
di Mario Avagliano e Marco Palmieri
il Mulino
«Questo libro affronta la storia dell’antifascismo, analizzandolo in tutte le sue componenti sociali, politiche, intellettuali e di classe, come una storia che corre parallela alla nascita del fascismo e alle atrocità che attuò per garantirsi la sopravvivenza. L’antifascismo in Italia, infatti, è stato un fenomeno eterogeneo che coinvolse trasversalmente tutti i ceti e diversi orientamenti politici, anche non in modo organizzato. Esso si era manifestato con varia intensità fin dalla comparsa del movimento fascista, anche se è nel 1925 che conosce una vera e propria rivoluzione. In quell’anno, infatti, avvengono almeno due importanti avvenimenti:
– nel gennaio Mussolini, ormai capo del governo, si assume la responsabilità dell’omicidio Matteotti, preludendo in modo esplicito all’instaurazione della dittatura;
– nel maggio viene pubblicato il Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Più in generale la serie di provvedimenti liberticidi emanati nel biennio 1925-1926 distrusse le rimanenze dello Stato liberale e avviò ufficialmente la lunga stagione del dissenso al fascismo: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, ripristinata la pena di morte e, infine, trasformato il regime di domicilio coatto in confino politico e istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Non sarebbero passati che pochi anni e il nuovo Codice penale, redatto nel 1930 da Alfredo Rocco, ampliò e inasprì le pene contro la personalità dello Stato e fece diventare l’antifascismo un reato, la cui repressione veniva operata da apparati appositamente creati dal regime – l’Ovra e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale – o ereditati e controllati, come la polizia e i carabinieri.
Oltre all’uso di strumenti punitivi il fascismo si avvalse della prevenzione del dissenso tramite un capillare controllo territoriale effettuato mediante i ras locali, gli informatori introdotti nei gruppi di opposizione politica e un rigido monitoraggio della corrispondenza degli antifascisti. Tutte queste azioni si erano tendenzialmente e inizialmente dimostrate efficaci nello spegnere le voci di opposizione che, tuttavia, erano riprese gradualmente nel corso degli anni Trenta, fino ad essere pubblicamente più forti con il coinvolgimento italiano nella guerra di Spagna.
Il dissenso al fascismo. Gli italiani che si ribellarono al regime di Mussolini (1925-1943) ricostruisce il complesso periodo storico compreso tra la promulgazione delle prime «leggi fascistissime» e la caduta del fascismo attraverso il prisma offerto da quanti si opposero in vario modo al fascismo. Non solo quindi oppositori politici ma anche persone che, pur lontane dai partiti entrati in clandestinità, manifestarono il proprio dissenso al regime mussoliniano. […]
Siamo in un periodo storico in cui le principali conquiste antifasciste, in primis la nostra Costituzione, la libertà e la pace (non è un caso che la lotta antifascista fu una lotta disarmata, al contrario di quella resistenziale) sono messe a repentaglio dagli eventi mondiali e nazionali. La pubblicazione di questo volume è quindi ancor più necessaria perché permette di analizzare tutti i principali aspetti della repressione fascista e le sue più importanti caratterizzazioni e relazioni politiche, istituzionali, economiche, sociali e collettive.
Il volume affronta l’analisi anche dei principali strumenti di gestione del potere mussoliniano, il fenomeno del fuoriuscitismo verso numerosi Paesi europei e del Mediterraneo, le ridotte sacche di «resistenza culturale», la politica del consenso e la realizzazione del Concordato, la crisi economica e il crescente malcontento che origina una nuova forma di opposizione popolare ancora non sufficientemente analizzata e conosciuta, la guerra coloniale, il contributo alla guerra di Spagna che fungerà allo stesso tempo anche da collante delle varie istanze degli antifascismi nazionali, le leggi razziali e la successiva alleanza con la Germania nazista, le disfatte militari e la perdita del consenso, la svolta del 1943 e la progressiva liberazione dell’Italia.
Nei venti anni in cui ha governato il fascismo non è mai mancato il dissenso verso le politiche mussoliniane che, più pronunciato nei periodi di crisi e meno evidente e diffuso negli anni del consenso, ha contribuito non poco a preparare la popolazione alla Resistenza e alla lotta armata del 1943-1945. Tale dissenso ha portato al mantenimento, anche se spesso carsico, e alla maturazione delle idee e dei principi che sono oggi alla base della nostra Carta costituzionale.»