
Al ruolo di conducente del sistema di gestione digitalizzato, che verosimilmente è credibile solo in un ambiente in cui la dotazione territoriale di rete (banda larga, 5G e quant’altro) sia adeguata alla bisogna, viene dai superiori centri di influenza attribuito il compito di socializzare i dipendenti al nuovo orientamento e di raffermare i rari professional rimasti al seguito, portatori di quella intelligenza che è ancora esclusiva riserva della mente umana. Non a caso è fiorita una terminologia anglosassone adatta a generare, nei nuovi adepti, engagement e perfino ad inculcare un’aurea aspirazione alla felicità (qui per fortuna ci si è astenuti dal ricorrere al prosaico happiness) da assaporarsi nella sublimata vita aziendale.
Come si sono evoluti il ruolo di capo del personale e la sua funzione?
Luigi Spadarotto: Nella risposta alla precedente domanda troviamo, a nostro avviso, una plausibile seppur patinata immagine che la funzione HR ha assunto recentemente. Crediamo però che questa trasformazione valga soprattutto per le aziende high tech e per quelle medie realtà industriali che immettono sul mercato prodotti di assoluta eccellenza e alle quali, grazie agli utili a volte astronomici, è consentito di incorporare vogliosamente gli ultimi ritrovati del welfare aziendale. Tuttavia, almeno qui in Italia, l’evoluzione più recente della Funzione HR, da ciò che si può dedurre dai vari sussurri dei consulenti e dalle cronache giornalistiche sulle tristi vicende del lavoro (non dimentichiamo la sequenza di fallimenti di aziende che dopo essere state incorporate da alcune multinazionali hanno successivamente lasciato sul lastrico migliaia di lavoratori), non sembra incardinarsi nelle “magnifiche sorti e progressive” sperimentate nell’olimpo delle grandi corporation. A causa degli effetti perversi della guerra in Europa e della drastica riduzione di molte materie prime che stanno destabilizzando soprattutto le imprese che ne erano utilizzatori primari, l’orientamento “pragmatico” che il Capo del Personale sembra essere chiamato a condividere ideologicamente (altri direbbero culturalmente) è l’inevitabile taglio del personale imposto dalla razionalizzazione tecnologica e dall’abbattimento dei costi di funzionamento.
Abbiamo pertanto due tipi di evoluzione. La prima, che possiamo considerare smagliante, in cui l’HRManager si circonda di raffinati strumenti ricolmi di intelligenza artificiale e si alimenta di prestigiose incursioni nei territori nelle neuroscienze per conferire, con entrambi i sussidi, una impronta scientificamente suggestiva alle sue direttive.
La seconda, più prosaica e che richiama antiche attitudini fiscali, è anch’essa assistita dalla innovazione tecnologica, ma qui il Capo del personale, che ne è interprete e attuatore, la mette al servizio del canone tradizionale e mai ripudiato del Conto economico, individuando fulmineamente le presunte sacche di inefficienza o di ridondanza.
In cosa si traduce l’innovazione organizzativa sostenuta e sviluppata dalla direzione risorse umane?
Paola Frison: In questo momento storico sono davvero molti gli argomenti che si potrebbero considerare per rispondere a questa domanda. Mi limiterò perciò a prendere in esame solo alcuni degli aspetti che la Funzione Risorse Umane può incentivare già oggi per favorire una buona performance aziendale domani.
Una iniziativa che tale ente può attivare è proprio quella di favorire, a fronte di importanti salti qualitativi nei campi tecnologici, economici e sociali, il cambiamento della struttura organizzativa, dei processi operativi e della composizione delle risorse umane in modo tale che questi fattori possano essere adeguati alle richieste del mercato, anche mantenendo inalterato l’organico a disposizione. A tal proposito penso che gli argomenti inclusi nel libro “Il Futuro delle Risorse Umane”, consentirebbero di selezionare e organizzare i provvedimenti necessari nella misura più utile alla situazione vissuta dalla specifica azienda.
Questa prima riflessione considera le evoluzioni che avvengono prevalentemente sul versante dell’organizzazione del lavoro e della macro-struttura aziendale. Tuttavia l’innovazione per realizzarsi richiederà di impiegare gli aspetti evolutivi della tecnologia, intervenendo laddove necessario anche sul disegno organizzativo più circoscritto, oltre che attuando azioni compatibili col contesto socio – economico del momento.
Un secondo spunto che riguarda l’apporto che possono dare le HR consiste nell’offrire alle persone la possibilità di essere più reattive nei confronti delle trasformazioni in atto e di saper gestire il cambiamento usufruendo al meglio delle opportunità messe in campo. Ad esempio fornendo ai lavoratori le capacità necessarie per poter far fronte autonomamente alle diverse e improvvise situazioni che si manifestano anche quotidianamente.
Sarà pertanto determinante analizzare e comprendere i punti di forza e le aree di miglioramento dei collaboratori, rilevando sistematicamente il loro potenziale per individuare i talenti che altrimenti andrebbero sprecati. Inoltre la Funzione HR, ormai è risaputo, dovrà includere il più possibile la varietà delle esperienze presenti in azienda, compresa quella messa in evidenza dalla presenza di più generazioni di lavoratori, al fine di integrarle proficuamente all’interno di un programma comune.
Tutto questo dovrebbe consentire lo sviluppo di nuove attitudini, capacità e competenze da mettere in atto per un adeguamento al contesto in cambiamento e nel contempo di mantenere nel personale sempre un buon livello di motivazione.
In sintesi un HR flessibile, duttile che si adegua e si modifica in base ai cambiamenti dello scenario socio-economico-commerciale e che concorre, con la sua influenza e ricchezza culturale, a dar vita ad un articolato dibattito sulle strategie della sua organizzazione. L’immagine che viene in mente è quella di un HR che con diversi vincoli e sulla base dei driver aziendali definiti dal board, riesce a posizionare tutti gli elementi come se dovesse completare le facciate del cubo di Rubik.
Quali innovazioni incombono attualmente sulla figura dell’HR Officer?
Paola Frison: In un contesto di innovazione tecnologica e di situazione socio-economica come quello che stiamo vivendo, la principale innovazione che l’HR officer deve aspettarsi secondo il mio punto di vista, è proprio quella che gli permetterà di esercitare il dinamismo e l’ attenzione ai fattori culturali che le Direzioni di impresa si aspettano da lui. Usare cioè i sistemi informativi potenziati dalla intelligenza artificiale per riadattare facilmente e continuamente le proprie scelte gestionali e per proporre ai vertici ipotesi di lavoro garantite da adeguati modelli di simulazione. La conoscenza in tempo reale delle esigenze di apprendimento dei dipendenti e dei fabbisogni di competenze nei vari settori aziendali lo renderanno un interlocutore necessario nella definizione delle strategie di business, In questo senso il libro sul Futuro delle risorse umane si promuove come utile prontuario Just in Case per conseguire la dinamicità richiesta all’HR.
Che ruolo svolge la direzione del personale nel suggerire e sostenere sul piano culturale le innovazioni da apportare al Business dell’impresa?
Luigi Spadarotto: Se abbiamo in mente la versione emancipata della funzione HR, tutta protesa verso innovazioni sia di servizio (più benessere ai lavoratori, più qualità della vita lavorativa, più facilitazioni e servizi di complemento, per cui l’atmosfera in azienda diventerebbe come quella di casa e quella di casa quasi come quella aziendale), sia di processo, con l’introduzione di strumenti d’avanguardia e con sempre maggiori occasioni di apprendimento, allora il Responsabile del personale assumerebbe il ruolo di concentratore delle innovazioni scientifiche e culturali che sono alla base dei programmi di sviluppo di quella azienda reticolare e collettiva che caratterizzerà sempre più l’impresa del domani. Il suo compito, in questa prospettiva, potrà essere quello di conciliare la territorialità (pensiamo ad una industria viti-vinicola) da cui si ricava la linfa suggestiva della tradizione con le novità suggerite dal mondo tecnico-scientifico e tecnologico dalle quali dipendono l’impostazione e la realizzazione dei prodotti/servizi del domani.
È ben vero che questa mirabile “proiezione nel futuro” coinvolgerà tante più organizzazioni quanto più il nostro paese riuscirà a scaricarsi di dosso i fardelli pesantissimi (non solo quello del cronico debito pubblico col quale si convive da decenni) della giustizia plantigrada, delle infiltrazioni della malavita organizzata nella sfera del business, della implacabile inefficienza della amministrazione pubblica soprattutto al Sud, della ingovernabilità della immigrazione clandestina.
Poiché non abbiamo alle viste nessun provvedimento governativo concreto inteso a debellare, con programmi precisi e risorse umane selezionate per portarli a termine in tempi ragionevoli, le pecche che abbiamo più sopra indicato, non crediamo che ci sarà alcuna” riscossa civica”, ma purtroppo sempre più recessione economica, degrado ambientale e sociale e fuga di cervelli.
Quali meccanismi consentono di individuare, reclutare e valorizzare il personale orientato alla innovazione?
Paola Frison: La prima considerazione che la domanda mi sollecita consiste nel far assumere, a chi seleziona il personale, un atteggiamento di disponibilità e nel far generare un clima accogliente confacente alla promozione della diversità, come condizione necessaria per suscitare fiducia e, conseguentemente, rendere così più facile il dialogo esplorativo. Tema anche questo trattato nel libro Il Futuro delle risorse umane.
La leadership inclusiva messa chiaramente in evidenza in tutte le fasi preliminari all’assunzione dovrebbe facilitare l’individuazione, il reclutamento e la successiva valorizzare del personale orientato all’innovazione. Altrettanto importante è la prospettiva di poter operare in un ambiente di lavoro che assicura il benessere psico-fisico come condizione confacente alla generazione di idee e soluzioni innovative.
Paola Frison, psicologa del lavoro, ha maturato quindici anni di esperienza in una multinazionale nell’area risorse umane. Ha collaborato con l’Università degli Studi di Torino come cultrice della materia nel corso di laurea in Psicologia dello Sviluppo Organizzativo.
Luigi Spadarotto, psicologo del lavoro, psicoterapeuta. Consulente aziendale e formatore per aziende private e pubbliche, già dirigente industriale in ISVOR-FIAT, ha insegnato Organizzazione e sviluppo per molti anni al MBA della SAA dell’Università degli Studi di Torino; Psicologia della formazione presso l’Università degli Studi di Pavia e Psicologia della Comunicazione presso l’Istituto Universitario Salesiano Torino. Recentemente è stato docente di Consulenza pedagogica alle organizzazioni presso l’Università degli Studi di Torino. Ha al suo attivo oltre sessanta pubblicazioni.