
Per una lunga serie di ragioni, la prima delle quali è che in città spesso si trova più facilmente lavoro: le città producono una elevata percentuale del PIL dei rispettivi Paesi. Ma le città sono anche determinanti dal punto di vista culturale, creativo, innovativo ecc. Nel libro, tuttavia, viene indicato ancora un ulteriore, a nostro giudizio fondamentale motivo: in città ci si sente e forse si è, nei fatti, più liberi che altrove, consentendo dunque una cosa molto importante: l’autodeterminazione psicologica del proprio essere.
In che modo le città consentono l’autodeterminazione dei suoi abitanti?
Affrancando le identità dei singoli dalle aspettative familiari e sociali e permettendo a chi vi abita di diventare ciò che vuole. Ciò è sempre stato storicamente valido. Stadt Luft macht frei, l’aria delle città rende liberi, diceva un vecchio adagio tedesco risalente al Medioevo. In quei tempi, chi viveva in città era libero dalle restrizioni feudali e, in parte, da quelle religiose. Ma tutto ciò vale ancora oggi e, come ho scritto nel libro, non è cosa da poco: si tratta anzi di una cosa molto, molto importante.
Quali sono le migliori e le peggiori soluzioni adottate nelle metropoli di tutto il mondo?
Non parlerei semplicisticamente di soluzione migliori e peggiori per le città del mondo. Si tratta di problemi complessi che richiedono risposte altrettanto complesse. In generale direi che le soluzioni migliori sono quelle frutto di una progettualità creativa, consapevole e condivisa, frutto cioè – anche – di un processo di partecipazione. Investire in progettualità è molto più importante di quanto comunemente si creda: la differenza fra un buon progetto e un cattivo progetto ha ricadute positive o negative sulle città per un arco di tempo molto lungo. Nel libro si parla molto delle strategie, più o meno efficaci, messe in atto nelle città del mondo: nelle città scandinave come in altre capitali verdi d’Europa, a Singapore come in alcune città nordamericane, in Australia come a Auckland in Nuova Zelanda. Quello che si sta facendo un po’ dappertutto è incredibile: sul piano della rigenerazione urbana, della riqualificazione dello spazio pubblico, della mobilità, della sostenibilità, dell’accessibilità, della gestione dell’acqua e del verde, della resilienza in particolare rispetto ai cambiamenti climatici, dei nuovi quartieri smart ecc. Ma nel libro si parla anche di città che versano in condizioni estremamente difficili.
Come si è evoluto storicamente il rapporto tra uomo e spazio urbano?
Semplificando un po’ potremmo dire: in maniera relativamente lenta e graduale nel corso del tempo; in maniera sempre più rapida a partire dalla rivoluzione industriale in poi. Un’accelerazione, quest’ultima, ancor più evidente con l’avvento, relativamente recente, della globalizzazione da una parte e dalla digitalizzazione dall’altra oltre che dei grandi fenomeni migratori contemporanei. Ma lo spazio pubblico resta, oggi come in passato, fondamentale: la sua qualità intrattiene una relazione molto stretta con la generale qualità della vita.
In che modo la politica può operare per il bene comune nel pianificare l’avvenire delle città?
La politica può fare moltissimo, ma deve prima di tutto credere nel futuro e rivolgersi, attraverso modalità concorsuali trasparenti, a consulenti e a tecnici capaci e preparati, con l’obiettivo di delineare e attuare strategie condivise. In particolare in Italia credo che l’avvenire delle città dipenda anche dagli almeno due scenari possibili: l’accettazione della decrescita (si è parlato più o meno a proposito di “decrescita felice”, anche se in questo preciso momento storico i motivi per essere felici appaiono francamente pochi) o il ripopolamento e, quindi, l’inversione della tendenza in atto. I successi conseguiti in questi ultimi anni da Milano, fra le pochissime città italiane a crescere sia dal punto di vista demografico sia economico, non sono purtroppo sufficienti a salvare l’Italia dal declino.
Quale futuro per le città?
Nonostante tutto un bel futuro per le città che si dimostrano capaci di progettare e di innovare. Come? Lo ripetiamo: mettendo prima a punto piani strategici efficaci, sostenibili e socialmente responsabili, in grado di attrarre gli investitori e, naturalmente, attuandoli poi in maniera trasparente, puntando molto sulla qualità dell’architettura nell’accezione più ampia della disciplina. Oppure un futuro purtroppo segnato da impoverimento economico e, soprattutto, demografico per quelle città che non riescono invece a esprimere tali capacità. Ma soprattutto dobbiamo ricordare che il futuro non è mai qualcosa che ci capita più o meno per caso, ma piuttosto qualcosa che si prepara e si costruisce, insieme, nel tempo: il futuro non è insomma altro che il prodotto delle nostre azioni presenti. Buona lettura!
Livio Sacchi, architetto, ordinario di Disegno dell’architettura presso l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, consigliere del Consiglio Nazionale degli Architetti, presidente onorario di Europan Italia, membro del board di Eurosolar, responsabile per l’architettura presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da G. Treccani, Targa d’Argento del Presidente della Repubblica Italiana, è stato presidente dell’Ordine degli Architetti di Roma. Alla Biennale di Venezia nel 2006 ha curato il Padiglione Italiano con Franco Purini, nel 2010 il padiglione Inarch. Vive a Roma.