
Grazie alle nuove ricerche portate avanti parallelamente tra Archivio Apostolico e Biblioteca Vaticana, ho potuto ricostruire la vicenda umana e artistica di questo virtuoso di musica, dimostrando che era di origine novarese, nato nel 1734, e aveva esordito col nome di Carlo De Cristofari, trionfando al Teatro Regio di Torino nelle stagioni 1757-1758 e 1758-1759, quando interpretò ben quattro opere, tutte prime assolute. Con le prime due – Nitteti di Ignaz Holzbauer e Adriano in Siria di Giovanni Battista Borghi – inaugurò le rispettive stagioni, e al Regio la serata della prima era il 26 dicembre. L’anno seguente – ossia il 1760 – Cristofari è attestato a Roma nel cast di alcuni allestimenti al Teatro delle Dame, seguiti da esibizioni a Parabiago e Viterbo, che, ieri come oggi, non sono esattamente due templi della lirica: indice di improvviso declinare della sua carriera. A quel punto dovette forse sorgere in lui l’idea di trovare una sistemazione che lo ponesse al riparo dagli incerti e dalle fatiche della vita di artista teatrale – prove, tournée, cachet, spostamenti continui, scontri con impresari e colleghi, rinnovi contrattuali… –, ossia di entrare di ruolo tra i Cantori della Cappella Sistina. Come tanti, del resto, avevano pensato e fatto prima di lui. Così lo si ritrova tra coloro che sui primi del 1770 tentano il concorso di ingresso in Sistina. A differenza degli altri però, non ci giunge forte solo della sua arte e della necessaria modulistica concorsuale, ma raccomandato, e dal papa in persona. Non sappiamo come si sia guadagnato i favori di Clemente XIV Ganganelli, ma sta di fatto che fu grazie a lui che ebbe il suo posto, sebbene da soprannumerario, in coro. Come tutti i raccomandati, poi, Cristofari non si sarebbe accontentato di quanto ricevuto, ma appena 10 giorni dopo aver vinto il concorso spediva al papa una richiesta di denaro che coprisse le sue necessità fino al raggiungimento del posto di ruolo, non mancando di mettersi in mostra per assenze e una condotta sempre molto disinvolta. Fu tra coloro che profusero notizie e dettagli coloriti al musicologo inglese Charles Burney, che era in Italia in quello stesso 1770.
Quale contesto fa da sfondo a questo misterioso incontro?
Il contesto della vicenda raccontata nel libro è quello della Roma del 1770, sulla quale regna un papa eletto da nemmeno un anno e in cui si mescolano violente lotte per il potere – una vede implicato il papa e il Governatore di Roma, Antonio Casali, un’altra gli stessi Cantori Sistini e il protervo cardinale Alessandro Albani – e processioni religiose, simulazioni di furto e gogne pubbliche, Quarantore e concorsi per cantanti. Siamo poi nel pieno della Settimana Santa, per cui si tratta di una città mortificata dai rigori quaresimali, vissuti nella maniera più vuota e formalistica possibile. Fino a toccare punte di ridicolo che i diversi Editti pubblici affissi alle pareti cittadine offrono, e che nel libro si possono anche vedere grazie alle riproduzioni fotografiche. Lo sfondo è costituito da una città, un paese e una cultura che hanno fatto di tutto per evitare l’incontro con l’Illuminismo, e che dunque vivono in un ripiegamento devozionale e autoritario, che si illude di superare le difficoltà scansandole. In questo contesto i Mozart, asburgici di formazione, si muovono su questo scenario tragicomico, che conserva ancora le ultime vestigia delle stagioni più brillanti del Cattolicesimo, ma intrise di nostalgia e paranoia.
In che modo la fonte manoscritta rinvenuta nella Biblioteca Vaticana permette una ricostruzione più dettagliata e vivida del celebre affaire della trascrizione a memoria, effettuata da Mozart, del Miserere di Gregorio Allegri?
La ringrazio particolarmente per questa domanda, perché mi permette di tornare su un punto importante. A proposito del quale ho ricevuto alcune mail da parte di lettori, ai quali ho risposto dettagliatamente, e letto commenti in rete, spesso grossolani e ingenui. In sostanza, mi si rimprovera il fatto che i documenti portati alla luce non facciano mai menzione diretta né esplicita di Leopold e di Wolfgang Amadeus Mozart, della loro presenza in Sistina nel corso della Settimana Santa del 1770, e della trascrizione a memoria del Miserere di Gregorio Allegri. Per cui risulterebbe ingannevole il sottotitolo del volume: «L’affaire del Miserere di Gregorio Allegri», e furbesca la manovra editoriale. Avrei posto in bella vista lo specchietto delle allodole mozartiano per contrabbandare materiale, inedito sì, ma fuori contesto e che – continuando ad infierire – nessuno avrebbe trovato altrimenti interessante.
Questo giudizio è senza fondamento e per almeno tre ordini di ragioni, che provo ad argomentare qui di seguito:
Ragioni storico-generative: il testo è nato come ricostruzione del passaggio vaticano-sistino del giovane Mozart. Quello è stato il primo spunto e quello è stato il filo narrativo che ho cercato di tener presente, anche se col tempo tutto quello che era “di contorno” ha finito per dilatarsi e prendere forse il sopravvento. Il fatto è che nessuno immaginava che tra le nostre fonti fossero conservati così tanti materiali relativi a quell’episodio. Il fondo Capp. Sistina è infatti quasi sconosciuto e non mi risulta che nessuno abbia mai valutato e valorizzato la portata documentaria del Diario del 1770. Si è trattato – anche se l’immagine non brilla per letterarietà – di una sorta di lievitazione non prevista.
Ragioni narratologiche: la struttura del volume risulta dall’intreccio in ordine rigorosamente cronologico delle fonti mozartiane e di quelle vaticano-sistine, che ho voluto seguire nella maniera più minuta e precisa possibile. A fare da scaletta al volume è, infatti, un vero e proprio calendario sinottico sul quale ho appuntato giorno per giorno gli eventi relativi ai Mozart e quelli “romani”, così da ricostruire quasi cinematograficamente le stesse giornate viste da una prospettiva e dall’altra.
Ragioni storiche: questo lavoro ha l’innegabile pregio scientifico di aver proceduto alla verifica delle fonti mozartiane e al loro completamento. Mi spiego meglio. Tutto quanto attiene al viaggio italiano dei Mozart poggia – come documentazione – sulle testimonianze familiari: di Leopold, di Wolfgang e di Nannerl, ma nessuno aveva mai intrapreso una verifica della loro attendibilità storica e documentale. Dal confronto con le fonti romane possiamo oggi anzitutto attestare che quanto emerge da testimonianze e carteggi mozartiani è degno di fede, storicamente attendibile, poiché combacia alla perfezione con queste, fino al particolare delle uova sode ricevute da un cameriere quasi di sotterfugio per cena: l’aria furtiva era autentica e cosciente, dal momento che gli editti quaresimali vietavano, e con pene severe, di servire quel tipo di piatti durante i Giorni Santi. In secondo luogo, questo libro e le sue fonti ricostruiscono, come non era mai stato fatto, l’esatto contesto della visita romana dei Mozart. Il fondale su cui si svolse, la rete di personaggi che essi incontrarono, la musica che ascoltarono, ma soprattutto la qualità di quelle esecuzioni. Forniscono il quadro in cui inserire l’incontro col Segretario di Stato Vaticano e danno consistenza alla figura di Carlo Cristofari. Senza contare che il Diario di Juan Lopez Barrera permette, una volta per tutte, di chiarire che cosa i Mozart abbiano effettivamente ascoltato in Sistina – rimaneva il dubbio se la seconda sera fosse stato eseguito il Miserere di Allegri o quello di Baj, come fu effettivamente il caso – e anche che genere di esecuzione fosse stata quella cui ogni volta furono presenti. Tramite il Diario del 1770 possiamo finalmente immaginare con verisimiglianza che cosa fu eseguito e come. A che livello qualitativo.
Accusarmi di non essermi occupato a sufficienza di Mozart e di aver prodotto fonti che non parlano di lui, significa avere della Storia un concetto estremamente misero. Ridotto ai soli “personaggi”, senza tener conto degli ambienti, dei climi – metereologici (pioveva molto in quel principi di 1770) ed emotivi – degli incontri. Di tutto quello, cioè, che ruota intorno al “genio” e che costituisce il luogo e il tempo che egli ha attraversato in un interscambio inevitabile e interessante. Denota, cioè, una concezione ancora troppo romantica, e decisamente superata dello studio della Storia: un personaggio è anche il suo contesto. E si misura sul suo contesto. L’affaire del Miserere, ricollocato nel suo contesto, brilla di una luce nuova, più interessante, più complessa e più realistica, e che lo rende più comprensibile e concreto. E cessa, così, di essere una sorta di aneddoto, sospeso tra mitologia e gusto per la trouvaille.
Quali altri personaggi ruotano, nel Suo racconto, attorno a questo episodio?
Le direi che ruotano personaggi di tutti i generi, e per tutti i gusti. Banditi e biscazzieri, cardinali e forze dell’ordine, cantanti e macellai, principesse, musicisti, pretendenti ai troni perduti, cantanti lirici, vetturini, segretari e locandiere. Il libro presenta uno spaccato sociale e culturale veramente notevole, perché i Mozart vennero a contatto con mondi diversi: da quelli della ristorazione e dell’albergazione a quelli dei trasporti, dal mondo artistico del loro tempo – incontrarono padre Martini e molte stelle della lirica, ancora attive o ormai in pensione, come nel caso di Farinelli – a quello ovviamente ecclesiastico e curiale. Sempre protetti e introdotti dalla longa manus del governo asburgico che poteva contare sulle proprie influenze dirette e indirette: il Trentino era austriaco, Milano governata da Firmian, a Bologna c’era il conte Pallavicini-Centurioni, militare e diplomatico di origine genovese, che era stato ministro plenipotenziario e comandante delle truppe austriache, a Firenze regnava uno dei figli di Maria Teresa d’Austria, in Vaticano Segretario di Stato era il cardinale Lazzaro Opizio Pallavicini, cugino del conte Pallavicini-Centurioni. Una trasversalità sociale e culturale che le fonti messe in opera per ricavare la narrazione hanno saputo direi rispettare e rendere in tutta la sua complessità.
Giacomo Cardinali (Mondavio, 1977) è aiuto-Scriptor della Biblioteca Apostolica Vaticana. Filologo e paleografo, si occupa di manoscritti e di libri a stampa tra XVI e XVIII secolo, di storia delle biblioteche e del collezionismo antiquario, di letteratura neolatina e teatrale. In qualità di Commissario della Sala Espositiva organizza e cura mostre che vedono in dialogo il patrimonio della Vaticana e artisti contemporanei. Collabora con Domenica del Sole 24 Ore.