“Il credito di una nazione. Politica, diplomazia e società di fronte al problema del debito pubblico italiano 1861-1876” di Giampaolo Conte

Dott. Giampaolo Conte, Lei è autore del libro Il credito di una nazione. Politica, diplomazia e società di fronte al problema del debito pubblico italiano 1861-1876 pubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura: qual era lo stato della finanza pubblica italiana all’indomani dell’unificazione?
Il credito di una nazione. Politica, diplomazia e società di fronte al problema del debito pubblico italiano 1861-1876, Giampaolo ConteÉ una situazione disperata. I primi governi unitari, appartenenti a quel gruppo politico di estrazione liberal-conservatrice noto come Destra Storica, iniziano il proprio cammino governativo in un campo minato da insanabili deficit di bilancio, da una amministrazione debole e burocrazia fallace, da un debito pubblico crescente, da una imposizione fiscale iniqua ed assente, da rigurgiti reazionari e dal malessere contadino, dal banditismo e dai continui problemi di difesa dei confini dalle minacce esterne. Davanti a questo panorama apocalittico, la rispettabilità, sia in materia politica che, e soprattutto, finanziaria, è effettivamente l’unica arma su cui può contare l’Italia per raccogliere intorno a sé la passione morale e la fiducia, capaci di permettere al paese di guadagnare con fatica, sebbene con risultati più modesti rispetto a quelli inizialmente auspicati, un posto tra le grandi nazioni europee. Tale passaggio si concretizza anche in termini di rispettabilità finanziaria. La prova più importante è il passaggio che l’Italia deve affrontare davanti ai mercati finanziari: il sogno politico realizzato non ha futuro, se non superando la prova della propria solvibilità economica. Solo la via della credibilità finanziaria e politica può salvare la nuova Italia facendola emergere dalle ceneri di un passato di marginalità. A dotare il neonato Regno del consolidamento politico, dell’ordine finanziario e di infrastrutture moderne, funzionali e necessarie alla realizzazione del progetto unitario, sono gli uomini della Destra Storica, che pagano il prezzo del loro impegno con un calo progressivo della propria popolarità. L’esito inevitabile è la mancata conferma alla guida politica del paese. Ordine ed economia: due obiettivi ma anche due strumenti che l’Italia della Destra Storica dei primi anni post-unitari riesce ad usare, al di là delle critiche ricevute, con abilità, soprattutto grazie a uomini che, con un alto senso dello Stato e delle istituzioni, lottano per ottenere questi risultati. È dunque l’azione di questi uomini, con le loro impressioni, passioni, debolezze, vincoli o aperture mentali e morali, a costruire la cornice dentro cui si muovono gli accadimenti materiali che costituiscono la narrazione storica delle vicende del debito pubblico italiano negli anni della Destra Storica.

Quale rilevanza aveva la questione del debito pubblico pontificio?
La questione del debito pubblico pontificio è il prisma attraverso il quale si può leggere la risoluzione della questione romana. La definizione di tale problema politico e territoriale sembra all’epoca passare anche attraverso il riconoscimento dei debiti pubblici della Santa Sede da parte del Regno d’Italia. Quest’ultimo vuole pagare la sua parte per la conquista dei territori pontifici annessi, mentre la Santa Sede non manca occasione per evitare di sedere al tavolo delle trattative con gli italiani che, di fatto, significherebbe riconoscerne la sovranità. Come si fa dunque a trattare? La Francia di Napoleone III è un ottimo mediatore ‘interessato’ a frenare le ambizioni italiane e al contempo facilmente influenzabile dalle frange clericali così attive nella Francia dell’epoca. Passare per la risoluzione del debito pubblico pontificio a carico dell’Italia significa per la Santa Sede accettare la perdita di suddetti territori e per il neonato Regno, di contro, la sua definitiva annessione. L’impasse si risolve solo con la dipartita delle truppe francesi da Roma, richiamate dalla guerra imminente con la Prussia di Bismarck.

La questione del debito pubblico pontificio, perno di buona parte delle relazioni tra le parti nonché terreno di comunicazione indiretto tra l’Italia e la Santa Sede, vede la sua risoluzione automatica con la presa in carico di tutto il debito papale quando Roma diventa parte integrante dell’Italia unita.

Quali dinamiche segnavano il mondo finanziario europeo dell’epoca?
Le rivoluzioni borghesi del XIX secolo spianarono la strada ai ruggenti anni di sviluppo capitalistico nella maggior parte dell’Europa occidentale. Sono i decenni delle haute banque parigine, dei grandi capitani di industria e della finanza, delle spericolate speculazioni borsistiche ed edilizie. Assistiamo ad un cambio progressivo della società, di un declino del tradizionale modello di ancien règime e dell’emergere del tumultuoso capitalismo moderno con il suo spericolato modello sociale basato sul successo economico e sul materialismo imperante. È un mondo che fonda sempre più le sue relazioni sociali con il metro del giudizio ‘economico’, che si riassume nella capacità di accumulare ricchezze e capitali. I vecchi e moribondi ceti nobiliari lasciano spazio a questa nuova aristocrazia del denaro che, grazie al proprio raggio di azione sempre più vasto, controlla le vie di accesso alla ricchezza e con esse la formazione progressiva delle classi medie nazionali, cuore pulsante del nuovo modello economico dominante. L’Italia, che combina realtà economiche divergenti e sovrastanti, si immette, non senza fatica e con contraccolpi sociali interni di non poco conto, nella strada tracciata della modernità europea adottando quelle politiche economiche partorire dal modello classico: liberalismo economico ed integrazione nel mercato europeo. Ma non sarà sempre così. Dal 1887, anno dell’inizio di una politica protezionistica, l’Italia si affrancherà sempre più dal libero scambio per abbracciare elementi tipici del ‘nazionalismo economico’ di Friedrich List, quanto mai funzionale a permettere la nascita di un’industria moderna.

La politica economica italiana, in conclusione, non mancherà mai di seguire ed adattarsi al corso della finanza internazionale. Tale capacità permetterà a Roma, tra le altre cose, di essere annoverata tra le grandi nazioni industrial-capitaliste europee affrancandosi dalla sua collocazione economica marginale ancora nel 1861.

Quali politiche permisero di raggiungere il pareggio di bilancio?
Ordine ed economia. Queste sono le due parole d’ordine più cariche di pathos per gli uomini appartenenti ai governi della Destra Storica che governarono l’Italia tra il 1861 ed il 1876. L’aumento consistente della pressione fiscale ed il ricorso alla spesa pubblica furono certamente due elementi fondamentali per arrivare all’insidioso e ‘irraggiungibile’ pareggio di bilancio. Certo, rispetto ai politici di oggi, all’epoca non si dovevano fare i conti con un elettorato vasto come quello odierno. Si pensi che fino al 1882 aveva diritto al voto circa il 3% della popolazione. Cioè, possiamo dirlo, la parte più benestante del paese. Questo lasciò agli esecutivi un più ampio margine di manovra. Ma le scelte impopolari in termini di pressione fiscale, aggiustamento fiscale e ricollocazione delle spese creò nondimeno un malumore serpeggiante, anche tra coloro che costituivano la base elettorale degli uomini politici appartenenti alle file della Destra.

L’obiettivo del pareggio di bilancio turba i sonni dei primi ministri e dei ministri delle Finanze, consci che non si tratta solamente di un mero dato economico bensì di un risultato di grande valore ideologico, nella convinzione che il programma morale del progetto unitario passi anche dalla stabilizzazione economica. Nella situazione europea di allora, tale obiettivo era certamente una condizione essenziale, un requisito minimo per il consolidamento politico, finanziario e morale del nuovo Regno tra le grandi nazioni europee. Il raggiungimento del pareggio, quindi, non era solo un asettico adempimento amministrativo. Si trattava di un obiettivo ancora più prezioso a fronte delle innumerevoli crisi di governo e rimpasti ministeriali, che rischiavano di indebolire e sfilacciare la volontà di perseguire scelte così forti in materia di politica economica. La Destra vantava quindi un idealismo pratico di grande robustezza morale ed il raggiungimento del pareggio era qualcosa di quasi archetipico nella sua psicologia economica. Esisteva una sola direzione ed era quella delle ‘economie fino all’osso’, rese possibili dal prevalere, in molti casi, dei propositi economici su quelli politici.

Chi furono gli artefici di questo ‘miracolo economico’?
Furono uomini come Costantino Nigra, Isacco Artom, Giovanni Lanza, Quintino Sella, Antonio Scialoja, Francesco Mancardi, Vittorio Emanuele Taparelli D’Azeglio e molti altri. Grazie a loro l’Italia è riuscita a consolidare la propria posizione nello scacchiere geopolitico europeo attraverso una massiccia opera di consolidamento fiscale, politico ed anche morale. Nonostante le evidenti difficoltà emerse nella gestione e nel risanamento di un paese soffocato da una situazione fiscale disperata, la compattezza degli obiettivi perseguiti da parte degli uomini della Destra è stata determinante per rendere il neonato Regno nazione rispettabile, con ambizioni di futura potenza internazionale.

La Destra Storica opera questa rivoluzione, silente ma capace di preparare il paese allo slancio effettivo verso quel modello di società industrial-capitalista che affrancherà, bisogna dirlo, buona parte della popolazione italiana da una condizione oggettiva di miseria. Il percorso sarà lungo, intriso di sangue e di sofferenza, ma le basi poste dagli uomini appartenenti alla Destra Storica in termini morali, etici e pratici sono state un esempio su cui si è costruito il futuro dell’Italia e la sua collocazione al centro dell’economia mondiale capitalista.

Giampaolo Conte è Ricercatore in Storia Economica presso l’Università Roma Tre. È coautore del libro L’Odissea del debito, le crisi finanziarie in Grecia dal 1821 a oggi (2015) ed autore del volume Il Tesoro del Sultano, l’Italia, le grandi potenze e le finanze ottomane (2018).

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