“Il Gesù storico. Guida alla ricerca contemporanea” di Pierpaolo Bertalotto

Il Gesù storico. Guida alla ricerca contemporanea, Pierpaolo Bertalotto«Il punto più controverso in ambito metodologico nella ricerca sul Gesù storico è certamente costituito dalla scelta dei criteri da utilizzare nell’individuazione del materiale autentico all’interno delle tradizioni pervenuteci.

Soprattutto in passato, ma ancora oggi anche in alcuni circoli accademici, il criterio di canonicità è stato ed è ritenuto valido. Gli scritti inseriti nel canone del Nuovo Testamento, divinamente ispirati secondo i cristiani, sono cioè stati a lungo considerati le uniche fonti attendibili per la ricostruzione della vicenda storica di Gesù non per via della loro maggiore antichità, ma in quanto depositari di una verità che va al di là della storia. Oggi prevale tra gli storici l’idea che il concetto di canonicità appartenga più alla sfera teologica che a quella storica. Ne è derivata una rivalutazione sostanziale dei testi cosiddetti apocrifi, almeno in linea di principio. Il Jesus Seminar, ad esempio, del quale si parlerà più diffusamente nel Cap. 1, attribuisce grande importanza al Vangelo di Tommaso nella sua selezione dei detti autentici di Gesù. Come detto, questa tendenza è prevalente nella ricerca contemporanea, a tal punto che in alcuni casi si attribuisce agli scritti apocrifi un’attendibilità storica che, a un esame più approfondito, dimostrano di non possedere. La scelta dei quattro vangeli oggi considerati canonici da parte di un settore rilevante del movimento cristiano è una scelta molto antica, già attestata in un testo frammentario probabilmente composto nella comunità romana verso la metà del II secolo d.C. e noto come Frammento o Canone Muratoriano. Tale scelta non è unicamente fondata su motivazioni di natura teologica. Già attorno alla metà del II secolo la Chiesa di Roma considerava i vangeli attribuiti a Marco, Matteo, Luca e Giovanni come gli unici testimoni attendibili fra i tanti in circolazione a quel tempo, molti dei quali sono poi andati perduti. Se da una parte questa selezione era finalizzata a prevenire l’affermarsi di insegnamenti “eretici”, soprattutto di origine gnostica, attraverso la diffusione nelle comunità cristiane di scritti contenenti tradizioni su Gesù e sui primi discepoli non ritenute autentiche, dall’altra la Chiesa cercava anche di porre un freno alla fantasia di quanti tentavano di soddisfare la curiosità popolare riempiendo i vuoti di informazioni nei testi antichi con invenzioni anche piuttosto ingenue. È naturale che lo storico contemporaneo non possa accontentarsi della ortodossia quale criterio per la valutazione dell’attendibilità storica di una tradizione su Gesù. Tuttavia, egli non può neanche ignorare il fatto che gli scritti inseriti nel canone sono sempre stati considerati i più antichi. La critica testuale e l’analisi letteraria dei vangeli, in un primo momento utilizzata soprattutto dai filologi al fine di individuare la forma originale e, dunque, più affidabile del testo, hanno confermato tale credenza. Oggi, con poche ma senz’altro importanti eccezioni di cui si dirà oltre, la gran parte degli studiosi è pronta ad ammettere che i vangeli canonici rappresentano la fonte principale, anche se non l’unica, per la ricostruzione della vicenda storica di Gesù.

D’altra parte è anche vero che la maggiore antichità di una tradizione non necessariamente implica la sua maggiore attendibilità. Per assurdo, anche se disponessimo di un resoconto dei discorsi di Gesù e delle sue discussioni sicuramente attribuibile a uno dei suoi discepoli più stretti, magari addirittura composto mentre gli eventi narrati avevano luogo, non potremmo comunque avere la certezza che questo scritto riporti le parole autentiche di Gesù e, ancora meno, che esso ci permetta di ricostruire il suo pensiero e le sue intenzioni. Lo scrittore antico, con la sua cultura, le sue idee e le sue finalità, rappresenta pur sempre un filtro attraverso cui lo storico contemporaneo è obbligato a guardare. Tale considerazione vale a maggior ragione, data la loro natura e le loro finalità, per i vangeli. Si tratta di opere letterarie composte con lo scopo specifico di confermare e rafforzare la fede delle comunità destinatarie. Essi rispecchiano le concezioni religiose degli autori e dei destinatari, relative non solo alla natura e all’identità di Gesù, ma anche alla collocazione di queste nuove idee all’interno del più ampio panorama della fede trasmessa dalla tradizione precedente. Queste opere, dunque, tanto quelle canoniche quanto quelle apocrife, risultano essere strumenti utilissimi per la ricostruzione dell’ideologia di fondo delle comunità di cui sono espressione, ma molto più insidiosi quando l’obiettivo dell’analisi sia l’individuazione di quegli elementi autenticamente riconducibili alla figura storica di Gesù. Solamente un testo scritto direttamente da Gesù, che però, a quanto ci risulta, non esiste e non è mai esistito, sarebbe in grado di fornirci dei dati certi per ricostruire ciò che egli effettivamente pensava, cosa intendeva significare con le sue parole e con i suoi atti.

La reazione più naturale di fronte a fonti tanto particolari è quella di scoraggiamento e pessimismo: come può lo storico essere certo che una determinata tradizione risalga direttamente a Gesù e non rappresenti piuttosto il frutto di una più o meno volontaria cattiva interpretazione, dettata magari dalla necessità di armonizzare gli eventi storici reali con quanto del maestro l’evangelista aveva sempre creduto? Come si può distinguere, all’interno dei testi letterari pervenutici, i fatti realmente accaduti dalle loro trasfigurazioni letterarie dettate dalle personali concezioni dell’autore o, addirittura, dalle parti narrative completamente inventate? Si impone dunque la necessità di individuare dei criteri oggettivi di selezione dei materiali autentici.

Fra i criteri più usati nella storia della ricerca spicca per la sua semplicità ed efficacia il criterio di multipla attestazione. In sostanza, secondo questo criterio una tradizione attestata in più fonti indipendenti tra loro, come Marco e Q, un’ipotetica fonte di detti di Gesù composta più o meno nello stesso periodo di Marco, o Marco e Paolo, e in forme letterarie diverse, come racconti di miracoli e parabole, ha un’alta probabilità di essere autentica.

Un altro criterio importante è quello di coerenza: ciò che appare coerente con quanto noto a proposito di Gesù stesso o del suo contesto attraverso altri strumenti è probabilmente autentico.

Ancora, tra i criteri più utilizzati nella storia degli studi sul Gesù storico, sin dai primi tentativi emersi in ambiente illuministico, è quello cosiddetto di “dissomiglianza” (dissimilarity) a cui si accompagna quello di “imbarazzo” (embarrassment). Secondo molti studiosi, ciò che nei vangeli appare in contraddizione con la concezione più generale di ciascun testo, o ciò che avrebbe creato imbarazzo alla comunità cristiana che produsse il testo, non può che risalire direttamente a Gesù. Si parte cioè dall’assunto che ciascun evangelista abbia cercato di proporre ai suoi destinatari un’immagine quanto più possibile coerente del protagonista del suo racconto ma inevitabilmente diversa dall’originale. Nonostante i suoi sforzi, qualche pezzo del puzzle sarebbe comunque rimasto fuori posto. Individuare tali elementi di incongruenza interna significherebbe rintracciare il dato più probabilmente riconducibile al Gesù storico. Lo stesso criterio è anche stato usato, soprattutto dagli studiosi della New Quest, per distinguere Gesù dal contesto giudaico nel quale visse e operò: tutte le tradizioni che nei vangeli appaiono in contraddizione con quanto noto riguardo al giudaismo al tempo di Gesù non possono che venire da Gesù stesso. Il criterio di dissomiglianza si fonda, come appare evidente, sul presupposto che esista un’inesauribile opposizione, oltre che una distinzione, tra ciò che Gesù disse o intendeva dire, fece o intendeva fare, e ciò che i suoi primi seguaci compresero o vollero comprendere, trasmisero o vollero trasmettere, nonché con ciò che egli aveva ereditato dalla sua cultura di origine. Si dà per scontato che uno scarto incolmabile separi la figura storica di Gesù da quella che i discepoli predicarono nelle prime fasi della diffusione del movimento cristiano e dall’ambiente culturale che produsse tutte queste figure storiche. Dalla figura “mitologizzata” di Gesù, che i suoi primi seguaci predicarono, deriverebbero le rappresentazioni, peraltro anch’esse tra loro piuttosto differenziate, offerte da ciascuno degli evangelisti.»

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