
Il libro racconta la maturazione della convinzione della necessità di uno sguardo olistico sulla malattia: come è avvenuto questo percorso?
Come racconto nel libro, il merito va ai pazienti che ho incontrato: mi hanno spinto a riflettere sull’energia che – loro dicevano – ricevevano dalle mie mani e dalla mia voce. Dopo anni di studio e lavoro all’Istituto Europeo di Oncologia ho deciso di approfondire ciò che alla mente razionale e alla scienza occidentale poteva apparire incomprensibile: il riequilibrio energetico attraverso il tocco delle mani (Reiki). È stato come spalancare una porta: dalla mia prima curiosità è esploso un tempo, non ancora concluso (non si concluderà mai), di esplorazione del mondo orientale e della sua filosofia di cura e di salute, e un approfondimento silenzioso di me stessa e del mondo con le potenzialità immense che a volte sottovalutiamo.
Una cosa però mi è sempre stata chiara, e l’ho imparata da bambina molto piccola: la persona non è la malattia, e non è neanche un corpo fisico da trattare come se fosse dal meccanico. Mio papà Abele, il medico migliore che abbia conosciuto, è stato il più grande esempio: ha prestato la cura ai pazienti ascoltandone i dolori, le gioie, le speranze, aprendo le porte dell’ambulatorio e andando a visitare a casa la gente senza filtri o segreterie telefoniche. Per lui la “testa” (così chiamava le emozioni, le aspettative, le credenze, i pensieri) era parte integrante della salute. “Non puoi guarire il corpo se non prendi in considerazione la testa della gente, devi sempre ricordare che la testa guida tutto”.
Quanto è importante per la guarigione, un approccio medico che tenga conto anche della la nostra «parte misteriosa»?
Un medico può essere di assoluta eccellenza anche senza approfondire approcci non ancora codificati dalla scienza, ma non può prescindere dal cuore e dalle emozioni: le proprie e quelle dei pazienti. Le emozioni fanno parte della probabilità di malattia o di guarigione, ma sono anche il motore che spinge ogni medico e ogni infermiere a scegliere le parole, le terapie, le svolte cruciali nella gestione della salute altrui. L’inconscio è un luogo meraviglioso e oscuro che ci guida più di quanto crediamo: il medico dovrebbe ricordarlo sempre, per aprirsi a relazioni migliori e più utili con i pazienti.
Nel Suo libro Lei sostiene che la cura è unica e speciale per ognuno di noi.
Lo è. Nessun corpo fisico è identico a un altro: la medicina di eccellenza infatti è personalizzata (il più possibile). Nessuna psiche è identica a un’altra. Le emozioni sono uniche per ognuno di noi, così come le interpretazioni del mondo. Mettendo insieme tutte queste certezza viene fuori una sola conseguenza: la Cura è un percorso, e quel percorso è una ricerca del paziente in prima persona con l’affiancamento di figure mediche e non mediche, e dei familiari.
Essendo unica e speciale, la Cura non può essere discussa in modo banale o frettoloso: resto senza parole quando ricevo email di persone che chiedono consigli medici senza conoscermi e senza un incontro di persona. La loro fiducia mi onora ma mi atterrisce anche un po’: non vogliamo essere trattati come numeri, come nomi senza volto, poi però cadiamo in errori come le consulenze chieste a distanza (magari in un social network).
In che modo la medicina può aprirsi a filosofie e pratiche che non hanno a che fare solo con la parte tangibile o con la cosiddetta «psiche»?
Essendo ciò che è: una scienza aperta a curiosa, fluida e progressiva. Una cooperazione attenta e positivamente critica tra professionisti diversi. Sono medico e uso la medicina cosiddetta “tradizionale”: i miei pazienti lo sanno. Anzi ho la caratteristica di ostinarmi a cercare motivi organici anche là dove alcuni colleghi definiscono sintomi e segni “frutto dell’emotività”. Uso farmaci e chirurgia, quando servono. La medicina di oggi non è la stessa di cento, di venti anni fa: perché non dovremmo pensare che possa essere differente tra trent’anni? Ciò che oggi è misterioso potrebbe essere normalissimo tra alcuni anni. Andate a guardare un acceleratore lineare di fotoni: cosa credete avrebbe detto un medico di poche centinaia di anni fa?