“Il cinema di Stato. Finanziamento pubblico ed economia simbolica nel cinema italiano contemporaneo” a cura di Marco Cucco e Giacomo Manzoli

Il cinema di Stato. Finanziamento pubblico ed economia simbolica nel cinema italiano contemporaneo, Marco Cucco, Giacomo ManzoliIl cinema di Stato. Finanziamento pubblico ed economia simbolica nel cinema italiano contemporaneo
a cura di Marco Cucco e Giacomo Manzoli
il Mulino

«Questo libro tratta del sistema di finanziamento pubblico al cinema italiano nel corso dell’ultimo decennio. Prova a farlo con un approccio pragmatico e scientifico. Vale a dire che intende mantenere il discorso ancorato ad alcuni elementi concreti: l’entità dei finanziamenti, le istituzioni ad essi preposte, i soggetti implicati (privati o pubblici, operatori del settore o funzionari), i film realizzati e la loro circolazione, ovvero gli incassi. Lasciando fuori, per quanto possibile, ogni tipo di interferenza di natura ideologica o assiologica. Non ci interessa, cioè, stabilire se sia giusto o meno finanziare il cinema, l’entità dei finanziamenti e – soprattutto – i «giusti» destinatari di questi finanziamenti. Non abbiamo, anzi, difficoltà a dichiarare che sul tema i curatori e gli autori di questo volume hanno più che altro dubbi, nella convinzione che non esistano sistemi intrinsecamente giusti e sbagliati, ma che l’efficacia di ogni intervento pubblico dipenda dalla sua conformità agli obiettivi, da contesti e contingenze. Senza contare il fatto che ogni tipo di valutazione dovrebbe essere fatta a posteriori, a bilancio, prescindendo per quanto possibile dagli orientamenti e dai gusti di coloro che sono preposti a compiere il bilancio stesso. Ciò non significa, evidentemente, che nel libro non vi siano prese di posizione relative a pratiche perverse, difetti di sistema e provvedimenti che hanno determinato conseguenze palesemente negative.

Quello che ci preme sottolineare è il rifiuto di una logica manichea, fortemente polarizzata, attorno alla quale si sono spesso sviluppati discorsi contrapposti, fatalmente tendenziosi, fra la lamentazione di chi è sempre pronto ad accusare lo stato di «non fare abbastanza per difendere il cinema» e chi sale invece sulle barricate nella denuncia dello spreco e del malaffare di elargizioni clientelari o comunque dissennate, che ci sono anche state, specie in passato, ma non sono il problema principale.

Nel rigettare tanto la prospettiva umanistico-idealistica della necessità di un investimento illimitato e indiscriminato quanto l’approccio politico-giornalistico che stigmatizza il finanziamento in quanto tale e gli attori del sistema come elargitori di prebende o parassiti, ci pare giusto fare riferimento anche ad una terza tipologia di discorsi che non ha aiutato, in questi anni, lo sviluppo del settore. Parliamo di quella retorica celebrativa, spesso commissionata dagli stessi operatori e avvalorata da riferimenti a dati parziali o opportunamente selezionati, che saluta ogni tipo di finanziamento come una conquista e descrive il sistema della produzione «assistita» come il migliore dei mondi cinematografici possibili. E si tratta del resto di una posizione che nei vari saggi scientifici sul tema è stata spesso confutata. […]

In realtà, ciò che cerchiamo qui di fare non è altro che un tentativo di storia del presente, secondo un modello di studio delle forme simboliche tipico dei cultural studies, nel quale si mettono in relazione la produzione di significati di un determinato settore e le strutture economiche e industriali che hanno autorizzato o incoraggiato l’affermazione di certe determinate espressioni fra tutte quelle possibili. Questo spiega il titolo del libro, a partire da un duplice problema che fornisce le coordinate fondamentali allo sviluppo di tutti gli interventi che seguiranno. […]

Perché in Italia esistono sostanzialmente due tipi di film. Quelli finanziati e quelli non finanziati. Nelle pagine che seguono sarà possibile comprendere quanto sia ramificato e complesso questo sistema di finanziamento e quanto profonde siano le sue radici. Ma per il momento è sufficiente dire che per buona parte dei film prodotti in Italia il finanziamento pubblico è una condicio sine qua non. Malignamente (ma non troppo) si potrebbe perfino affermare che un certo numero di film esistono solo in funzione del finanziamento pubblico, ma, da accademici abituati a confrontarci con progetti di ricerca concepiti ad hoc per intercettare bandi nazionali o internazionali, la cosa non ci scandalizza. Più interessante è fare un’apertura di credito nei confronti della buona fede e provare a capire cosa succede quando – comunque – il finanziamento statale è essenziale per poter realizzare un film.

Il libro fornisce una serie di risposte dettagliate anche a questa domanda, ma possiamo anticipare, in sintesi, che lo stato è il vero committente di gran parte dei film italiani; per il tramite dei finanziamenti nazionali previsti dal ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (MiBACT), per il tramite dell’attività di Rai Cinema, dove l’ente di stato (di nuovo, per legge) interviene nella realizzazione con risorse ingenti che ne fanno uno dei principali produttori nazionali; per il tramite dei finanziamenti diretti previsti dalle varie regioni dotate di film commission (sono ormai 18). Film italiani che sperano di intercettare un pubblico ma non hanno alcuna garanzia di farlo. Non ce l’hanno in assoluto, perché da sempre il settore è caratterizzato da un rischio di impresa particolarmente alto (ogni film è un prototipo), e non ce l’hanno specialmente in un sistema dove l’offerta eccede nettamente la domanda come accade, in maniera endemica, nel cinema italiano. Ed ecco allora che, in termini probabilistici, buona parte dei film italiani vengono realizzati mettendo in conto di essere in perdita e il finanziamento di questo committente diviene semplicemente vitale. Per questo, in maniera del tutto neutra, abbiamo deciso di parlare di un cinema di stato. Perché si tratta di un cinema che viene di fatto realizzato con risorse pubbliche, erogate da un soggetto pubblico a dei soggetti privati attraverso una serie di procedure e di agenzie, ciascuna delle quali non può che rispondere alla logica e agli interessi che uno stato è preposto a difendere o affermare: valori, principi, concetti, visioni del mondo, gusti, che sono stati istituzionalizzati e devono poter essere «difendibili» rispetto ad eventuali contestazioni da parte di altri organismi dello stato medesimo e perfino di semplici cittadini. Vedremo, ben nel dettaglio, cosa implichi la necessità di conformarsi ad uno standard istituzionale, ad esempio in termini di uniformità o di attitudine pedagogica. Ma crediamo che quanto detto consenta di enunciare il principio in base al quale buona parte (almeno un terzo) dei film italiani contemporanei – in quanto prodotti culturali – sono film dello stato italiano, nell’accezione più ampia del termine, il quale è per converso, come detto, il principale produttore nazionale. Nel bene e nel male.»

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