
Il numero 0 della Rivista è dedicato alla Geopolitica della scienza: quale rapporto esiste tra scienza e geopolitica?
Le responsabilità degli scienziati nel mondo contemporaneo sono in netto incremento rispetto a quelle del passato, e ciò dimostra il loro coinvolgimento nelle politiche di espansione e sviluppo dei vari Paesi, soprattutto in un’epoca di rivoluzione tecnologica come la nostra. Ora, a differenza della scienza, possiamo dire che la tecnologia è priva di ogni ‘etica’ e tende a superare se stessa, imponendo certe caratteristiche di assimilazione ad un modo sempre più moderno di intendere la ricerca e di agire sui campi di interesse scientifico. Le aree di questi interessi sono gestite più che altro da ‘tecnocrati’ che da scienziati. In questo senso la scienza si collega alla geopolitica laddove eventi mondiali lasciano, molto spesso, scoperte le loro responsabilità rispetto al miglioramento della condizione umana e sociale. Anche perché, va detto che l’obiettivo della scienza è quello di migliorare la condizione umana globalmente; ciò vale per la biochimica come per la sociologia, per la politica come che per la ricerca dei fisici etc. Questa è un po’ una eredità positivistica, se vogliamo. Il nesso tra geopolitica e scienza è presto stabilito, nel senso che lo studio attuale delle risorse che i vari Paesi stabiliscono per gli investimenti nel campo della ricerca comprende gli interessi di geopolitica come che di quelli sociologici scientifici. La scienza dovrà valutare le risposte alla definizione di problemi inerenti la geopolitica e, viceversa, la geopolitica dovrà allargare il proprio raggio d’azione comprendendo lo studio delle azioni scientifiche condotte sugli investimenti in un’area geografica ben delimitata.
I rapporti tra politica e ricerca scientifica chiamano in causa anche problemi di ordine etico.
Per rispondere a questa domanda mi limiterò a citare il mio articolo sul Numero 0 della Rivista in modo da renderlo pubblico: “Il rapporto della scienza con le condizioni geografiche dei vari Paesi rispecchia il tema delle risorse messe in campo per sostenere branche della ricerca, localizzando gli sforzi per ottimizzare al meglio i vari risultati, secondo i piani prestabiliti e in rapporto alle politiche di investimento. Ma il problema della allocazione delle risorse non è soltanto un problema politico e/o di strategia politica. È anche un problema di etica scientifica, laddove gli scienziati, che sono i diretti interessati, possono rappresentare una parte notevole di quel consenso che, a volte, non è questione scontata, e che, quindi, diviene il primo passo per l’attuazione di una certa politica della/nella ricerca scientifica. Vogliamo dire con questo che esiste un problema di responsabilità sociale degli scienziati che soprattutto oggi, nell’era tecnologica, va tenuto presente e che, con i dovuti approfondimenti, sposta tutto l’interesse verso la sociologia della scienza, una disciplina che ha i suoi meritati episodi di celebrità negli Stati Uniti a partire dal primo quarantennio del XX secolo e le sue manchevoli dimostranze nei confronti della modernizzazione del mondo occidentale e dell’Europa in particolare ( anni ’70 del ’900). Di fatto, oggi non si può certo dire che esiste un paradigma dominante nel panorama interno di tutte le scienze, anche perché il mondo moderno risponde con molta celerità nei confronti di modelli che offrano una versione pianificata delle materie scientifiche. Nessuno degli scienziati moderni si sogna di fare riferimento ad una prospettiva dominante se non ha bene verificato prima il tema della scelta responsabile degli individui implicati. Per ciò che concerne la sociologia della scienza, va detto che questa prende posizione sul tema dei resoconti di disinteresse che circolano al cospetto di politiche della ricerca ben definite. Ciò ci fa credere, ad esempio, che esiste un prospettiva critica nei confronti dell’affermazione di una certa utilità nel computo delle/nelle varie scienze nonché di un atteggiamento che si confronta con la pretesa rincorsa della verità nei campi di applicazione scientifica. Nel secolo scorso, così scriveva il grande sociologo americano Robert King Merton: “Sottolineare la purezza della scienza ha avuto conseguenze diverse dal minacciare, piuttosto che preservare, la stima sociale della scienza. Si insiste ripetutamente che gli scienziati dovrebbero, nelle loro ricerche, ignorare tutte le considerazioni diverse dal progresso della conoscenza. L’attenzione dovrebbe venire rivolta esclusivamente al significato scientifico del loro lavoro, senza alcuna preoccupazione per gli usi pratici a cui può essere adibito o, in generale, per le sue ripercussioni sociali (..) Le conseguenze oggettive di questo atteggiamento hanno fornito un’ulteriore base per la rivolta contro la scienza: un atteggiamento di rivolta virtualmente presente in ogni società in cui la scienza ha raggiunto un alto grado di sviluppo”.
Oltre al senso di differenziazione tra ‘scienza pura’ e ‘scienza applicata’, tali affermazioni ci introducono nel tempo odierno, laddove l’affermazione di una eticità schiacciante da parte degli scienziati sul mondo, resta un problema insoluto e insolubile, soprattutto nei confronti di una frammentazione del sapere scientifico che assilla ogni ambito disciplinare e che si muove pericolosamente in senso controproducente. Per dirla in altri termini, la geopolitica della scienza che segue criteri di eticità, imporrebbe oggi la vera rinuncia nei confronti di politiche localistiche, per non dire geografiche e territoriali (le quali, ad esempio, ancora governano i concorsi universitari) e, comunque, la non vicinanza a strategie massicce di investimento di capitali in rapporto all’aumento dei profitti delle grandi imprese industriali e/o di quelli del capitalismo finanziario (l’altra faccia del capitalismo).
Sempre lo stesso numero ospita un intervento del Dott. Issau Agostinho sul tema dell’utilizzo dei Big Data nelle scienze politiche e sociali: qual è l’impatto dei Big Data su queste discipline?
L’impatto dei Big Data sulle scienze sociali e politiche ha sempre più rilevanza, soprattutto all’interno di una prospettiva moderna tra i contemporanei. Infatti, l’utilizzo di grandi masse di dati a livello relazionale implica un nuovo modo di rapportarsi all’attualità dei fenomeni politici, economici e di quelli inerenti ai processi della globalizzazione. I Big Data ovviamente implicano il ricorso alle nuove tecnologie e alle metodologie che hanno a che fare con una raccolta massiva di dati. È interessante commisurare l’impiego di tali sistemi alla visione geopolitica in una ottica di cambiamento che può essere fatta risalire al globalismo. Infatti con l’inizio del XX secolo già si vide l’avvento nella politica internazionale di un sistema politico destinato ad espandersi, laddove ogni aumento di forze sociali, anziché dissiparsi in un circuito circostante di spazio ignoto, riecheggiava dall’altra parte del mondo in modo da porre questioni allarmanti. L’importanza del contesto geografico in cui si esercita la potenza politica, ha dato luogo all’incremento di analisi e di produzione di dati utili alla spiegazione dei fenomeni implicati, laddove certi fattori di mutamento, come ad esempio quelli occorsi nella tecnologia del trasporto o negli armamenti, possono risultare evidenziabili se rapportati ad altri fenomeni in espansione. È chiaro che in una tale prospettiva, le teorie geopolitiche risultano in grande espansione, allo stesso modo dell’insieme di tecnologie che legano fenomeni diversi a prospetti analitici di misurazione sempre più allargata. Gli obiettivi dell’analisi geopolitica si connettono quindi alle possibilità di estrarre dati da sistemi di informazione massiva, nella misura in cui si esaminano settori come il commercio, il mercato, l’innovazione tecnologica e gli spazi sociali ed economici. Per analizzare tutto questo c’è bisogno di estrapolare e di raggiungere informazioni aggiuntive che ampliano la prospettiva scientifica di analisi del ricercatore. È un fatto che all’indomani dell’era di internet ci sia una grande rapidità su come gli studiosi e altri attori delle relazioni internazionali ottengono informazioni. Tutto ciò si può applicare per un grande cambiamento di prospettiva nella percezione che abbiamo della metodologia delle relazioni internazionali, dalle sue origini all’era dei Big Data. Proprio questi potrebbero aiutare la formulazioni di approcci che siano sempre migliori per descrivere le tante implicazioni del nostro campo di indagine.