
Come si spiega la scelta dell’Autore di trattare un argomento inattuale come la seconda guerra punica, e di farlo in esametri epici?
L’epica è un genere che guarda al passato, spesso al passato più lontano: per l’epica, dunque, l’inattualità rappresenta una condizione, per così dire, fisiologica. Gli stessi poemi omerici, Iliade e Odissea, ‘arcaizzano’, ovvero narrano vicende accadute con ogni probabilità diversi secoli prima del momento in cui si può presumere che essi abbiano iniziato a prendere forma nella tradizione, prima orale e poi scritta. E che dire poi del “nuovo Omero latino”, il classico per eccellenza della poesia augustea, l’Eneide, dove Virgilio aveva raccontato il viaggio dei profughi troiani verso il Lazio e la dolorosa storia dell’affermazione di Enea, che diversi secoli dopo avrebbe portato alla nascita di Roma? Come Omero e Virgilio (fatte le debite proporzioni) anche Silio Italico racconta avvenimenti accaduti molto prima del suo tempo (anche se non così “prima”: ‘solo’ tre secoli). Ma la lunga guerra contro Cartagine – che, a varie riprese, aveva impegnato Roma per più di cento anni – rappresentava forse l’evento più glorioso della storia nazionale, e soprattutto aveva costituito un soggetto ‘fondativo’, non solo dell’epica romana ma, in generale, della letteratura latina. Il primo poema in latino su un tema di storia nazionale è il Bellum Poenicum, un epos storico sulla prima guerra punica (264-241 a.C.), scritto da Gneo Nevio nello scorcio del III sec. a.C. Alla seconda guerra punica, quella contro Annibale, Quinto Ennio aveva dedicato uno spazio centrale del suo poema epico sulla storia di Roma (gli Annales): Ennio fu il primo autore della letteratura latina a definirsi “nuovo Omero”, addirittura un “Omero reincarnato”. Che cosa distingue allora il Bellum Poenicum di Nevio e gli Annales di Ennio dai Punica di Silio Italico? In primis, verrebbe da dire, lo stato di conservazione: dei primi due, purtroppo, abbiamo solo frammenti. Una volta, a Firenze, Sebastiano Timpanaro mi disse che avrebbe volentieri sacrificato tutto il poema di Silio Italico per poter leggere almeno un libro di Ennio! Ma la conservazione è, ovviamente, solo un aspetto esterno, accidentale della questione. Nevio ed Ennio scrivono epica storica ‘vera’, narrano cioè fatti molto vicini a loro, e di cui sono stati anche attori diretti in quanto soldati dell’esercito romano. Silio Italico, abbiamo detto, vive addirittura secoli dopo l’epoca degli eventi che tratta: come Virgilio, l’autore che più ha influito sulla concezione poetica dei Punica. Virgilio ha scritto un epos sulla preistoria e non sulla storia di Roma, eppure a suo modo l’Eneide diventa un po’ epica storica nel momento in cui si occupa dell’incontro nel Lazio fra Troiani, Latini, Greci ed Etruschi, e poi della guerra che vede impegnati contro Enea molti di quei popoli italici che Roma avrebbe incontrato sulla sua strada. Del resto, proprio la narrazione della guerra nel Lazio aveva permesso a Virgilio di gettare lo sguardo in avanti, verso il futuro augusteo: sullo scudo che Vulcano fabbrica per Enea è rappresentata la battaglia di Azio. L’Eneide è il modello che spinge Silio Italico a scegliere come tema del suo epos storico un evento lontano nel tempo e a guardare avanti, alla fine del I sec. d.C., aggiustando il tiro rispetto a quanto aveva fatto Virgilio: anziché ricostruire un momento fondamentale nella storia che avrebbe portato alla nascita di Roma, il poeta dei Punica sembra fare un po’ l’eziologia dell’impero di Roma sotto i Flavi. E per farlo sceglie l’evento più emblematico, la vittoria che ha dato a Roma la supremazia assoluta nel Mediterraneo. Ecco perché, secondo me, ha scelto di cantare un argomento inattuale in esametri epici.
In che modo la trattazione della seconda guerra punica permette a Silio Italico di ripristinare la funzione celebrativa dell’epos storico?
L’epica storica, abbiamo visto, era nata ai tempi delle guerre puniche per esaltare le vittorie di Roma su Cartagine. La funzione celebrativa caratterizza anche i successivi sviluppi del genere, che peraltro tende a legarsi (già nell’ultima fase della produzione di Ennio) all’emergere di grandi personalità del panorama politico-militare. Con il passaggio dalla repubblica al principato questa tendenza avrebbe potuto raggiungere il culmine. Invece Virgilio non scriverà mai un’Augusteide o qualcosa di simile. Dopo l’Eneide, che della storia è una grande metafora, l’epica latina augustea conosce un altro poema epico con caratteristiche del tutto diverse da quello di Virgilio, dove la storia occupa, seppur a vario titolo, un ruolo centrale. Le Metamorfosi di Ovidio sono un fantastico esperimento poetico di storia universale (un “racconto del mondo”, come lo ha definito Gianpiero Rosati) condotto secondo il peculiare filtro della metamorfosi: il mito vi ha uno spazio preponderante, ma non dobbiamo dimenticare che Ovidio arriva fino alla morte e divinizzazione di Giulio Cesare, fino ad Augusto, fino a se stesso. Ma che ne è, allora, dell’epos storico? Proprio Ovidio, nell’ultima delle Epistulae ex Ponto (4,16), elenca vari nomi di autori di epica storica tra l’età di Augusto e quella di Tiberio. Gli scarni frammenti di alcuni di questi poeti dicono che il genere oscilla fra una permanente vocazione celebrativa e l’interesse per la ricostruzione della crisi delle guerre civili, in particolare quella fra Ottaviano e Marco Antonio. Ora, se la rievocazione dei lutti poteva, in ultima analisi, costituire un modo indiretto di celebrare a posteriori la restaurazione della pace e il nuovo ordine augusteo, da un altro lato essa riapriva ferite mai davvero sanate. L’involuzione autoritaria del regime, tra la seconda età augustea e i sovrani della dinastia Giulio-Claudia, suscita l’opposizione dell’aristocrazia senatoria, nostalgica della libertas repubblicana. Da questo terreno nasce l’opera del predecessore più importante di Silio Italico nel campo dell’epica storica, Lucano, il poeta morto suicida, perché coinvolto in una congiura contro Nerone. Lucano scrive il Bellum civile o Pharsalia, in cui racconta la guerra civile fra Cesare e Pompeo, e dà perciò all’epos storico una decisa sterzata in senso anti-celebrativo: rovesciando il mito augusteo della Roma eterna cantato dal Giove di Virgilio, egli rappresenta – al contrario – una storia senza divinità e senza un destino provvidenziale, scegliendo di narrare il momento in cui Roma volge le armi contro se stessa, in una ripetizione del fratricidio di Romolo. Ed è proprio per “replicare” a Lucano, che Silio Italico sceglie di ritornare al mito di fondazione positivo dell’egemonia romana, quello della vittoria contro il più difficile nemico straniero: circostanza, questa, che gli permette anche di ripristinare la funzione celebrativa dell’epica storica.
Come si sviluppa la storia poetica della seconda guerra contro Cartagine?
Per raccontare in versi epici la seconda guerra punica, Silio Italico tiene davanti i libri della ‘terza decade’ (21-30) della monumentale storia di Roma scritta da Tito Livio in età augustea. Egli distribuisce, però, la materia in modo da collocare al centro dell’opera (che si compone, lo ricordo, di 17 libri) una triade di libri (8-10) dedicati alla narrazione della tragica sconfitta di Canne (216 a.C.). Canne rappresenta, in effetti, il momento più critico per le sorti di Roma e l’apice della gloria di Annibale, che in precedenza – dopo aver violato la pace e conquistato la roccaforte ispanica di Sagunto (alleata di Roma) – ha raggiunto l’Italia, superando le Alpi, e inflitto una serie di gravi sconfitte agli eserciti romani. Da questo momento in poi, però, le cose cambiano: Giove riprende il controllo della situazione (prima aveva lasciato fare Giunone, protettrice di Annibale, solo perché voleva mettere alla prova i Romani) e torna a farsi garante del fato. Dopo il periodo trascorso a Capua, la loro nuova alleata (libro 11), i Cartaginesi vanno incontro a una serie di insuccessi, finché Annibale decide di portare un attacco diretto a Roma, dove però è respinto da Giove in persona (libro 12). Il tema principale dei libri seguenti è il declino della stella di Annibale, che alla fine (libro 17) è costretto ad abbandonare l’Italia (che egli ormai considera una ‘seconda patria’) e tornare a Cartagine, dove affronta gli eserciti romani guidati dal giovane Scipione e subisce la sconfitta definitiva a Zama. Annibale, però, riesce a fuggire e a sottrarsi all’umiliazione della cattura, mentre Scipione Africano – nell’immagine che conclude il poema di Silio, così come chiudeva il libro 30 di Livio – celebra il suo trionfo.
Come ha rappresentato, Silio Italico, i protagonisti della seconda guerra punica?
I Punica non sono, come l’Eneide, un poema centrato su un singolo eroe. Annibale avrebbe sicuramente le carte in regola per aspirare a un ruolo simile, visto che la sua presenza è pressoché costante per tutto il poema, ma è chiaramente un eroe ‘negativo’, in quanto antagonista di Roma. Ed è proprio a Roma che, in passato, alcuni hanno attribuito il ruolo di protagonista. In effetti ciò che l’autore punta a sottolineare fin dall’inizio è il fatto che ad Annibale, unico vero campione di Cartagine, Roma è in grado di contrapporre una serie di generali valorosi, che – ognuno secondo prerogative e caratteristiche proprie – danno tutti il loro contributo alla vittoria finale. C’è per es. chi come l’anziano dittatore Quinto Fabio Massimo (il Cunctator, “il Temporeggiatore”) riesce ad arginare la furia del nemico quando, dopo la sconfitta subita dai Romani al lago Trasimeno, sembra ormai inevitabile che Annibale possa marciare alla volta di Roma: nella circostanza Fabio consegue l’obiettivo attuando una sapiente tattica di guerriglia e senza esporsi al rischio di uno scontro in campo aperto. Diverso è, invece, il carattere di Marcello, un generale intraprendente, che – dopo il periodo trascorso dai Cartaginesi nel molle ozio di Capua – infligge loro le prime vere sconfitte. Ma i Punica conferiscono grande valore anche alle “ferite” subite da Roma: il martire di Canne, il console Lucio Emilio Paolo – che invano aveva cercato di scongiurare la battaglia, finendo sopraffatto dall’arroganza del collega, il bellicista e demagogo Terenzio Varrone – cade eroicamente durante il combattimento e viene celebrato non solo dal poeta, ma anche dallo stesso Annibale che gli concede gli onori di un funerale solenne. Per ultimo ho lasciato Scipione Africano, il vincitore di Zama, ovvero colui che – pur non potendo essere considerato, per le ragioni che abbiamo visto, il solo eroe del poema – certo è il più grande, e soprattutto incarna una concezione carismatica del comando, che ne fa un precursore della figura dell’imperatore. Scipione mostra di possedere tutte le virtù fondamentali del mos maiorum, ma costituisce un passo in avanti nella formazione di un’immagine nuova del potere: lo dimostra il fatto che Silio Italico stabilisce tra lui e il giovane Domiziano una sorta di ideale relazione a distanza.
In che modo i Punica di Silio Italico si propongono quale sviluppo peculiare del poema storico in esametri di argomento nazionale?
Le ragioni della peculiarità dei Punica sono insite nell’ultima osservazione che ho fatto, relativa al rapporto che Silio Italico instaura tra il vincitore della seconda guerra punica, Scipione Africano e l’imperatore Domiziano. La lunga profezia di Giove a Venere del libro III dei Punica – che costituisce un remake dell’analoga anticipazione del libro I dell’Eneide sull’imperium sine fine a cui Roma era destinata – prefigura, dapprima, l’esito vittorioso della guerra contro Cartagine, che sarà reso possibile dall’avvento del giovane Scipione. Poi, però, il dio va oltre e – dopo aver accennato brevemente all’età augustea – si concentra sulla Roma contemporanea, quella dove regnano gli imperatori Flavi: è a questo punto che Giove sottolinea i meriti di colui che sarà in grado di superare (proprio come l’Africano) le gesta gloriose dei padri e di imprimere nuova forza alla crescita dello stato romano. Dal passato lontano e glorioso della seconda guerra punica, Silio Italico guarda al futuro (cioè al presente), come a una nuova attualizzazione di quel passato. Dopo averne così restaurato la funzione celebrativa – e cercato, al tempo stesso, di conferirgli l’ampiezza di compasso cronologico e ideale di un poema come l’Eneide –, Silio Italico lascia alle generazioni successive una nuova forma di sviluppo dell’epos storico: una forma che peraltro non era destinata a trovare dei veri prosecutori. Malgrado ciò in età tardo-antica il genere epico-storico conoscerà ugualmente una forma di sopravvivenza: lo dimostra il caso di Claudiano. Questo poeta vissuto fra IV e V sec. non sceglierà la strada dell’unico grande epos, ma sarà autore di una serie di poemetti epico-panegiristici dedicati all’imperatore d’occidente Onorio e al suo generale Stilicone. Anche lui, tuttavia, avrà tra le sue maggiori influenze – oltre ai grandi epici dell’età augustea, Virgilio e Ovidio – anche autori successivi: Lucano, il poeta neroniano dell’anti-epica delle guerre civili, e gli epici flavi, tra cui ovviamente il nostro Silio Italico.
Marco Fucecchi insegna Lingua e letteratura latina all’Università di Udine. Si occupa per lo più di poesia fra l’età augustea e la prima età imperiale. All’epica di età flavia, in particolare, ha dedicato monografie (come i due volumi di commento al libro VI delle Argonuatiche di Valerio Flacco, Pisa 1997 e 2006) e numerosi articoli e contributi. Ha curato con F. Bessone, The Literary Genres in the Flavian Age. Canons, Transformations, Reception (Berlin-Boston 2017) e con A. Augoustakis, Silius and the Tradition of the Roman Historical Epos (Leiden-Boston 2022).