“Il corpo del Caudillo. La doppia sepoltura di Francisco Franco e la transizione della Spagna alla democrazia (1975-2019)” di Andrea Anderlini

Dott. Andrea Anderlini, Lei è autore del libro Il corpo del Caudillo. La doppia sepoltura di Francisco Franco e la transizione della Spagna alla democrazia (1975-2019), edito da La Vela: in quale contesto politico e sociale si consumò l’agonia e la morte del dittatore spagnolo?
Il corpo del Caudillo. La doppia sepoltura di Francisco Franco e la transizione della Spagna alla democrazia (1975-2019), Andrea AnderliniIn un contesto decisamente turbolento. Il Caudillo aveva tenuto le redini del Paese per ben trentasei anni. Nell’ultimissimo periodo aveva sì iniziato a delegare qualche funzione, ma l’ultima parola spettava sempre e comunque a lui. Si pensi che persino il 17 ottobre 1975 – ossia due giorni dopo il primo infarto della sua prolungata agonia – assistette ad un Consiglio dei ministri. La sua salute era però instabile da tempo e questo si ripercuoteva nella tempestività delle decisioni politiche; difatti, quando Franco non poteva occuparsene a causa della malattia, il governo spagnolo rimaneva come in attesa del ritorno del Jefe del Estado. Va da sé che i nemici interni ed esterni della Spagna franchista iniziarono ad essere più decisi nella loro opposizione, specialmente quando cominciarono a comprendere che avesse ormai i giorni contati. All’epoca colse con acume questa situazione Paolo Bugialli, inviato del “Corriere della Sera” nella penisola iberica, che parlò di «un regime autoritario che si trovava, all’improvviso, privo dell’autorità, afflitto da una quantità di malattie, e nella incapacità di imboccare una strada coerente, perché non abituato a farlo senza l’ordine dall’alto, perché oppresso dal timore di sbagliare».

Le situazioni complicate erano molteplici. Innanzitutto, si assisteva ad una grave crisi economica a causa dell’aumento del greggio, dovuto dalla guerra del Kippur. La conseguente inflazione, alimentata anche dalla crisi politica in atto, portò ad un aumento generalizzato dei prezzi. Ciò comportò una più attiva mobilitazione degli operai, che reclamavano dei compensi adeguati all’aumento del costo della vita. Eppure, non erano gli unici che protestavano nelle strade; ad essi, infatti, si unirono gli studenti universitari, i quali manifestavano per richiedere maggiori libertà. Gli scontri con le forze di polizia divennero sempre più frequenti, alimentando l’agitazione nella popolazione.

Lo Stato franchista stava sgretolandosi pure dal punto di vista territoriale; gli abitanti della colonia africana del Sahara spagnolo avevano aumentato le loro rivendicazioni per ottenere l’indipendenza, costituendo, addirittura, un’organizzazione armata: il Fronte Polisario. A complicare ulteriormente la questione si inserirono la Mauritania ed il Marocco, che volevano entrambi annettersi tale territorio. Il secondo passò all’azione il 6 novembre 1975, con Franco già in piena agonia, realizzando la Marcia Verde: trecentocinquantamila civili marocchini oltrepassarono il confine rivendicandone la sovranità. Fortunatamente si evitò lo spargimento di sangue ed ai legionari spagnoli, stanziati nella frontiera, si ordinò di non sparare.

Il sangue, invece, scorse nella penisola. ETA (un’organizzazione armata che aspirava all’indipendenza dei Paesi Baschi) iniziò la stagione degli attentati terroristici, colpendo direttamente i vertici dello Stato franchista: il 20 dicembre 1973 venne assassinato il delfino di Franco, Luis Carrero Blanco, il personaggio a cui il Caudillo voleva lasciare in eredità il suo potere.

Il regime reagì abbandonando la strategia di apertura, ossia un tentativo di aprire degli spazi di partecipazione politica all’interno delle associazioni del Movimiento Nacional, il partito unico franchista. Così, iniziò una campagna di repressione contro ogni manifestazione di dissenso, sfociata con le cinque condanne a morte del 27 settembre 1975. Questo procedimento isolò la Spagna a livello internazionale, ricevendo persino la condanna di papa Paolo VI (il quale aveva già avuto altri scontri con il Caudillo) e rendendo evidente la perdita dell’appoggio della Chiesa cattolica, fondamentale sia nella vittoria dei nazionalisti durante la guerra civile del 1936 che per la sopravvivenza stessa della dittatura.

Le opposizioni colsero il momento propizio per riorganizzarsi e formarono la Piattaforma di Convergenza Democratica e la Giunta Democratica, due grandi coalizioni le quali, tuttavia, non rappresentavano interamente tutti i movimenti dell’epoca; ci fu, difatti, un fiorire di partiti o parapartiti, a cui si sommavano i vari gruppi di pressione economici, le correnti in seno all’esercito, le varie tendenze del clero e gli ambienti delle diverse corti monarchiche.

La stessa classe dirigente franchista si presentava divisa al suo interno; ai già citati “aperturisti” si opponevano chi auspicava diversi cammini di riforma e, soprattutto, il bunker: gli ultra-franchisti più irriducibili che volevano mantenere il regime così com’era, senza alcuna trasformazione. Questa fazione del Moviemiento fu quella che mantenne il potere in questo periodo (almeno fino all’avvento di Adolfo Suárez come Presidente del Governo nel 1976) e che, quindi, orchestrò la simbolica sepoltura di Francisco Franco. Probabilmente, il bunker caldeggiò la macabra e grottesca lotta contro il decesso del Generalísimo, al fine di prender tempo per organizzare la sua successione. Così, si assistette ad una maniacale attenzione delle condizioni cliniche di Franco, ossessivamente seguite e narrate dai media. L’evolversi della malattia del paziente tenne con il fiato sospeso un’intera nazione. La stessa cittadinanza, difatti, aveva paura di ciò che sarebbe successo con il decesso del Caudillo, proprio perché tutte queste situazioni politico-sociali suggerivano che si stava ripresentando quel nefasto clima di caos precedente al 1936. Questa paura (oserei dire questo terrore) si protrasse per alcuni anni anche dopo la morte del Jefe del Estado.

Dove venne sepolto Franco e perché proprio lì?
Franco venne sepolto nel Valle de los Caídos. Un mausoleo imponente, dal quale risaltano la basilica di 262 metri di larghezza (scavata nella roccia) e la gigantesca croce di 150 metri d’altezza, impossibile da non scorgere persino dall’autostrada AP-6. Questa monumentalità eccezionale ha origine dal desiderio del Caudillo di “sfidare il tempo e l’oblio”, poiché straordinaria si era rivelata la “Crociata” e il conseguente trionfo nazionalista nella guerra civile spagnola. In effetti, il decreto che da inizio ai lavori è deliberato in una data emblematica: l’1 d’aprile del 1940, primo anniversario della “Vittoria”. Anche il luogo, la Sierra de Guadarrama, racchiude un’immensa simbologia: infatti, a pochi chilometri di distanza dal sito di costruzione si trova il monastero dell’Escorial, edificato dal sovrano Filippo II – nella seconda metà del XVI secolo – come residenza e pantheon dei re di Spagna. Era, ed è, il simbolo dell’epoca d’oro della nazione iberica, quella dell’Impero spagnolo. Il periodo di splendore al quale il Generalísimo voleva riportare la sua patria e che si doveva materializzare, quindi, con una struttura maestosa, el Valle, appunto. Al suo interno dovevano pertanto giacere tutti gli eroi che avevano dato la loro vita per la vittoria nazionalista, come segno di riconoscenza al loro estremo sacrificio. In verità, però, la grande maggioranza – come poi spiegherò – saranno resti di soldati repubblicani.

Nonostante una così grande importanza, le ristrettezze economiche del regime e le numerose difficoltà tecniche procrastinarono l’apertura del mausoleo per ben diciotto anni, fino all’1958, mentre l’inaugurazione ufficiale avvenne di nuovo in quella data simbolica: l’1 d’aprile del 1959. Due giorni prima, il 30 marzo, furono traslati nel Valle de los Caídos i resti di José Antonio Primo de Rivera (il fondatore della Falange Española), venendo ubicati nell’altare maggiore della basilica; in questo modo, per la propaganda franchista, era come se egli vegliasse il sonno eterno dei numerosissimi morti della “Crociata”, rendendo Cuelgamuros un “reliquario di Vittoria e di Pace” dei combattenti di Franco.

Difatti, la dittatura franchista ben si guardò dal definire il conflitto una guerra civile; divise, diversamente, la società in due opposti blocchi: i “veri spagnoli”, nuovi crociati, opposti alle “orde marxiste”. Questo sdoppiamento si tramutò in una lotta del Bene contro il Male. Questo mito, che Alessandro Seregni definì «delle due Spagne contrapposte», si protrasse oltre il 1939 per tutto il periodo della dittatura. Il suo fine consisteva nello stringere attorno al regime la parte degli spagnoli che lo appoggiavano, intimandoli a restare in guardia, tenendo ben aperti gli occhi e le orecchie, perché il nemico poteva ripresentarsi in qualsiasi momento. Dimenticare la guerra civile significava, insomma, tagliare le radici stesse del franchismo. Lo stesso Caudillo, nel suo testamento politico, scrisse: «Non dimenticate che i nemici della Spagna e della civilizzazione cristiana sono all’erta», perpetuando, altresì, quel clima di divisione interna di vinti contro vincitori.

Quando Franco morì – come dicevo – la Spagna era scossa da numerose problematiche. Il bunker, gli ultra-franchisti, necessitavano di mostrare all’interno della nazione e all’estero che erano ancora saldi al potere; quindi, non c’era modo migliore che seppellire il Generalísimo nel luogo più rappresentativo della sua (e loro) vittoria: il monumento di Cuelgamuros. Il suo corpo divenne, così, la personificazione dell’egemonia della destra spagnola più oltranzista. Si trasfigurò in uno di quei corpi inquieti che, dopo la loro dipartita, acquisiscono un significato che va ben oltre la loro individualità. Effettivamente, come ha scritto Dino Mengozzi: «Mettere il corpo di un personaggio, proclamato fondamentale per lo Stato, alla portata di tutti dava l’illusione che la legittimità del potere fosse condivisa». Eppure, la società era rimasta divisa agli schieramenti del 1939, ecco spiegato perché poi si arriva all’esumazione quarantaquattro anni dopo.

Il 24 ottobre 2019 avvenne la seconda sepoltura di Franco: che valore ha avuto questo storico evento e quali polemiche l’hanno accompagnato?
La sepoltura di Franco nel Valle de los Caídos non era gradita all’altra parte della società spagnola, quella che la propaganda della dittatura aveva emarginato ed obbligato al silenzio. Per questa porzione di popolazione il monumento di Cuelgamuros era un’umiliazione, almeno per quattro motivi; la prima risaliva al momento della sua costruzione: il mausoleo doveva celebrare il trionfo nazionalista, quindi, parallelamente, la disfatta repubblicana. La seconda era connessa alla manodopera: nella costruzione del monumento commemorativo del trionfo bellico franchista furono impiegati i vinti, caduti prigionieri, mediante il lavoro forzato. La terza consisteva nell’aver posto i resti dei repubblicani uccisi all’interno della struttura che eternizzava il loro insuccesso. Ma di più, le loro spoglie vennero collocate in casse, alcune delle quali con il tempo si ruppero, altre furono lasciate dischiuse, mentre diverse ossa vennero accatastate alla rinfusa senza alcuna suddivisione fra un individuo e l’altro, impedendo, perciò, la loro identificazione. La quarta umiliazione, invece, aveva a che fare con il carnefice; il Caudillo venne sepolto nell’altare maggiore della basilica del Valle de los Caídos, quindi, in una posizione decisamente privilegiata rispetto a tutti gli altri caduti; il fine era anch’esso una nuova offesa: simboleggiava il mantenimento di quella forma di regime da lui stesso promossa e che trovava nel bunker la sua prosecuzione.

La storia, tuttavia, mostrò una discontinuità e, attraverso una travagliata transizione – che approfondisco nel testo –, la Spagna divenne una democrazia. Si siglò un Patto del Silenzio sul passato, anche perché si rischiava concretamente (e quasi ci si arrivò con il Golpe Tejero del 1981) un nuovo 1936.

In seguito, però, una parte della nuova generazione, successiva a quegli anni turbolenti e che si identificava nella parte “sconfitta” della guerra civile, ha iniziato con sempre maggior forza a richiedere di sanare i conti col passato. Così, sono incominciate le rimozioni di monumenti della dittatura o le modifiche di nomi di strade che ne avevano un richiamo. Eppure, il grande protagonista restava lui: Francisco Franco Bahamonde. Il PSOE di Pedro Sánchez ha senz’altro fomentato questo sentimento di repulisti, elevando l’esumazione del Caudillo all’atto conclusivo di sutura da questa profonda ferita. Il madrileno, infatti, il 24 ottobre 2019, a trasferimento del corpo di Franco concluso, affermò che era terminata «un’anomalia in una democrazia europea come quella spagnola: l’esaltazione della figura di un dittatore in un mausoleo costruito durante la dittatura, per la dittatura e a maggior gloria della dittatura». Si era posto fine, dunque, ad un oltraggio morale: l’esibizione della figura di un despota in uno spazio pubblico. Si era compiuto, in tal modo, un ulteriore passo verso la riconciliazione nazionale.

Ciononostante, alcuni giornalisti non avevano trovato convincenti queste dichiarazioni; viceversa, ritenevano che Sánchez avesse utilizzato l’avvenimento in maniera propagandistica per le elezioni generali del 10 novembre successivo. In effetti, non solo criticavano il momento in cui si era deciso di svolgere questo procedimento, ma anche le modalità – con una diretta televisiva quasi filmografica di più di sei ore – e tutta un’altra serie di dichiarazioni, gesti e comportamenti che il leader socialista aveva compiuto in quella giornata. I biasimi dei partiti politici spagnoli spaziavano, invece, da tutto il campo parlamentare: le critiche non provenivano soltanto dai partiti di opposizione conservatori (PP e VOX), ma persino dai nazionalisti baschi e dai medesimi alleati di governo di Podemos. Per i primi e per la parte della cittadinanza spagnola che essi rappresentavano, quella che non si riconosceva nel lascito repubblicano, sembrava come se si utilizzasse il passato per non parlare del presente e delle sue difficoltà: ecco spiegato perché risultava vitale questo ritorno in guerra nelle trincee del 1939 e perché, poi, le battaglie sono continuate pure dopo il trasferimento del Caudillo dal Valle de los Caídos. Tuttavia, a queste considerazioni si opponevano altri giornalisti come Manuel Hidalgo, il quale considerava il trasferimento di Franco «la chiusura di una vergogna» o chi, come Antonio Lucas, la esaminava come una «giustizia poetica».

Queste profonde difformità di vedute ben evidenziano la profonda spaccatura insita nella società spagnola, originatasi in un passato presente non ancora divenuto storia e che, chi avrà curiosità, spero potrà approfondire nella lettura di questo libro.

Andrea Anderlini, laureato nell’Università di Urbino nel 2021, collabora con la cattedra di Storia Contemporanea del Dipartimento di Scienze Umane presso lo stesso ateneo. Si occupa di simbolica intorno alle religioni politiche e alla sacralizzazione dei corpi nel mondo ispanico. Ha pubblicato un saggio in materia nella rivista “Storia e Futuro”. Nel 2022 è stato ammesso al corso di dottorato “Historia del Pensamiento, los procesos políticos y los movimientos sociales. Siglos XVIII-XX”, presso la facoltà di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università Complutense di Madrid. Oltre ciò, Anderlini è anche docente di scuola primaria.

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