“Il digitale a scuola. Per una implementazione sostenibile” di Luca Ferrari

Il digitale a scuola. Per una implementazione sostenibile, Luca FerrariDott. Luca Ferrari, Lei è autore del libro Il digitale a scuola. Per una implementazione sostenibile edito da FrancoAngeli: cos’è la sostenibilità in campo didattico?
La sostenibilità in campo didattico è un aspetto ancora poco esplorato nel contesto italiano. Solitamente quando si parla di sostenibilità ci si riferisce al tema dell’ambiente e, in particolare, al concetto di “sviluppo sostenibile”. Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD: 2015-2020) affronta e introduce per la prima volta il tema della sostenibilità didattica legata all’implementazione sostenibile e sistemica delle tecnologie digitali. Per fare solo un esempio nel PNSD la sostenibilità è intesa come la capacità delle scuole di creare progettualità con le ICT (Information and Communication Technologies) che siano sostenibili nel tempo e potenzialmente replicabili. Aldilà dell’aspetto della replicabilità su cui non mi posso soffermare in questa sede, come afferma Calvani la politica dell’innovazione tecnologica ha sempre avuto difficoltà ad immaginarsi proiettata nel tempo. In questo senso, quando si pianifica la implementazione delle ICT nella scuola è indispensabile comprendere come rendere lo sforzo umano, economico, organizzativo… che si sta facendo sostenibile nel tempo. Dunque la sostenibilità in campo didattico è una dimensione – a tutti gli effetti – di “processo” e che va considerata, pianificata e progettata prima, durante e al termine – per esempio – di una iniziativa di innovazione didattica mediata dalle ICT (si pensi alle diverse iniziative finanziate dal Ministero sul tema della cosiddetta Scuola Digitale).

Qual è il ruolo della sostenibilità quando si parla di innovazione didattica?
Riprendendo alcuni contributi scientifici e recenti documenti prodotti e divulgati dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), è possibile rilevare come il sostantivo “sostenibilità” sia spesso affiancato alla nozione di “innovazione” – che, tra l’altro, è molto presente nelle attuali retoriche pubbliche. Il concetto di innovazione può essere interpretato in termini relazionali e processuali. Ogni processo innovativo comporta inevitabilmente la creazione e la diffusione di nuovi saperi. In altre parole, quando l’innovazione è processuale è allo stesso tempo sostenibile. Nello stesso tempo quando una innovazione “smette di essere innovazione” (perché si conclude il suo ciclo di vita o si trasforma in routine) l’aspetto della sostenibilità “non scompare” del tutto ma rimane ancorato alle pratiche della ordinarietà. Un semplice esempio a supporto di questo ragionamento può essere rappresentato dall’introduzione della scrittura e dagli strumenti che mano a mano sono stati adottati per facilitare questa modalità espressiva. Nonostante oggi si disponga di un’ampia gamma di dispositivi per scrivere su diverse superfici (analogiche o digitali), la tecnologia della “penna” è una innovazione che si è dimostrata, nel corso del tempo, sostenibile. Un ulteriore esempio a sostegno di questo discorso è rappresentato dal modello più longevo e tuttora diffuso di setting della classe (il più criticato), quello “trasmissivo e unidirezionale”. Oltre al fatto che un setting di questo tipo risponde a esigenze di “controllo della classe”, in questo modello la “innovazione” si è trasformata in un processo sostenibile e incorporato tutt’oggi negli ambienti, nelle culture e nelle pratiche scolastiche e didattiche.

Qual è lo stato della scuola digitale in Italia?
Se riprendiamo i dati dell’Osservatorio Tecnologico del MIUR (2011-2012) circa il 18% delle scuole sono ancora tagliate fuori dalle politiche della cosiddetta “Scuola Digitale”. Le scuole italiane connesse ad internet sono l’82%, con una percentuale di aule connesse in rete pari al 54,2%. L’introduzione e la diffusione delle ICT nella realtà italiana sembra giustificata da alcuni assunti “impliciti” ed “espliciti”, condivisi dai vari governi europei e mondiali, per cui le tecnologie dell’informazione e della comunicazione avrebbero un impatto molto positivo sulla produttività dei sistemi economici e sula crescita dei sistemi Paese. Quali potrebbero essere, nella realtà italiana, i modelli economici/organizzativi in grado di condizionare e/o sostenere il discorso politico rispetto al “grande sogno” della scuola digitale? Si aggiunge a questo interrogativo una provocazione di tipo culturale che riguarda l’introduzione della Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) nelle aule scolastiche. In che misura l’avvento e la diffusione della LIM è stato un processo democraticamente scelto dalle scuole italiane? È stata una decisione determinata dalle esigenze dei “mercati” e poi giustificata da qualche “criterio” pedagogicamente fondato? Provocatoriamente, la scuola per essere considerata (dalla società?) “innovativa” deve seguire le “mode tecnocratiche” del momento? Il termine innovazione, tra l’altro, possiede un indubbio potere evocativo. Come sottolinea Ramella, l’innovazione finisce per diventare un sinonimo di progresso: l’introduzione di una novità non è necessariamente positiva. Le innovazioni possono fallire, possono generare conseguenze inattese, non necessariamente benefiche per gli innovatori.

Per far fronte ad alcuni degli aspetti critici appena menzionati, nel 2015 è stato approvato un importante piano “sistemico” – il Piano Nazionale Scuola Digitale (2015-2020) – attraverso il quale il Governo italiano ha inteso investire in modo economicamente cospicuo sia sul miglioramento dell’infrastruttura tecnologica sia sulla costruzione di ambienti di insegnamento-apprendimento “innovativi”. Nonostante in questo documento si parli soprattutto di “scuole cablate” e non di “classi cablate”, uno dei problemi (prioritari) al quale il MIUR di far fronte è quello della riduzione del digital e del cultural divide. L’obiettivo di fondo, utilizzando le parole del Piano, è quello di fare in modo che il “Diritto a Internet” diventi una realtà, a partire dalla scuola.

In che modo è possibile l’integrazione delle TIC nell’ottica di un’innovazione didattica sostenibile?
Uno studio longitudinale coordinato da Eickelmann avviato in Germania tra il 2006-2007 ha indagato quali potevano essere i facilitatori e le barriere in grado di condizionare -positivamente o negativamente, a livello di classe e di scuola – l’implementazione sostenibile delle nuove tecnologie in ambito scolastico. Questo studio ha rilevato la presenza di almeno cinque variabili che devono essere considerate e governate dalle scuole in una logica di processo, ovvero: lo sviluppo organizzativo, professionale, tecnologico e di cooperazione sostenuta dalle ICT. Le conclusioni di questa indagine rilevano come la cooperazione delle scuole con attori esterni, la cooperazione intra-scolastica, lo sviluppo di idee per far fronte e re-agire alle nuove tendenze digitali, lo sviluppo di ampie strategie per risolvere i problemi di funzionamento a livello di processo, sono tutti fattori alleati della sostenibilità. Questa “conclusione” ci fa comprendere che la sostenibilità didattica non può e non deve riguardare solamente agli aspetti “tecnici” (legati all’implementazione delle ICT), ma deve essere interpretata e gestita come qualcosa di più ampio e di sistemico.

A partire da questo scenario è stata avviata una indagine esplorativa fondata su alcuni interrogativi. Le scuole italiane, in modo diverso, si stanno ponendo il problema di come implementare e sostenere nel lungo periodo la diffusione delle ICT? La conoscenza dei fattori-processi che possono dare forma alla sostenibilità può contribuire (sia sul versante del management sia su quello delle didattiche) a esplicitare/monitorare (in una prospettiva longitudinale) i processi di innovazione e/o di sostegno alle didattiche convenzionali connessi all’uso delle ICT nelle scuole? La formalizzazione-condivisione tra comunità di scuole di modelli “sistemici” legati alla sostenibilità può impattare “positivamente” sulle politiche, le culture pedagogiche e le prassi didattiche delle scuole? Il gruppo di riferimento della ricerca è stato composto, nel contesto italiano, da otto scuole secondarie di primo grado collocate nella Regione Emilia Romagna. La selezione delle scuole è l’accesso al campo sono stati passaggi definiti insieme all’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna. Tra gli aspetti indagati nell’indagine un ampio spazio di approfondimento è stato dato al tema della “sostenibilità” e della “sostenibilità sistemica”. Cosa è emerso dalla ricerca? Che la “sostenibilità” sembra essere a tutti gli effetti, secondo le parole degli intervistati, un discorso “sistemico” che si struttura su almeno cinque macro dimensioni processuali (o nuclei portanti): ideativa-progettuale, economica, organizzativa, tecnica e didattica. I nuclei portanti della sostenibilità si influenzano vicendevolmente secondo un rapporto che può essere definito di tipo “co-evolutivo” e si condizionano tra loro attraverso un “movimento continuo” (da un ipotetico baricentro) che si interseca, a sua volta, sia con l’“evoluzione tecnologica” sia con la dimensione temporale (o storico-culturale). Immaginando di rappresentare questo processo attraverso la figura di un pentagono e, considerando una logica sistemica e di processo, quando il baricentro oscilla in modo prevalente verso un determinato “polo” dello schema – le relazioni tra le altre componenti si indeboliscono e portano alla messa in discussione della “sostenibilità sistemica” (nel senso che tutti gli sforzi della scuola si concentrano solo su un particolare tipo di sostenibilità). Viceversa, quando le cinque componenti sono alimentate positivamente tra loro la “sostenibilità sistemica” non viene compromessa, ma si auto-alimenta per un tempo circoscritto perché è nella sua natura dinamica e soggetta a continue oscillazioni che incidono sul funzionamento, nel tempo, del “sistema scuola”.

Il Suo libro rappresenta il risultato di una indagine esplorativa triennale condotta in alcune realtà scolastiche italiane (della Regione Emilia-Romagna) e internazionali (dello Stato de El Salvador): quali riflessioni ne ha tratto?
Per rendere l’innovazione didattica “sostenibile” è necessario un adeguato sostegno governativo. In accordo con Johansson le scuole che devono affrontare le sfide più grandi, quelle che si trovano in aree o situazioni di svantaggio, hanno più bisogno di questo sostegno. Le eccellenze locali e l’innovazione non può essere sostenuta solo attraverso l’influenza idiosincratica dei singoli individui carismatici – insegnanti, dirigenti, leader delle comunità – anche se queste figure sono fonti critiche di ispirazione.

Nel contesto italiano, attraverso l’implementazione del secondo Piano Nazionale Scuola Digitale, si sta cercando di affrontare, per la prima volta, il tema della sostenibilità non più (o non solo) intesa in termini di educazione ambientale o di sviluppo sostenibile, ma anche come la capacità delle scuole di creare progettualità con le TIC che siano sostenibili nel tempo e replicabili.

Nel contesto salvadoregno, invece, ormai da alcuni anni, i decisori politici (ma anche dirigenti e insegnanti) iniziano a porsi il problema di come affrontare il tema della sostenibilità delle ICT in ambito scolastico. I resoconti delle interviste effettuate presso il Ministero dell’Educazione salvadoregno hanno fatto emergere, almeno a livello di vision, la capacità dell’attuale governo di promuovere modelli di sviluppo e di intervento progettuale in grado di esprimere un certo livello di autonomia rispetto alle diverse logiche di sostegno economico e di aiuto esterno che possono essere attivate (da donors ecc.). Non a caso, quindi, le attuali priorità del governo salvadoregno sono quelle di migliorare le condizioni della scuola a livello di infrastrutture, promuovere la diffusione del software libero, migliorare la formazione degli insegnanti, sviluppare e diffondere liberamente contenuti o materiali educativi in generale (Risorse Educative Aperte). Priorità che, come riportato nel volume “Il Digitale a Scuola…”, sono condivise allo stesso modo e nello stesso “tempo storico” dal governo italiano e poi operativizzate attraverso l’implementazione del Piano Nazionale Scuola Digitale.

Quale futuro per le tecnologie digitali nella scuola?
In primo luogo, a mio avviso, ci sono alcune domande che ogni scuola, prima di inverstire sulle ICT, dovrebbe porsi:

  • la scuola segue le mode «tecnologiche» di mercato?
  • il mercato (tecnologico) stabilisce che cos’è l’innovazione tecno-didattica nella scuola?
  • in che misura la scuola è realmente autonoma rispetto alla scelta delle «nuove tecnologie»?

In secondo luogo, il futuro delle tecnologie dovrà necessariamente fare i conti con l’introduzione di nuovi modelli di formazione iniziale e continua dei docenti e dei dirigenti scolastici. Per fare solo un esempio, il noto modello concettuale TPACK (Technology, Pedagogy and Content Knowledge) – poco implementato nel contesto italiano – sottolinea come un insegnante deve essere competente rispetto all’intersezione tra tre tipi di conoscenza: pedagogia, contenuti disciplinari e tecnologia. L’insegnante deve essere, quindi non tanto (non solo), competente relativamente alla tecnologia in sé, alla pedagogia e al contenuto specifico del suo ambito disciplinare, ma soprattutto in relazione alle intersezioni di questi domini, ovvero a quegli usi della tecnologia che supportano strategie pedagogiche adeguate in relazione alla sua materia d’insegnamento (Di Blas et al., 2018).

Evidentemente questo “nuovo” modo d’intendere la formazione dovrebbe puntare a rendere il docente co-produttore di servizi tecnologici e non solo solo un consumatore. Come sostengono autori come Sherry & Gibson (2002), infatti, le esigenze di apprendimento dei docenti – in termini della formazione continua e permanente – i bisogni degli studenti e delle scuole, dovranno diventare le forze trainanti nella progettazione didattica sostenibile di “artefatti digitali” o di servizi ICT.

Per concludere, i risultati riportati nel volume “Il Digitale a Scuola…” si propongono di costituire uno stimolo al dibattito politico-culturale attorno al tema della sostenibilità delle nuove tecnologie nella scuola. Una riflessione che ha cercato di coinvolgere, nella Regione Emilia-Romagna e nello stato de El Salvador, alcuni dei principali stakeholder del sistema scolastico e politico che, attraverso le loro parole, hanno contribuito in modo significativo ad esplicitare gli aspetti fondanti della “sostenibilità” e della “sostenibilità sistemica”.

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