedeva la “perequazione automatica”.

L’ulteriore lievitazione è stata determinata dalla introduzione di “scatti periodici di anzianità” che, con il passare del tempo, incrementano automaticamente l’importo delle pensioni.

Infine, è da dire, da un lato, che chi presta il “lavoro sub umbra Petri” gode anche di un’efficacissima tutela sanitaria e, d’altro lato, che, nel 2004, è stata stipulata tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana una “convenzione di sicurezza sociale” che, per tener conto di ciò che chi lavora in Vaticano è quasi sempre un cittadino italiano o di altri paesi, garantisce la parità di trattamenti.

Agli effetti, la Convenzione individua la legislazione applicabile nei vari casi, la “totalizzazione” dei periodi di contribuzione versata nel regime vaticano e in quello italiano, detta regola per l’erogazione delle prestazioni previdenziali pecuniarie e per quelle, come quelle sanitarie, consistenti nell’erogazione dei servizi.

Mattia Persiani, professore emerito de La Sapienza romana, ha insegnato diritto del lavoro anche nelle Università di Pescara, Sassari e Cà Foscari di Venezia. Ha pubblicato oltre a numerosi saggi e manuali didattici le seguenti monografie: Il sistema della previdenza sociale (1960); Contratto di lavoro e organizzazione (1964); Politica della famiglia e politica della previdenza sociale (1968); Saggio sull’autonomia collettiva” (1972); La previdenza complementare (2006); Il lavoro sub umbra Petri (2016). Ha fondato nel 1995 la rivista Argomenti di diritto del lavoro che dirige con il prof. Franco Carinci e, con quest’ultimo, dirige anche il Trattato di diritto del lavoro edito dalla CEDAM. È stato segretario generale e Presidente dell’Associazione italiana di diritto del lavoro e della sicurezza sociale (AIDLASS); è consigliere di amministrazione della Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA). È avvocato cassazionista con Studio in Roma.

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