
Il drago è forse il più appariscente esempio di “ibrido” mitologico ed è presente nella mitologia e nelle tradizioni popolari di quasi tutte le culture fiorite nei diversi continenti.
Non è facile rispondere agli interrogativi che sorgono in merito alla vera origine del drago e alle modalità di trasmissione della sua immagine da un capo all’altro del mondo. Molti autorevoli studiosi si sono applicati a questa ricerca, pervenendo a ipotesi molto diversificate e talvolta in contrasto tra loro. Qualunque congettura si voglia adottare come la più convincente, non è possibile esimersi dalla semplice constatazione di quanto ho detto all’inizio: il drago è presente nei miti e nelle leggende popolari di moltissime culture, ovunque nel mondo.
Questo, tra l’altro è il motivo – se mi consente una parentesi – per cui il mio breve studio ha trovato la sua naturale collocazione nella Collana Biblioteca ICOO di Luni Editrice; una collana che è espressione dell’Istituto di Cultura per l’Oriente e l’Occidente (appunto ICOO) che ha al centro della propria attenzione l’indagine sulle connessioni interculturali: momenti di scambio, di incrocio, di reciproche influenze tra Oriente e Occidente, per arrivare a mettere in evidenza tutto ciò che, a diversi livelli e in diversi ambiti, in qualche modo accomuna culture apparentemente lontane. Il drago è uno di questi temi; altri sono, per esempio, la carta, il tè, la seta, la porcellana, oppure, su un piano più sottile e profondo, talune elaborazioni del pensiero, della filosofia, della religione.
Ma tornando al nostro drago, è interessante osservare che quasi ovunque l’immagine del drago si intreccia e si sovrappone a quella del serpente, al punto che, in taluni repertori dei motivi simbolici, i due termini sono di fatto equivalenti, praticamente sinonimi, distinti solo da lievi sfumature di senso o dettagli iconografici.
Altro tratto assolutamente comune è il fatto che il drago è sempre portatore di valenze simboliche connaturate con le radici più arcaiche della civiltà che lo ha concepito e della quale incarna la concezione fondamentale dell’Universo. Al tempo stesso rappresenta le paure ancestrali dell’uomo, il suo timore dell’ignoto, il suo sgomento davanti alle forze scatenate della natura.
Quale significato assume in Cina il drago?
Proprio da questa radice ancestrale dell’idea di drago legata alla concezione dell’Universo e dell’uomo nasce la discriminante tra il significato più profondo nel drago nella nostra cultura e nella cultura cinese.
In Occidente l’uomo percepisce sé stesso come regolatore del cosmo antropocentrico, caricato della responsabilità di riordinare il caos primigenio e di controllare gli elementi naturali. Così il drago incarna le forze avverse della natura e il mito dell’eroe chiamato a uccidere il drago si pone come metafora del superamento delle paure innate, come metafora del rito di iniziazione necessario al ragazzo per entrare nello status di adulto, forte, virile, capace di affrontare e dominare le avversità. Appunto, di sconfiggere il drago.
Il Cristianesimo fa propria questa visione; il drago è assunto come simbolo infernale del Maligno ed ecco una lunga teoria di Santi che sono tali per aver combattuto e vinto (o ammansito) il drago: San Giorgio, San Giulio, Santa Margherita, San Mercuriale, Santa Marta, solo per citarne alcuni tra i più noti. Per non parlare delle immagini altamente simboliche del drago dell’Apocalisse trafitto da San Michele o quella della Donna che schiaccia la testa del serpente.
In Cina l’uomo ha un approccio diverso con il mondo che lo circonda. Sceglie di integrarsi, di conciliarsi con le forze della natura, di adattarsi al cosmo, anche subendolo, se necessario. Sceglie di convivere con il drago. Quindi non lo combatte, ma celebra feste e riti che hanno per obiettivo il compiacere il drago, simbolo della natura, allo scopo di suscitarne le manifestazioni favorevoli, le forze positive, esorcizzandone contestualmente il lato negativo.
Il drago si lega ai miti cosmogonici della nascita del mondo: secondo la mitologia cinese è uno degli animali mitici che aiutano Pangu (il primo essere vivente) a dividere il caos primordiale in yang e yin, i due princìpi fondamentali dell’universo, dando origine al Cielo e alla Terra. E i due primi sovrani mitici, Fuxi e Nüwa, maschio e femmina, che danno origine al genere umano, sono immaginati come esseri per metà umani e per metà draghi/serpenti.
Il drago è creatura benevola, simbolo della forza e della fertilità maschile, è simbolo dello yang, principio attivo dell’energia, della luce, della forza. Trascorre l’inverno sotto terra e al risveglio riemerge per volare verso il cielo, provocando il primo tuono e le prime piogge primaverili, benefiche per l’agricoltura, segnando così l’inizio dei lavori dei campi. Dunque un’importanza vitale in un paese da sempre prevalentemente agricolo. È invocato in caso di siccità e portato in effige in processione in mezzo ai campi. Per questo stesso motivo è simbolo di vita e festeggiato in occasione del Capodanno con una danza propiziatoria per un anno di prosperità e fortuna.
In che modo il motivo del drago attraversa l’intera storia dell’arte cinese?
Vogliamo usare un’espressione forte e dire che l’immagine del drago in Cina è “pervasiva”? Non è un’esagerazione: il motivo del drago si trova in ogni epoca e in ogni ambito della vita sociale e privata del popolo cinese, si trova nell’arte più raffinata e nell’arte povera, nell’artigianato, nei tessuti, nei tappeti, nelle porcellane, nelle decorazioni di carta per le feste, nei gioielli, negli oggetti rituali soprattutto funerari, nell’architettura. Senza contare i giochi tradizionali, le feste e le gare sportive, gli aquiloni…
Le più antiche rappresentazioni che ci sono pervenute sono su utensili di terracotta e su oggetti rituali di giada del periodo neolitico. Imponente, poi, è la presenza del drago sui bronzi rituali delle prime dinastie storiche, orientativamente tra il 2000 a.C. e l’unificazione dell’impero nel III secolo a.C.
Con la nascita dell’impero centralizzato il drago inizia a essere assunto come emblema del potere imperiale. Viene riprodotto sui vessilli imperiali e anche sugli oggetti riservati all’uso dell’imperatore. Compare come decorazione simbolica su elementi architettonici (tegole, architravi, rivestimenti in laterizio) di edifici legati alla figura, o meglio, alla funzione dell’imperatore. Nel libro dedico particolare attenzione a questo risvolto della simbologia del drago, perché ha importanti ricadute su tutta la storia dell’arte e sulla storia del costume cinese nei secoli successivi, fino a oggi.
Con la dinastia Tang (618-907), la più vivace e cosmopolita della storia cinese, si conferma definitivamente lo stretto legame tra il motivo drago e l’imperatore e si definisce anche l’abbinamento con l’immagine della fenice, un altro animale fantastico, un ibrido mitologico come il drago. La fenice è simbolo dell’imperatrice, del principio femminile yin. Insieme, drago e fenice sono simbolo di armonia e felicità coniugale.
Da questo momento il drago è indissolubilmente legato all’imperatore cinese. Nessun cambio dinastico e nessuna invasione straniera scalfirà mai più questa sua posizione.
Nel XIII secolo avviene una svolta importante: il motivo del drago, grazie a un meraviglioso dipinto a inchiostro monocromo di Chen Rong, un artista seguace della scuola pittorica ispirata al buddhismo Chan (più noto con il nome giapponese Zen), entra a pieno titolo nella sfera dell’arte colta, dell’arte dei letterati cinesi, l’arte con la A maiuscola, per intenderci. Regna la dinastia Song, la più raffinata, elegante e colta della storia cinese, che qualcuno ha voluto assimilare al Rinascimento italiano. È un momento molto significativo per la storia dell’arte cinese.
Vale la pena di sottolineare che, nonostante la caduta dell’impero cinese nel 1911, anche in epoca repubblicana e anche oggi, dopo 60 anni di Repubblica popolare, il simbolo del drago non ha perso “smalto” nell’arte cinese. Anzi. È assurto a emblema dell’unità nazionale cinese, quasi un simbolo identitario e quindi, in questa nuova chiave di lettura, ancora onnipresente nell’arte e nelle arti applicate.
Come si è evoluta nel tempo l’icona del drago cinese?
Credo sia interessante notare, innanzitutto, che in origine, esattamente come nella nostra tradizione classica, l’immagine del drago cinese è quella di un serpente. Così è raffigurato, infatti, sulle terrecotte neolitiche e anche gli oggetti di giada che facevano parte dei corredi funerari di epoca neolitica presentano il drago come un grosso serpente con grossa testa e muso di maiale.
Gradualmente si nota la comparsa di una cresta sulla testa di questi tozzi serpenti, ai quali cominciano anche a spuntare prima due, poi quattro zampe.
I vasi rituali di bronzo del II e I millennio a.C. mostrano un’ampia gamma di raffigurazioni stilizzate del drago, via via sempre meglio dotate di zampe, lunga coda, cresta sul capo. Vi sono anche motivi molto diffusi, molto frequenti, che rappresentano la sola testa del drago, vista frontalmente. Uno dei più comuni è la cosiddetta maschera taotie, veramente diffusissima, in molte varianti diverse.
Con la dinastia Han (secoli III a.C. – III d.C.) l’immagine del drago assume progressivamente una conformazione vicina a quella che ci è più familiare.
L’epoca Tang (VII-X sec), con la sua straordinaria apertura al mondo esterno, accogliendo influssi innovatori e vivificatori dall’Asia centrale, arricchisce di vivacità e di molta fantasia l’icona del drago. È interessante un dettaglio: in questo periodo si definisce la trasformazione delle zampe – che fino ad allora erano state immaginate come simili a zampe di tigre – in zampe di rapace, con artigli d’aquila.
Nel tempo l’icona del drago si perfeziona e si arricchisce di sempre nuovi e più precisi dettagli. In epoca Ming (XIV-XVII sec), in un clima politico e culturale di grande rivalutazione e codificazione delle più genuine tradizioni cinesi, gli attributi del drago vengono definiti e dettagliati con un editto imperiale molto preciso e perentorio. Il drago assume l’aspetto che noi oggi consideriamo tipico del drago cinese, quello che vediamo in tante raffigurazioni, sulle porcellane, sui tessuti, sugli antichi abiti di corte. Lo stesso che è filtrato nel gusto europeo con la moda delle chinoiserie nel XVIII secolo e che ancora oggi vediamo riprodotto nelle decorazioni della festa del Capodanno cinese.
Nel mio libro dedico molta attenzione a questa fase che è molto ricca di dettagli e di risvolti anche di carattere politico e sociale e che, come dicevo, ha avuto ricadute anche sul gusto e sulle mode dell’Occidente settecentesco. Basti pensare alle porcellane europee di inizio Settecento, le prime prodotte in Occidente a imitazione di quelle cinesi, ricche di varianti iconografiche del drago. L’apparato iconografico del libro – devo dire curato con grande professionalità dalla casa editrice – evidenzia molto bene la straordinaria ricchezza, la fantasia, la versatilità che caratterizza l’icona del drago che ancora oggi permane come simbolo della Cina e come segno identitario molto sentito presso le comunità cinesi all’estero.