
Rispondere a questa domanda in questo momento così complesso non può non riflettere la paura e l’incertezza che stiamo tutti noi attraversando, non può non amplificare interrogativi e riflessioni sul rapporto che noi esseri umani abbiamo con l’ambiente che ci ospita.
I dati a nostra disposizione parlano molto chiaro, ci troviamo di fronte ad un’emergenza climatica senza precedenti nella storia evolutiva di Homo Sapiens. Gli interventi dell’essere umano sull’ambiente sono così invasivi e distruttivi da mettere a rischio la nostra stessa sopravvivenza.
Non sono ancora del tutto confermate le ipotesi che molti scienziati hanno avanzato per comprendere come si sia diffuso un virus capace di determinare una pandemia di questa portata. Al pari di altre zoonosi (malattie trasmesse dagli animali all’uomo) anche il Covid-19 sembrerebbe essere collegato a comportamenti umani, ovvero al commercio illegale e non controllato di specie selvatiche ma, in generale, alle conseguenze dell’intervento degli esseri umani sugli ecosistemi naturali.
Dott.ssa Mantione, quali meccanismi di difesa e quali tattiche intrapsichiche adottiamo per tenere a bada l’angoscia del disastro ecologico e in che modo essi sono di impedimento ad una concreta mobilizzazione delle coscienze?
La psicoanalisi individua alcuni meccanismi di difesa adottati per contrastare l’angoscia e i sentimenti di lutto generati dai danni, sempre più spesso, irreparabili provocati all’ambiente. Da una parte, meccanismi di rifiuto: negazionismo, negazione, diniego, Dall’altra: razionalizzazione, intellettualizzazione e rimozione.
Con i primi il tentativo di difendersi dall’angoscia è dato da una negazione e un tentativo di rifiutare l’accettazione della realtà, difesa organizzata e pianificata cinicamente, come nel caso del negazionismo, in forma transitoria come nel caso della negazione, oppure in forma ancora più grave nel diniego che comporta una sorta di alienazione dalla parte di sé cosciente di ciò che accade.
Razionalizzazione e intellettualizzazione determinano una comprensione astratta ma non emotiva della situazione e impediscono un’autentica mobilizzazione di energie e risposte costruttive e riparative. La rimozione è determinata dall’angoscia per l’enormità del problema e dal conseguente senso di impotenza che questo suscita. In altre parole, i meccanismi di difesa intrapsichici, sembrano essere di ostacolo per una adeguata e rispettosa relazione con l’ambiente non umano, elemento comunque fondante la nostra identità e la nostra stessa esistenza.
Dott.ssa Romanelli, in che modo la dottrina buddista dell’Origine dipendente ci aiuta a comprendere l’interrelazione tra gli esseri viventi?
La millenaria sapienza buddista (il vulcanologo prof. Guido Giornadno lo spiega molto bene nel libro) offre un modello – molto simile a quello della Fisica Quantistica – in grado di spiegare in modo metaforico ma molto preciso la forza rivoluzionaria della responsabilità individuale e collettiva.
Esistono molti modi di percepire ed interpretare la presenza umana nell’ambiente ed il suo scopo, ognuno dei quali ha effetti molto profondi sulle attività sociali, scientifiche ed economiche. Seppur variamente declinata, la visione ancora oggi dominante soprattutto nel mondo occidentale è quella meccanicista, per cui le persone e le comunità umane sono distinte dall’ambiente in cui vivono, che a sua volta è composto di parti tra loro distinte. L’avvento della visione ecologista e gli evidenti squilibri del sistema Terra causati dalle attività umane stanno mettendo alla corda l’efficacia descrittiva e previsionale del classico approccio meccanicista al funzionamento dell’ambiente nel suo insieme e portano alla ribalta la necessità di formulare una nuova visione. Credo che il buddismo Nichiren, laico e dedicato alla comprensione della vita possa contribuire in maniera fondamentale, e per questo ho chiesto a Giordano di approfondire.
Quale contributo possono fornire alla bioetica ambientale le donne e l’ecofemminismo?
Il corpo della Terra, il titolo del libro, è assimilabile al corpo delle donne, capace di creare la vita. Secondo le eco-femministe, donne e natura sono unite da un’associazione millenaria. Se nella visione organica del mondo premoderno, era centrale l’immagine della natura come madre nutrice – un’immagine che svolgeva un preciso ruolo normativo di inibizione nei confronti dei comportamenti distruttivi nei confronti dell’ambiente – nella visione moderna baconiana è predominante l’idea della natura come femmina selvaggia che dev’essere domata e sfruttata. Da qui il modello del dominio che caratterizza ancora oggi il rapporto dell’uomo (maschio) con la natura e la donna. Al centro dell’ecofemminismo è, dunque, una preoccupazione per la Terra e il suo sfruttamento che esprime una preoccupazione di tipo ambientalista ma insieme, e più profondamente, traduce un’istanza femminista, data la postulata connessione tra oppressione della donna e oppressione della natura, propria della cultura androcentrica. L’attuale coscienza femminista ed ecologica potrebbe, pertanto, essere usata per esaminare le interconnessioni storiche tra donna e natura al fine di promuovere quei valori di rispetto e di cura associati al mondo.
Come può il principio di precauzione rappresentare un paradigma efficace per le scelte pubbliche su ambiente e salute?
Il rapporto tra scienza e precauzione è importantissimo: sono entrambi presupposti e fondamenti per le politiche pubbliche che riguardano l’ambiente e la tutela della salute, e mostrano come l’approccio precauzionale non sia alternativo, ma additivo rispetto a quello basato sulle valutazioni tecnico-scientifiche. Nel libro si insiste sul principio di precauzione e sul suo scarso utilizzo nelle politiche pubbliche globali, extra-europee, offrendo visioni e scenari alternativi agli attuali.
In che modo la culturalizzazione della società rappresenta una condizione necessaria per la sostenibilità?
La sostenibilità non può scaturire solo da un sentimento di paura verso le crisi ambientali provocate dalla nostra incapacità di guidare il progresso scientifico e tecnologico. Abbiamo la necessità di definire che cosa sia realmente la sostenibilità e superare quei modelli costruiti su presupposti disfunzionali. La sostenibilità è un modello di culturalizzazione della società basato sul principio di imitazione della natura come processo di evoluzione e sviluppo culturale e naturale, dunque non solo economico. La nostra tesi si basa sulla sostenibilità intesa come riproduzione della circolarità naturale.
Quali sono i presupposti di un modello di sviluppo sostenibile basato sull’ipotesi compatibilista e sul senso del limite?
Sotto la scorza del paradigma dello sviluppo sostenibile, si nasconde –come vedremo- un misto di ideologie radicali e anti-sistema, che vanno dall’ecologismo profondo alle prospettive no-global, dal rifiuto esistenzialistico della tecnica al marxismo dei bisogni. Queste radici dell’idea, che riportano alle origini storico-critiche del concetto, non vanno negate. Ma è –a nostro parere- importante rendersi conto del fatto che proprio l’idea di sviluppo sostenibile si presenta oggi come il fuoco di un orizzonte teoretico e pratico, contrapposto a quello radicale e anti-sistema delle origini, orizzonte che potremmo definire “compatibilista”. È anche molto importante riflettere sul senso del limite che per fortuna già emerge profondamente dalla cultura contemporanea, che è per esempio evidente negli sviluppi recenti della bioetica o nelle riflessioni psicoanalitiche sull’onnipotenza e il narcisismo che sottintendono la società tecnologica e capitalistica.
Che relazione esiste tra psicoanalisi ed ecologia?
La psicoanalisi dovrebbe per prima rifondarsi su un nuovo modello ecologico da sostituire a quello egologico. La psicoanalisi può aiutarci a riscrivere un nuovo immaginario capace di ridiscutere il modello antropocentrico che oggi ci accorgiamo essere distruttivo e autodistruttivo.
La colonizzazione di ambienti extraterrestri può rappresentare una soluzione legittima, prima che percorribile?
Il saggio del prof. Di Paola è uno straordinario mix tra fantascienza e scienza capace di raccontare e scenaggiare ma anche dimostrare scientificamente i pro e i contro dell’abbandonare la Terra per colonizzare Marte come alternativa ai processi degenerativi che stiamo attuando nel rapporto con il pianeta.
Dott.ssa Mantione, è possibile trovare soluzioni o immaginare scenari capaci di invertire la rotta che ci sta portando all’estinzione?
Dobbiamo trovare soluzioni collettive ai gravi problemi ecologici e ambientali che affliggono i nostri tempi. Questo è l’imperativo che gli scienziati e gli studiosi diffondono, se pure inascoltati, da molti anni. Soluzioni collettive, cooperazione verso fini comuni, superamento delle logiche narcisistiche ed egocentriche, in poche parole recuperare un senso di comunanza e di appartenenza alla specie umana e, insieme, un comportamento etico e responsabile verso la nostra nicchia ecologica. Superare la logica individualistica, aprirsi al potere taumaturgico della relazione è qualcosa che riguarda sia il percorso di cura e di benessere del singolo individuo che il percorso di cura e di benessere della nostra intera specie. Come psicoterapeuti sappiamo quanto siano fondamentali per la salute e il benessere di noi esseri umani la possibilità di costruire solidi legami e buone relazioni affettive ed interpersonali, ma è altrettanto fondamentale non sottovalutare l’importanza della relazione con il nostro ambiente naturale e con le specie non-umane che ci accompagnano nella nostra esistenza su questo pianeta.
Per concludere e, speriamo, per aprire scenari di speranza nel triste panorama dell’individualismo radicale, possiamo dire che se è stata la cooperazione che ci ha consentito il salto evoluzionistico che ci ha portato ad essere Homo Sapiens e a diventare la specie “più intelligente” sul pianeta, forse è proprio nella cooperazione che possiamo confidare per affrontare le sfide dei nostri giorni e superare la grave crisi ambientale che stiamo attraversando.