
Quale importanza riveste, nella società attuale, il giornalismo scientifico?
La pervasività crescente della scienza e della tecnologia, si pensi ai cambiamenti climatici, alle pandemie, alle cellule staminali, agli algoritmi o ai vaccini, rendono il giornalismo scientifico un protagonista assoluto nella produzione culturale, nello sviluppo socio-economico, nella salvaguardia della democrazia.
Il giornalismo scientifico può essere anche considerato un modello per il resto del giornalismo, dato che l’abilità di leggere dati, l’alta specializzazione nei contenuti, il pensiero critico, l’utilizzo di strumenti digitali per monitorare sistematicamente i social sono tutte prospettive molto interessanti per ridare fiducia al sistema dell’informazione che i giornalisti scientifici sembrano cogliere, e a volte anticipare, meglio di altri.
Che rapporto esiste tra giornalisti scientifici e scienziati?
La National Association of Science Writers (NASW) è un’associazione che riunisce i maggiori professionisti nel settore dell’informazione scientifica, medica e tecnologica degli Stati Uniti. Tra le più importanti al mondo, la NASW, nata nel 1934, si chiama così perché i membri fondatori ritenevano che definirsi science writer fosse più professionale rispetto a giornalisti o reporter. La Nasw invitava gli scienziati a fidarsi di loro perché appartenevano a un’élite, erano i portavoce della «verità scientifica» all’interno delle redazioni. Viceversa raccomandavano alla comunità scientifica di non interagire con altri giornalisti perché non erano «veri scrittori di scienza». L’aneddoto la dice lunga sul rapporto tra scienziati e giornalismo scientifico. Un legame speciale, segnato da una vicinanza simbiotica ma anche da tensioni.
L’ambiguità della relazione si può ricondurre alla difficoltà di trovare un terreno condiviso tra limiti e regole differenti delle due comunità, anche perché i modi di lavorare cambiano a seconda delle discipline, delle linee editoriali, dei fattori economici e del contesto storico-culturale. Un tema ricorrente di confronto tra scienziati e giornalisti riguarda i tempi di lavoro. Gli scienziati sono in genere riluttanti a comunicare i risultati delle loro ricerche prima della pubblicazione su una rivista specialistica, un processo che può richiedere mesi se non anni. Esiste una regola che stabilisce questo comportamento formulata nel 1969 da Franz J. Ingelfinger, all’epoca direttore del “New England Journal of Medicine”. Secondo tale prescrizione le riviste scientifiche non dovrebbero pubblicare articoli il cui contenuto sia già stato reso noto in precedenza in altri contesti. La norma non solo inibisce la disponibilità dei ricercatori, soprattutto i più giovani, a parlare con i media per paura di mettere a repentaglio la propria carriera, ma contrasta con l’esigenza dei giornalisti di riferire sugli avvenimenti e le scoperte scientifiche nel momento in cui si verificano.
La situazione non è in realtà così lineare. Soprattutto negli ultimi anni e in caso di controversie, gli scienziati si rapportano ai media con maggiore disinvoltura rispetto al passato. Alcuni studiosi parlano di “medializzazione della scienza”, intendendo con questo concetto la crescente tendenza a considerare criteri mediatici, tra cui la visibilità pubblica, rilevanti anche per la scienza e comunque meno compromettenti.
Quali sono le competenze richieste per diventare giornalisti scientifici?
Tra le competenze tradizionali e specifiche dei giornalisti scientifici si possono annoverare la capacità di leggere i papers, di addentrarsi nella letteratura accademica e più in generale nel sistema della produzione della conoscenza specialistica, di destreggiarsi tra numeri, statistiche, analisi del rischio.
Raccontare i risultati scientifici in modo accurato però non basta più. Alle abilità descritte sopra vanno aggiunte conoscenze multidisciplinari e interdisciplinari in grado di permettere la contestualizzazione delle notizie scientifiche in diversi ambiti culturali, produttivi, economici e di ricezione dell’informazione tecnoscientifica. Per i giornalisti scientifici è certamente necessario rimanere ancorati ai dati e alla migliore conoscenza disponibile, ma abbiamo ormai capito che i fatti della scienza non parlano da soli e che le persone possono anche comprendere i fatti della scienza ma essere in disaccordo sulle decisioni da prendere a partire da essi. Quando parliamo di cambiamenti climatici, di algoritmi, di macchine che guidano da sole, di nanotecnologie, i risultati della scienza vengono connessi a identità, senso di appartenenza alle comunità, diritti, interessi. Se da una parte per fare informazione su questi temi è indispensabile la comprensione approfondita dei meccanismi di produzione della conoscenza, dall’altra è cruciale saper inquadrare, raccontare le notizie scientifiche in modo che non entrino in conflitto con i valori. Altrimenti il risultato rischia di essere inevitabilmente la polarizzazione su basi ideologiche, religiose, partitiche. Alcuni autori sostengono che uno dei compiti principali della comunicazione della scienza e del giornalismo scientifico in particolare è per questi motivi quello di “bonificare” il sistema dell’informazione scientifico, vale a dire di depurarlo di tutti gli elementi di potenziale conflittualità in modo che le persone siano più disponibili a considerare i risultati provenienti da laboratori e centri di ricerca senza legarli a significati divisivi.
In che modo si deve scrivere di scienza?
Per scrivere di scienza bisogna combinare sempre di più le capacità di sapersi orientare in una grande quantità di informazioni e concetti specialistici con le tecniche di storytelling.
Inoltre, dopo aver indagato su peer-review, design sperimentali, soggetti coinvolti in uno studio, è necessario saper individuare l’esperto o gli esperti giusti e saper porre le domande più salienti per i lettori.
Altre specificità della scrittura nel giornalismo scientifico riguardano il trattamento dell’incertezza e il rischio del false balance, vale a dire il rischio di mettere sullo stesso piano due posizioni che in realtà non lo sono, una pratica che risponde a un principio molto sentito soprattutto nel giornalismo anglosassone, quello dell’obiettività, ma che può rivelarsi dannoso nel caso della scienza quando il consenso su certi argomenti è pressoché unanime. Nella comunità dei giornalisti scientifici non tutti sono convinti della necessità di riportare sempre e comunque pareri divergenti, soprattutto su temi delicati come il riscaldamento globale. Inoltre, l’enfasi sul bilanciamento delle parti in alcuni casi serve a mascherare la mancanza dei controlli necessari ad accertare l’attendibilità delle posizioni in campo.
Molto spesso il giornalismo scientifico viene infine sovrapposto alla divulgazione. Nella scrittura questo si riflette in un eccesso di spiegazioni con finalità educative e con un’attenzione molto forte nei confronti dell’accuratezza, intesa come un’entità misurabile attraverso un semplice confronto tra un resoconto considerato corretto, quello dell’esperto o quello pubblicato su una rivista specialistica, e la sua versione mediatica, vale a dire la notizia per il grande pubblico.
Alcuni sostengono che quello di cui si dovrebbero preoccupare maggiormente i giornalisti scientifici è però stabilire se quanto affermato dagli scienziati sia valido, più che focalizzarsi sui dettagli di una ricerca che potrebbe essere poco significativa o condizionata da valori, interessi e prospettive estranei alla produzione di conoscenza. Non bisogna poi dimenticare che scrivere di scienza ha a che fare con l’immaginazione del futuro e anche quest’aspetto può avere conseguenze su stile e struttura dei testi.
Il web rappresenta la nuova frontiera del giornalismo scientifico: a quali trasformazioni va incontro la professione?
L’impatto delle piattaforme digitali sulle modalità di utilizzo dell’informazione e sull’“economia dell’attenzione” ha determinato diversi cambiamenti nelle pratiche e nei processi del giornalismo scientifico, analoghi a quelli nel giornalismo in generale, che riguardano tra l’altro: l’aumento del numero di science writer che creano siti web, blog, canali su YouTube o profili social personali per contrastare la concorrenza online di ricercatori, università, associazioni non governative; il rapporto con le fonti; la diversa selezione e il diverso trattamento degli argomenti scientifici a seconda dei canali; la gestione dei commenti dei lettori e molto altro.
Forse però la novità più importante nel rapporto tra giornalismo e scienza dovuto a Internet ha a che vedere con un nuovo slancio alle riflessioni sulla possibile vicinanza tra il modo di lavorare dei giornalisti e quello degli scienziati, un tema di cui si discute da decenni. Già negli anni Settanta Philip Meyer, un professore di giornalismo della University of North Carolina negli Stati Uniti, sosteneva la necessità di «trattare il giornalismo come se fosse una scienza, adottando il metodo scientifico, l’oggettività scientifica e gli ideali scientifici per l’intero processo della comunicazione di massa». L’idea di trattare il «giornalismo come se fosse una scienza» è rimasta marginale in tutto il mondo, ma la transizione digitale ha riaperto in modo nuovo la questione e alimentato la discussione sulla ridefinizione di un metodo giornalistico basato su criteri più scientifici. Un ambito concreto in cui queste prospettive hanno trovato una sintesi è il data journalism, che consiste nella realizzazione di articoli e storie con gli strumenti della statistica, dell’informatica, del web design e della visualizzazione sotto forma di infografiche e mappe.
Nico Pitrelli è responsabile dell’Ufficio comunicazione della Sissa (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste e direttore del Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” presso la stessa istituzione. È anche consulente per le relazioni con i media dell’ICTP (Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam”), sempre a Trieste e dal 2017 al settembre 2020 è stato communication manager dell’EuroScience Open Forum – ESOF2020 Trieste. Ha scritto i seguenti libri: L’uomo che restituì la parola ai matti. Franco Basaglia, la comunicazione e la fine dei manicomi (Editori Riuniti, 2004); Il giornalismo scientifico (Carocci, 2021); con Yuri Castelfranchi, La grande storia della Terra (La Biblioteca, Milano, 2002) e Come si comunica la scienza? (Laterza, 2007); con Pietro Greco, Scienza e media ai tempi della globalizzazione (Codice, 2009); con Mariachiara Tallacchini, Nuova scienza nuova politica. Per una democrazia della conoscenza (La libellula, 2021).