
Come si è formata la leggenda di re Artù?
Le origini più remote sono nebulose. È in alcuni testi latini composti in Galles nell’Alto Medioevo che troviamo le allusioni più antiche a un «Arturus», che ci viene descritto come condottiero dei «Britones», cioè dei Bretoni (com’erano anticamente chiamati gli antichi Gallesi). Anche se questi testi latini hanno un impianto storiografico o cronachistico, è stato impossibile rintracciare prove dell’effettiva esistenza storica di un condottiero, e tantomeno di un re, chiamato Artù. Al contrario, alcuni elementi disseminati nelle cronache – ad esempio iperboli sulla forza straordinaria di Artù, capace di sconfiggere da solo centinaia di nemici – suggeriscono che siamo davanti a una figura leggendaria, la cui fisionomia si era andata tracciando in seno al folklore celtico nel corso dei secoli. Il passo più importante nella formazione della leggenda è, comunque, la stesura dell’Historia regum Britonum (‘Storia dei re Bretoni’) da parte di Goffredo di Monomouth, tra il 1136 e il 1138: anche questa è una cronaca in latino, che però sviluppa in forma narrativa più coerente i tasselli sparsi nelle varie leggende alto-medievali. I romanzi “arturiani” francesi del XII e del XIII secolo sono fortemente indebitati proprio con la sistemazione della materia compiuta da Goffredo.
In che modo si sono sviluppati racconti indipendenti sul Graal, Lancillotto e Merlino?
Le tre leggende sembrano avere tutte radici celtiche: il Graal è connesso al motivo del “calderone dell’abbondanza” diffuso nel foklore. Solo in un secondo tempo, per mano di Robert de Boron (fine del XII secolo), si suggerisce un’identificazione tra questo oggetto – che prende il nome dal latino medievale gradalis, ‘vassoio da portata’ – e il vaso o la scodella in cui, secondo alcuni apocrifi, Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo nel giorno della Crocifissione. Per quanto riguarda Lancillotto, è possibile che la sua leggenda derivi da quella di un dio del folklore irlandese chiamato Lug; quando poi Chrétien de Troyes scrive un romanzo francese in versi su Lancillotto (seconda metà del XII secolo), doveva essere in circolazione un poema più antico su questo grande cavaliere, amante della regina Ginevra. Non ne sappiamo molto, se non che questo poema è stato la fonte di Chrétien e anche di un rifacimento germanico di inizio Duecento. Nella leggenda di Merlino, invece, confluiscono due filoni diversi: da una parte le narrazioni su un bardo-profeta gallese di nome Myrddin, dall’altra i racconti su un un saggio che, dopo una feroce battaglia, sarebbe impazzito per poi ritirarsi nelle foreste della Caledonia. Il primo romanzo interamente dedicato a Merlino risale di nuovo a Robert de Boron, autore di una triologia in francese sulla storia del Graal, su Merlino e su Perceval.
Qual è la struttura del ciclo cavalleresco?
La struttura, molto complessa, è analoga a quella di alcuni grandi “cicli” moderni, come ad esempio Guerre stellari. Sebbene la questione sia ancora molto dibattuta, l’ipotesi più accreditata è che in origine sia esistito un romanzo in prosa, Lancillotto, che iniziava dalla nascita dell’eroe e arrivava alle avventure della maturità. A partire da questo testo si sarebbe presto sviluppata una trilogia, contenente anche la Ricerca del Graal e la Morte di re Artù. Quest’ultimo romanzo mette la parola fine alle avventure dei cavalieri arturiani e, nell’epilogo, contiene una vera e propria diffida a proseguire la narrazione. Per continuare a raccontare e aggirare la diffida, in un terzo tempo – siamo comunque tra il 1215 e il 1235 – sarebbe stato aggiunto un prequel, che consisteva nella Storia del Santo Graal e nel Merlino. Quest’ultimo, infine, sarebbe stato raccordato alla trilogia (Lancillotto-Ricerca-Morte) con l’aggiunta di un raccordo che trasporta il lettore dalla fine del Merlino all’inizio del Lancillotto.
In che modo è giunto sino a noi il testo?
Sono sopravvissuti circa centosessanta manoscritti contenenti almeno uno dei cinque romanzi che compongono il ciclo. È un numero molto ingente se ci aggiungiamo le copie che, come accade per tutti i testi antichi, sono sicuramente andate distrutte nei secoli. Purtroppo, nessuno dei manoscritti conservati ha le caratteristiche di un “originale”, cioè di un testo scritto direttamente o almeno ricontrollato dal suo autore (che oltretutto è anonimo). Ogni copia, quindi, presenta alterazioni, rielaborazioni o anche riscritture radicali, che sono paragonabili ai moderni interventi di editing che subiscono le opere di narrativa durante la loro lavorazione. Di conseguenza, per risalire allo stadio più antico dei vari romanzi è necessario esaminare e confrontare tutte le copie superstiti e, applicando procedure filologiche, cercare di comprendere i loro rapporti reciproci, per poi ricostruire (nei limiti del possibile) la redazione originaria. Purtroppo, si tratta di un lavoro molto complesso e oneroso: a oggi, per nessuno dei romanzi del Lancillotto-Graal esiste un’edizione critica rigorosa e affidabile. Finora sono state pubblicate redazioni o versioni particolari, alterate in varia misura dall’intervento dei copisti-editori medievali.
Quali sono le principali tecniche narrative elaborate dagli anonimi prosatori?
La principale tecnica narrativa elaborata da questi prosatori è il cosiddetto entrelacement, che consiste essenzialmente nel narrare eventi simultanei, intrecciando tra loro i racconti e interrompendone uno per passare a un altro. Oggi siamo perfettamente a nostro agio con questa modalità di costruzione: quasi ogni romanzo, film, serie tv porta avanti in simultanea più “linee” narrative, costringendoci a passare continuamente dall’una all’altra, abbandonare un filo e riprenderlo più tardi da dove si era interrotto. Nel Medioevo, però, era una tecnica nuova, e siamo in debito proprio con gli autori dei romanzi arturiani del Duecento per averla perfezionata. Altre tecniche riguardano le scene di dialogo o la rappresentazione dei personaggi, che acquistano un maggiore spessore psicologico rispetto alla tradizione precedente.
Quali questioni interpretative solleva il ciclo?
Le questioni interpretative sollevate sono molteplici. Intanto bisogna chiedersi quale modalità di lettura richiedono questi testi, che sono sì romanzi, quindi racconti avventurosi e di finzione, ma si presentano come narrazioni storiche e, in alcune sezioni, si prestano (o si prestavano nel Medioevo) a essere letti come cronache di fatti realmente accaduti. La scelta stessa della prosa – rispetto ai versi del romanzo francese arcaico – colloca questi romanzi nella scia delle opere storiografiche e dei testi sacri: nell’antichità il racconto in prosa per eccellenza è la Bibbia. E in effetti nel racconto arturiano c’è una costante sovrapposizione di due piani, uno avventuroso o mondano e un altro trascendente. In alcuni episodi intervengono monaci o eremiti che spiegano ai cavalieri l’esistenza di due forme di chevalierie (‘cavalleria’), una terrena e l’altra celeste. Quando leggiamo questi romanzi, dunque, siamo continuamente sollecitati a tenere presenti più livelli di interpretazione: è una modalità di composizione e di lettura naturale per l’uomo del Medioevo (si pensi a Dante).
Quale fortuna medievale e moderna ha avuto il testo?
Il Lancillotto-Graal ha avuto un’ampia fortuna per tutto il Medioevo, come dimostrano appunto i numerosi manoscritti di cui parlavo: alcuni sono preziosissimi, lussuosi e ricchi di miniature; altri, eventualmente più modesti, sono comunque interessanti perché sono stati trascritti in francese ma confezionati in Italia, in Inghilterra o in Terra Santa, dando vita a copie linguisticamente contaminate. Questo ci dice che fin dalla sua prima diffusione (XIII-XIV secolo) la materia arturiana era apprezzata da lettori di classi sociali diverse e in territori anche piuttosto lontani dalla Francia. Di fianco alle copie franco-italiane, anglo-normanne e d’Oltremare si conoscono anche traduzioni dei diversi romanzi nelle principali lingue europee: in ogni area d’Europa, si sono quindi messi in moto dei meccanismi di appropriazione culturale che ci dimostrano il fascino e la vitalità del Lancillotto-Graal. Con l’introduzione della stampa, poi, i romanzi del ciclo hanno continuato a essere letti e diffusi per tutto il Cinquecento e il Seicento, mentre hanno conosciuto una fase di declino nei decenni successivi, prima di essere riscoperti dai letterati e dagli intellettuali di epoca romantica. Tra il tardo Medioevo e l’epoca moderna, un importantissimo vettore di diffusione è stato Thomas Malory, autore di una compilazione in inglese (la già citata Morte Darthur) che è la principale responsabile della fortuna della leggenda arturiana fino ai nostri giorni. Il libro di Terence White da cui è tratto il celebre cartone animato Disney La spada della roccia è un adattamento della sezione “merliniana” dell’opera di Malory. Sempre da Malory dipendono anche molti film, serie tv e, in Giappone, diversi manga e anime. In forme diverse, adattandosi nei secoli alle diverse culture, il Lancillotto-Graal continua a preservare intatto il proprio fascino.
Claudio Lagomarsini (Carrara, 1984) insegna Filologia romanza all’Università di Siena. Ha curato le edizioni critiche delle Aventures des Bruns, di alcuni testi appartenenti al ciclo di Guiron le Courtois e della prima traduzione italiana dell’Eneide. Insieme a Marco Infurna ha tradotto la Storia del Santo Graal (di prossima uscita nei «Millenni Einaudi»). È autore di articoli di approfondimento culturale, di racconti pubblicati in rivista e di un romanzo (Ai sopravvissuti spareremo ancora, Fazi, 2020).