
Proprio il giornalismo stava attraversando una fase di profonda trasformazione, a causa delle innovazioni tecnologiche e ai processi di professionalizzazione del mestiere, che produsse una vera esplosione di interesse e di circolazione dell’informazione. L’affaire fu una vicenda capace di accelerare processi già in atto, imponendo nuovi ritmi e nuovi compiti ai professionisti della notizia e affermando il ruolo inedito di intellettuali e, appunto, giornalisti non solo nel raccontare gli eventi, ma di diventarne parte integrante. Proprio attorno alla vicenda dreyfusiana si affermarono quindi nuovi modelli redazionali, nuovi strumenti tecnologici, nuove concezioni della professione, che scardinarono persistenti e sedimentati modelli professionali, favorendo l’ascesa o il tramonto di testate e iniziative editoriali.
La stampa quotidiana non si limitò a essere solo strumento di trasmissione di notizie, scandali, segreti, rivelazioni ma fu un attore capace di approfondire contraddizioni, differenze e diffidenze tra culture politiche e contesti nazionali, di produrre stereotipi e pregiudizi ma anche di combatterli, ponendosi come antidoto agli arbitri del potere e alle manovre di gruppi e movimenti.
Anche tutti i maggiori quotidiani italiani dell’epoca furono progressivamente conquistati dalla portata storica dell’affaire. La condanna del 1894 era passata sostanzialmente inosservata, in quanto ritenuta una vicenda interna alla Francia e tutt’al più prova della debolezza e delle contraddizioni di quella che era percepita ancora una delle principali rivali in termini politico-diplomatici. La riapertura del caso e il clamore del J’accuse dello scrittore Emile Zola aprirono una nuova fase, in cui i vari momenti processuali, gli scontri politici e sociali e gli interventi dei protagonisti della cultura e della società francese furono seguiti con impressionante continuità e ampiezza di punti di vista, che dimostravano il contemporaneo cambiamento in atto nella società italiana.
Per quasi due anni l’affaire ebbe uno spazio neanche lontanamente paragonabile a qualsiasi altro evento, compresi quelli che si riferivano a un contesto italiano comunque attraversato da conflitti, tensioni e trasformazioni. I corrispondenti ordinari alternavano notizie telegrafiche e periodiche rubriche dai nomi differenti, ma egualmente riferiti alla società francese (Cronache Parigine, Note Parigine, Corriere Parigino, Agenda Parigina, Vita Parigina). La dimensione ideologica della vicenda fu poi variamente commentata da inviati speciali, dai direttori dei giornali e da protagonisti di primo piano della cultura italiana dell’epoca.
Quali diverse posizioni e orientamenti si scontrarono sulle varie testate giornalistiche dell’epoca?
Tutti gli orientamenti politici e culturali italiani furono condizionati in profondità dall’impatto dell’affaire, che divenne elemento capace di mettere in discussione e modificare atteggiamenti, giudizi e mentalità. In primis reagì il vario e contraddittorio liberalismo italiano, che si dibatteva tra ascendenze legate alla figura di Crispi, oramai al tramonto, una componente ancora egemone di stampo propriamente conservatore e nuovi protagonisti che già anticipavano la crescita di correnti democratiche e progressiste dentro un quadro monarchico-costituzionale che si riteneva più resistente ed equilibrato di quello francese, periodicamente scosso da crisi e convulsioni- Le stesse derive antisemite e militariste che emersero nel contesto dell’affaire furono quindi viste come fatali degenerazioni tipiche di una società repubblicana, priva dei necessari contrappesi dinastici e in balia di correnti popolari che assumevano forme irrazionaliste e violente.
La crisi della società e delle istituzioni francesi divenne d’altra lo specchio in cui riconoscere vizi e virtù del sistema liberale italiano, i suoi ritardi, le sue incomprensioni e le sue deformazioni. L’affaire coincise peraltro con la terribile crisi successiva ai moti del 1898 che se non diminuì l’attenzione del giornalismo e della cultura italiana per i fatti di Francia li declinarono in modo ancora più pregnante per comprendere cause e individuare soluzioni anche nel proprio contesto nazionale.
La partecipazione collettiva alla vicenda produsse diverse interpretazioni, che mescolavano la conferma di tradizionali pregiudizi antirepubblicani e antifrancesi con la rivelazione di un sistema, quello francese, che nonostante le sue contraddizioni e la violenza esplicita della sua vita politica sembrava dimostrare una vitalità e un dinamismo sconosciuti alla realtà italiana. Alcuni interpreti anche del mondo liberalconservatore colsero quindi nella vicenda la dimostrazione della necessità del rinnovamento di una cultura politica, quella liberale, che doveva aprirsi al ruolo dei movimenti popolari e alla forza di una stampa libera per non esserne travolti.
D’altra parte una minoranza di osservatori di area radicale e progressista intravide nell’affaire non una prova della debolezza intrinseca del sistema repubblicano francese, quanto una manifestazione del trionfo del progresso e del diritto, nel nome di valori assoluti di libertà, verità e giustizia certo eredi della tradizione rivoluzionaria, ma che trovavano una traduzione concreta nelle istituzioni moderne.
La vicenda dell’affaire ebbe infine un peso notevole anche sulle culture politiche non-liberali: quella socialista, in primo luogo, che prendeva nota dell’azione efficace svolta dai correligionari francesi guidati da Jean Jaurés, che erano stati capaci di assumere la guida della campagna per la revisione del processo; il socialismo italiano coglieva la potenzialità della campagna dreyfusista in termini di egemonia della lotta contro le forze reazionarie, ma ne rilevava anche le contraddizioni, in riferimento alla collaborazione con i partiti borghesi e alla partecipazione ai ministeri di unità nazionale. Poi il mondo cattolico, parte fondamentale dello scontro in Francia, e che in Italia – ove era sottoposto da un profondo attacco da parte delle istituzioni unitarie e dei gruppi anticlericali – oscillò tra la reiterazione di temi e toni apertamente antisemiti e antimassonici e una riflessione più profonda sul ruolo del ‘popolo’, della democrazia e dello stesso giornalismo nella società moderna, nella prospettiva di un riadeguamento necessario per accogliere e vincere le sfide delle culture liberali e socialiste. Per concludere con gli ambienti del primo nazionalismo, che proprio nel giudizio sui fatti di Francia colsero le straordinarie opportunità di intervenire dello scontro politico attraverso una militanza politica più consapevole e più aperta a spinte antidemocratiche di provenienza estera.
Chi furono i maggiori protagonisti del dibattito giornalistico?
Il libro mette in primo luogo in risalto l’importanza, spesso sottovalutata dagli studi sul giornalismo e sui transfer culturali, dei corrispondenti e degli inviati, professionisti capaci di condizionare attraverso i loro racconti le interpretazioni dei più blasonati protagonisti dell’opinione pubblica italiana. Emergono varie figure di professionisti, ben radicati nella comunità italiana in Francia, punti di riferimento per un pubblico di lettori sempre più vasto e affamato di aggiornamenti quotidiani: Jacopo Caponi, Paolo Bernasconi, Giovanni Berri, Alberto Cané, Raffaele Raqueni, Giovanni Eandi, Benedetto Cimino, Gaetano Barbesi, Pietro Mazzini, Giuseppe Pinardi vale a dire corrispondenti di lunga esperienza, più giovani e spregiudicati professionisti o esponenti di varia sensibilità crispina, conservatrice, radicale, progressista e socialista. Risaltano poi personalità fondamentali del dibattito pubblico italiano che attratti dalla risonanza dell’affaire transitarono in tempi e per finalità differenti a Parigi: altri giornalisti, quali Adolfo Rossi, Augusto Bianchi e Giacomo Gobbi Belcredi, scrittori del calibro di Matilde Serao e Antonio Fogazzaro, sacerdoti come don Ernesto Vercesi o giovani rivoluzionari in esilio, quali il socialista (presto sindacalista rivoluzionario) Arturo Labriola e l’anarchico Giuseppe Ciancabilla.
In Italia, filtrando le notizie che arrivavano dalla Francia, anche i direttori di giornale ed esponenti della scienza e della cultura parteciparono al dibattito: tragli altri Luigi Antonio Vassallo, Luigi Albertini, Alfredo Frassati, Edoardo Scarfoglio, Scipio Sighele, Guglielmo Ferrero, Primo Levi, Felice Momigliano, Cesare Lombroso.
Si trattò di un ampio dibattito in cui anche pregiudizi, valori ed esperienze individuali contribuirono a proporre visioni convergenti e divergenti dell’affaire e della società francese, tanto vicina dal punto di vista letterario, linguistico e geografico, tanto distante per cultura istituzionale, tanto capace di prefigurare ipotesi di cambiamento e modelli di militanza politica.
Quali furono le questioni al centro del dibattito?
L’affaire fu immediatamente percepito in tutta la sua modernità, venendo dipinto in primo luogo come il conflitto tra il progresso e la reazione nel contesto della nuova società di massa. Si trattò di una dicotomia che emerse subito come insufficiente a descrivere le forze in contrasto, che rivelavano in realtà lo scontro tra due modelli di sviluppo, tra quello che abbiamo definito una nouvelle democratie contro un nouveau nationalisme. L’attenzione per i caratteri innovativi dei partiti, dei movimenti e dei gruppi di pressione protagonisti dell’affaire si volse poi al confronto tra sistemi monarchici e sistemi repubblicani, individuando, a seconda delle prospettive, ricchezze e debolezze di un modello repubblicano erede della grande rivoluzione francese che sembrava incapace di sciogliere le contraddizioni in termini giudiziari e istituzionali che espresse l’affaire.
La stessa società francese divenne oggetto di racconti, critiche e approfondimenti, in particolare, va detto, incentrati sul ruolo del ‘popolo’ nell’interferire, influenzare, condizionare, esacerbare il panorama politico nazionale, attraverso una mobilitazione che impressionò i contemporanei per eterogeneità, violenza e convivenza di suggestioni eversive e sovversive. Il conflitto tra popolo ed élites – militari, intellettuali, politiche – lo scontro tra poteri dello Stato, l’importanza dei fattori culturali nei rapporti diplomatici furono al centro di analisi e riflessioni, che già intravedevano i nodi fondamentali della belle époque e dei lati oscuri che essa conteneva.
Il ruolo dell’antisemitismo e del militarismo furono altri oggetti di riflessioni più o meno ampie e più o meno capaci di cogliere il senso moderno e la portata internazionale di tali manifestazioni. Nel caso della specificità delle violenze antisemite che fecero da sfondo a tutta la campagna pro o contro Dreyfus alcuni ambienti dell’ebraismo italiano si disposero a indulgere, in misura simile a esponenti francesi ed europei, sulle contraddizioni di un processo di assimilazione in atto nelle società moderne, cogliendo l’esigenza di ridefinire l’identità religiosa e culturale quale antidoto delle persecuzioni e accogliendo il pensiero e il progetto sionista, corroborato proprio dai contributi di giornalisti e intellettuali non necessariamente ebrei. Il militarismo fu d’altro canto al centro di un ampio dibattito che coinvolse sociologi ed esperti, esponenti dell’esercito e scrittori su giornali militari che individuarono nell’affaire una vicenda capace di mettere in luce le contraddizioni, le aporie e i conflitti tra i poteri dello Stato. Figure fondamentali della cultura militare italiana – Fabio Ranzi, Carlo Corsi, Pompeo Moderni tra gli altri – parteciparono al dibattito cogliendo da parte loro gli elementi necessari per ripensare e adeguare quell’istituzione che l’affaire e la repressione dei moti del 1898 aveva messo in discussione presso l’opinione pubblica, ma che risultava, a fronte delle tensioni sociali e internazionali crescenti, ancor più necessaria. Secondo questi esponenti, infatti, la soluzione del “dramma di un’epoca” non avrebbe posto fine all’era delle guerre e degli eserciti e di certo non avrebbe impedito nuove e forse più terribili persecuzioni.
Enrico Serventi Longhi è docente presso l’Università di Roma Tre. È autore di Alceste De Ambris. L’utopia concreta di un rivoluzionario sindacalista (FrancoAngeli 2011), e di Il faro del mondo nuovo. D’Annunzio e i legionari a Fiume tra guerra e rivoluzione (Gaspari, 2019). Ha pubblicato inoltre sulle culture politiche europee fra età liberale, prima guerra mondiale e fascismo.