
Quali vicende portarono alla caduta di Acri?
Ho trattato di questo argomento in Acri 1291. La caduta degli stati crociati. Si tratta di vicende complesse, da inserire – per rimanere agli aspetti più appariscenti – nel complesso quadro geopolitico del Vicino Oriente del tempo. Una secolare deformazione prospettica ci ha abituato a guardare alla capitale del regno di Gerusalemme – ma, si potrebbe dire, all’intero Outremer – a partire da un’ottica prevalentemente occidentale. In realtà, gli stati crociati rappresentavano soltanto un tassello del complesso mondo vicino-orientale, che vedeva protagoniste potenze di ben altro peso: da un lato, l’Egitto, strappato agli Ayyūbidi nel 1250 dalla casta militare mamelucca; dall’altro, i Mongoli dell’Īl-khanāto di Persia, assestatisi tra Maragheh e Tabriz, nell’odierno Iran nord-occidentale. Ebbene: per i Mamelucchi, gli stati crociati fungevano essenzialmente da «stato-cuscinetto», funzionale ad attutire l’avanzata dei popoli delle steppe; i Mongoli, invece, scorgevano in Outremer, oltre che un potenziale bacino di raccolta di tributi, un comodo corridoio attraverso il quale raggiungere il Nilo e le sue ricchezze. È facile comprendere come Outremer si trovasse, in sostanza, al centro d’un particolarissimo Great Game, partecipato da attori diversi, interessati per un motivo o per l’altro a mantenerne il controllo. È in questo contesto, dunque, che vanno lette le vicende che portarono alla caduta della capitale crociata e alla cacciata dei latini dalla Terrasanta.
Quali furono le reazioni dei contemporanei?
Le reazioni furono mutevoli, e ciò giustifica la particolare poliedricità de Il crepuscolo della crociata. Basandomi sulle principali testimonianze del tempo, ho tentato di ricostruire il sostrato d’una società provata da una tragedia quale quella acritana. Profezie, trattati, ricordi, lettere, appelli, accordi commerciali, relazioni di «agenti segreti» rendono quel particolare torno di tempo, che avrebbe visto la Cristianità occidentale rinunciare nei fatti – non, certo, a parole – alla riconquista dei Luoghi Santi, di grande interesse. Buona parte del libro è dedicata, dunque, alle voci critiche; ovvero alle osservazioni di quei commentatori impegnati nella ricerca delle responsabilità: la corona gerosolimitana, non meno che gli Ordini militari o le comunità mercantili italiane furono ripetutamente accusate d’aver favorito la caduta. Altri capitoli sono dedicati, invece, alla trattatistica sul recupero della Terrasanta: una sorta di genere letterario appositamente dedicato, ancora scarsamente studiato, in cui è dato trovare dati assai interessanti riguardanti la mentalità del tempo. In qualche caso, ci troviamo di fronte, anzi, a dei veri e propri trattati di politologia, corredati da nozioni belliche e piani strategici. Infine, ho concesso uno sguardo alla posizione di alcuni osservatori, sia occidentali, sia orientali, che si trovarono a vivere in prima persona quei tragici fatti. Il risultato è un libro composito, in cui lascio spesso parlare i protagonisti in prima persona.
Cosa accade all’idea di crociata dopo la fine del regno di Gerusalemme?
È questa la domanda che ruota al fondo di tutto il libro. La mia risposta è contenuta nel capitolo dodicesimo: Metamorfosi della crociata? Non è un caso se abbia mantenuto un fare interlocutorio. Nel fare storia è sempre bene avanzare problemi e sottolineare la complessità più che fornire risposte definitive (ammesso che queste siano possibili; cosa che non credo affatto). Sia chiaro. Non voglio eludere la risposta. Con tutta probabilità, la caduta di Acri non fece altro che sopire momentaneamente le numerose critiche di cui la crociata era divenuta oggetto nel corso del XIII secolo, quando s’era mutata in un potente strumento nelle mani del papa. Per qualche tempo, la crux transmarina sarebbe tornata di attualità. Anche se – va detto – tale interesse non sarebbe durato a lungo. La celebrazione del primo Giubileo della storia, nel 1300, mostrò tutta la facilità con cui una città come Roma – e un discorso parallelo potrebbe essere fatto per Parigi e per le altre “Gerusalemme” d’Europa – poteva sostituirsi alla Città Santa, ormai irrimediabilmente perduta. E ciò, nonostante l’entusiasmo suscitato dal giungere di notizie false e contraddittorie proprio nel corso dell’Anno Santo, che volevano Gerusalemme essere stata riconquistata dai Mongoli (l’episodio della “crociata delle donne genovesi” è, da questo punto di vista, emblematico). Senza dubbio, alle soglie del XIV secolo, l’idea di crociata si trovò a subire diverse pressioni, in particolare per opera della corona francese, tornata con Carlo di Valois a vagheggiare il ritorno di Costantinopoli in mani latine. Se il Papato aveva lentamente abbandonato l’idea d’una riconquista del Sepolcro di Cristo, traslando in Occidente la sacralità di Gerusalemme; se la trattatistica sul recupero della Terrasanta s’era spinta, di fatto, sino a prospettare piani d’attacco sostanzialmente irrealizzabili; se parte della società avanzava critiche nei confronti della crociata in sé – ebbene: poteva la crociata rimanere uguale a sé stessa? In effetti, i grandi dibattiti svoltisi in quel quindicennio di cui s’è detto non fecero altro che preparare la strada per la transizione verso altri obiettivi: dalla Terrasanta all’Egeo; dall’Egeo alla guerra (santa) contro il Turco. Si badi: anch’essa «crociata» a tutti gli effetti. Nei fatti, la Terrasanta sarebbe stata dimenticata. Ma non da tutti. Di lì a poco, una nuova storia avrebbe avuto inizio. Quella della Custodia.