
Insomma, il declino della sessualità nel mondo sviluppato (grave e senza precedenti, destinato a estendersi al resto del pianeta man mano che si sviluppa) non è certo legato a ostacoli materiali o legali, ma a un declino culturale e a difficoltà psicologiche. Questa situazione reale è ben poco conosciuta. E rappresenta proprio il contrario di quanto molti populisti denunciano allarmati. La sessualità non si amplia disordinatamente, al contrario decresce in modo netto. Le nuove generazioni la praticano meno delle precedenti: ed esprimono chiare preferenze per la fedeltà all’interno della coppia.
Se non intervenissero fattori esterni schiaccianti come il consumismo, non solo ogni sessualità resterebbe unica, ma si potrebbe riconoscere che ogni atto sessuale della stessa persona è unico. Ogni orgasmo di un soggetto non solo differisce da quelli di un altro, ma anche dagli altri di cui lui/lei fa esperienza: facilmente si accompagna a immagini, a fantasie, che variano nel tempo.
Nella deformazione consumistica post-moderna, invece, quando un certo tipo di maschio si porta in giro un certo tipo di donna per impressionare gli amici la tratta, direbbe Kant, come un mezzo e non come un fine. Va notato che in questi casi la sua priorità è sedurre gli amici che lo guardano mentre esibisce la compagna: insomma, ci tiene a passar per seduttore di femmine, eppure inconsciamente si comporta da omosessuale.
Nel libro Lei sostiene che di fronte alle aperture totali, come è quella verso la sessualità, l’uomo possa ritirarsi: quali dinamiche caratterizzano l’approccio contemporaneo verso la sessualità?
Inizierei precisando. Non è solo qualcosa che io sostengo, cioè una mia opinione. Si tratta di fatti segnalati da tutti gli studi nazionali sulla sessualità, tenuti nei principali paesi sviluppati. Non c’è stato nessun passaparola, nessuno si è messo d’accordo per rinunciare a questo importantissimo aspetto della vita, nessuna autorità prepotente ha tolto le libertà promosse dalle scoperte di Freud e portate avanti nella seconda metà del Novecento dalla cosiddetta Liberazione Sessuale. Ma, in media, questa è la netta tendenza in tre continenti, Europa, Nord America e Asia Orientale (Giappone, Corea e, tutto fa presumere, la parte sviluppata della Cina). Sorprendente non è solo il fatto in sé: è anche quanto il pubblico fatichi a prenderne atto. Si immagina che si tratti di casi particolari, non di centinaia di milioni o forse miliardi di persone. Faccio un esempio. Il principale supplemento culturale italiano – la Domenica del Sole 24 Ore – mi ha chiesto un pezzo di anticipazione del libro. Come sappiamo, i titoli degli articoli sono decisi dal giornale al momento della pubblicazione. Il mio è stato intitolato Quando la sessualità si declina in solitudine. Insomma, malgrado l’ottimo livello del Sole, come in un lapsus, la pubblicazione ha espresso una parte dell’incredulità diffusa rispetto al tema. Nel libro, e nell’articolo, ho mostrato che la sessualità non va calando in certi casi (“quando”) ma in ogni paese, fra i giovani e fra le persone di mezza età, tra i poveri e tra i ricchi.
La spiegazione di un fenomeno così generale è impossibile con le classiche analisi quantitative: il mondo intero sarebbe un oggetto d’indagine troppo complesso. Si deve dunque esaminare la cultura, la condizione umana e fare qualche ipotesi su entità non misurabili. Dal punto di vista della filosofia politica si può pensare alla idea di “società aperta” di Popper, e chiedersi se l’eclissi dell’eros possa esser vista come risultato di una “apertura eccessiva alla libertà”. Sappiamo che l’uomo cerca la libertà, ma fino a un certo punto, oltre il quale si comporta come gli animali che hanno vissuto in gabbia ed esitano quando si apre loro la porta. Tutti desiderano continuar a salire verso una condizione che si immagina migliore, sempre più elevata: e nel miglioramento includono sempre più libertà in ogni campo. Ma chi arriva molto in alto, può esser preso da paura quando si accorge che ormai un abisso lo separa dal punto di partenza.
Sempre nel libro Lei riflette sul concetto di libertà positiva: «I veri criteri che definiscono la libertà sono psicologici. […] Chi dispone di garanzie costituzionali, ma ha introiettato dall’educazione famigliare restrizioni alla libertà di scelta, o ansia di castighi […] non è una persona libera»: quali problemi di «libertà positiva» pongono i costumi del XXI secolo?
Riassumiamo. Nei paesi sviluppati la sessualità non ha praticamente più problemi di libertà negativa: è libera da costrizioni intolleranti. I problemi, però, restano a proposito della libertà di scegliere una cosa o un’altra, la libertà positiva: alludevamo a questo con l’immagine dell’animale lasciato libero, ma che non esce dalla gabbia. La nostra principale gabbia sono i costumi, l’educazione ricevuta. La “cultura di fatto”, quello strato inespresso ma sempre presente che la mia disciplina chiama “inconscio collettivo”, è sostanzialmente conservatore: lo vediamo sia dalle elezioni politiche sia da come i principali comportamenti tendono a ripetersi, anche senza esser stati specificamente insegnati. Restando alla sessualità, i genitori che vedono i figli crescere si attendono che siano eterosessuali: il che corrisponde al fatto che, come vedevamo, l’omosessualità rappresenta una percentuale minima della sessualità attiva. Tuttavia, formalmente essa oggi gode di diritti ed accettazione quanto la eterosessualità.
Pensiamo ora a tutti gli adolescenti che raggiungono la maturità sessuale. L’opinione pubblica disinformata può immaginarsi che abbiano assai meno problemi di quelli degli anni ’70. Naturalmente mezzo secolo fa c’era qualche ostacolo in più alla soddisfazione sessuale: ma lo stesso Freud – le cui scoperte ruotano intorno all’idea che troppa censura faccia male all’istinto – diceva che la civiltà crea sempre una certa quantità di ostacoli per accrescere la soddisfazione una volta che la meta (sessuale) sia raggiunta. Però, fino a poco tempo fa, la maturità sessuale e di genere si raggiungeva per gradi, all’interno di contenitori come la famiglia, la scuola, magari la Chiesa. Malgrado censure spesso esagerate, i binari erano fissi e nella maggioranza dei casi accompagnavano lo sviluppo. Oggi, questo percorso precostituito è andato in frantumi. Modello di persona sessualmente matura non è più un genitore o qualche altro famigliare. Prototipo possono in parte essere i coetanei. Questo in sé non sarebbe così nuovo. La novità sta nel fatto che questi modelli influenzano l’adolescente non attraverso incontri reali, ma soprattutto telematicamente: gli appaiono sul computer e sullo smartphone. In particolare, è ovvio, lo influenzano gli “influencer”, che si atteggiano a persone accessibili, ma che il giovane sa benissimo essere ricchi, famosi, irraggiungibili: la “libertà positiva” di puntare a ogni meta si fa beffe di lui. Fonte di confusione ancor più diretta, nell’inizio della vita sessuale adolescente, sono le immagini pornografiche che popolano internet, letteralmente a miliardi. La quasi totalità dei maschi e una percentuale molto alta delle ragazze non riesce a far a meno di guardarle. In questi filmati artificiali, i maschi dispongono di una erezione permanente, mentre le femmine sono animali da consumo, totalmente sottomesse e consenzienti ad ogni genere di pratiche. È di fatto impensabile tradurre quegli esempi in comportamenti reali. Il giovane lo avverte e questo lo allontana dalla sessualità vissuta e non fantasticata. Siccome difficilmente può prendersela con proibizioni o censure, rinvia l’età d’inizio delle pratiche sessuali raccontandosi che prima “deve decidere se è etero- od omosessuale”, tanto questo dilemma lascia il tempo che trova: a scuola, per esempio, ragazzi e – soprattutto – ragazze gay non prevedono di incontrare grandi ostacoli. Il problema, però, non sta nell’incontrare pregiudizi, ma nel basare un passaggio tanto delicato sull’autoinganno. Il dubbio, piuttosto artificiale, non serve tanto a compiere più accuratamente una scelta di “libertà positiva”, quanto a rinviare l’incontro con la sessualità, che i superficiali modelli consumistici – o addirittura quelli pornografici – rendono temibile.
Nei binari precostituiti che hanno retto quasi fino a ieri, la identità di genere era, come ricordavamo, piuttosto scontata. Oggi, una libertà nominale sbandierata rende contemporaneamente accettabili la eterosessualità, la omosessualità, la bisessualità, la transessualità, la asessualità e altre opzioni ancora, il cui elenco è in costante aggiornamento. Se l’asino di Buridano moriva di fame perché non riusciva a decidersi tra due mucchi di fieno ugualmente appetitosi, il liceale di oggi soffre di “iper-Buridano”. Così, rinvia all’infinito il confronto con la vita erotica: non del tutto infondatamente, visto che per i giovani come lui la sessualità è un incontro non con un corpo che lo attrae, ma con astratte categorie di distinzione mentale o con immagini porno spesso ancor più astratte, a volte praticamente impossibili da realizzare per la normale anatomia. Chi glielo fa fare?
Fra le giovani generazioni dei principali Paesi del mondo è stato paradossalmente registrato un calo dei rapporti erotici tradizionali: a cosa è dovuto il fenomeno del “ritiro sessuale”?
Se il lettore mi ha seguito, spero a questo punto che sia d’accordo con me: cercare “la causa” di un fenomeno psicoculturale che attanaglia in sostanza tutto il mondo sarebbe irrealistico e onnipotente. Naturalmente non è una scusa buona per trascurarlo. È ovvio, per esempio, che chi si preoccupa per la natalità troppo bassa dovrebbe fare uno sforzo per affrontare il problema della sessualità: salvo una minoranza quasi trascurabile, i bambini nascono ancora dai rapporti intimi della tradizione. Fra l’altro, proprio i politici preoccupati per il calo demografico sono quasi sempre anche sostenitori della famiglia classica e diffidenti verso le gravidanze artificiali o comunque non tradizionali.
Invece, quasi nessuno si preoccupa di questo declino. Ci si occupa di ciò che “fa PIL”. Finché liberare la sessualità comportava liberare settori economici nuovi e meno puritani nella produzione cinematografica, televisiva o nella moda, grandi dibattiti pubblici spingevano in quelle direzioni. Ma, di per sé, da solo, fare all’amore non fa PIL. Questa è la situazione di oggi.
È ovvio che su tale tema importantissimo andrebbero non solo tenuti dibattiti, ma dovrebbero essere all’opera commissioni di studio, tanto in istituzioni private quanto pubbliche. È anche ovvio, (malgrado in questo spazio limitato non si possa affrontarne le infinite implicazioni di costume, di psicologia, di legge) che siamo di fronte a un caso macroscopico e universale di quello che è stato chiamato il “paradosso della scelta”. Aumentando le opzioni, di solito scegliere diventa più facile: ma solo fino a un certo punto, superato il quale invece di veder crescere le possibilità cresce la confusione.
Da un’altra prospettiva, siamo anche entrati in un campo che possiamo chiamare “psicologia del limite”. Me ne sono occupato fin dal secolo scorso (si veda Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo, Moretti & Vitali). Sia l’esaurimento delle risorse, sia l’ipersfruttamento del pianeta che stanno avendo drammatiche conseguenze climatiche non sono solo problemi tecnici: economici, industriali, metereologici. Sono prima di tutto problemi psicologici. È la psiche umana che vuole sempre di più. Ovviamente, entro un certo limite la motorizzazione ha aiutato gli uomini a spostarsi liberamente: ma, passato quel punto, ha cominciato a causare ingorghi stradali e a rallentare il traffico invece di velocizzarlo. Il problema sta nel numero eccessivo di persone che hanno desiderato avere l’auto, poi una seconda auto e così via. Di per sé, la psiche “sa” per conoscenza naturale che ogni cosa deve avere un limite. Il consumismo, invece, ci induce a pensare che, volendo di più, saremo più felici. Effettivamente, molti ottengono una piccola dose di felicità mangiando una tavoletta di cioccolato. Ma questo non significa affatto che chi ne mangia due, tre, raggiunga il doppio o il triplo di quella felicità. Anche se la pubblicità cerca di farcelo dimenticare, di deformare il nostro istinto, chi mangia dieci tavolette sta male e basta.
Quali prospettive, a Suo avviso, per il desiderio?
Anche qui, spero di aver accompagnato già il lettore verso una risposta. Che non sarà mai definitiva né mai consisterà in un comandamento generale: importante per l’equilibrio psichico è che ognuno – nel rispetto della società e delle regole generali – compia la propria scelta, trovi la propria strada e la propria dose. Evitar di fare i profeti dovrebbe essere il punto di partenza delle persone ragionevoli. Siamo giunti impreparati a questo serio declino, anche perché, quando qualcosa esiste, tendiamo a dare per scontato che continuerà ad esistere. Fra i “liberatori” della sessualità della seconda metà novecento, molti erano intellettuali di grande autorevolezza, che hanno però commesso un errore: hanno dato per scontato che quella liberazione sarebbe continuata. Praticamente nessuno ha previsto che si sarebbe invertita, come i fatti ora mostrano.
La parola desiderio è un concetto molto delicato, che va usato con prudenza. È anche piuttosto vasta, e ognuno rischia di impiegarla a modo suo, facendone un uso un po’ diverso da altri. Comunque, nel dibattito che affrontiamo, può riferirsi all’impulso sessuale: anzi, all’impulso erotico, termine che include meglio, oltre a quella fisica, anche la parte psicologica della pulsione. Il destino di questo desiderio, oggi un poco ammaccato, potrà risollevarsi se sapremo tenere ben distinto il vero bisogno personale da quella spinta artificiale e deludente che chiamiamo “consumo”. In fondo, è una reazione che in modo inconscio tende a re-includere il corpo: dove l’istinto, sottoposto a un eccesso, si difende con la nausea.
Luigi Zoja, psicoanalista di fama mondiale, è stato presidente dell’Associazione Internazionale di Psicologia Analitica e ha vinto due Gradiva Award. Tra i suoi libri, tutti pubblicati da Einaudi, La morte del prossimo (2009), In difesa della psicoanalisi (2013, con S. Argentieri, S. Bolognini e A. Di Ciaccia), Nella mente di un terrorista. Conversazione con Omar Bellicini (2017), Vedere il vero e il falso (2018) e Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso (2022).