
Quale ulteriore minaccia è rappresentata dalle nuove costellazioni di satelliti?
Per gli astronomi i satelliti sono sorgenti luminose mobili che lasciano una impronta del loro passaggio sull’immagine celeste che è in corso di acquisizione. A volte la strisciata non dà troppo fastidio perché l’oggetto che si vuole studiare è abbastanza lontano da non essere disturbato, a volte bisogna buttare via l’immagine e ricominciare da capo. Ovviamente il problema è tanto più grave quanti più numerosi e brillanti sono i satelliti. Fino al maggio del 2019 gli astronomi ottici non erano troppo preoccupati, ma il lancio dei primi 60 satelliti della costellazione Starlink ha fatto suonare l’allarme. Intorno alla mezzanotte del 24 maggio 2019, 20 ore dopo il decollo del Falcon 9, Marco Langbroek, un appassionato cacciatore di satelliti, gira da Leiden, in Olanda, questo video (https://vp.nyt.com/video/2019/05/30/80942_1_30vid-starlink_wg_720p.mp4) che mostra una sequenza di puntini luminosi che procedono ben allineati, quasi a formare un trenino. Gli astronomi ottici sono stati colti di sorpresa: i satelliti Starlink sono più luminosi del 99% dei satelliti in orbita. È stato solo dopo avere visto il trenino così luminoso che gli astronomi hanno apprezzato a fondo la serietà del problema che può solo peggiorare con il crescere del numero di satelliti. La combinazione tra il numero, l’orbita relativamente bassa, la forma appiattita e l’inclinazione dei pannelli solari ha prodotto un effetto micidiale, in grado di mandare in tilt gli osservatori astronomici sorvolati dall’allegro trenino (questo è un esempio eloquente https://nationalastro.org/wp-content/uploads/2019/11/D00908899_i_r5001p01-CC-cleaned-2-2.jpg). Il problema è particolarmente serio nelle ore successive al tramonto e prima dell’alba quando sulla terra è buio ma gli oggetti in orbita vengono illuminati dai raggi del Sole. Nel cuore della notte, il problema non si pone perché gli oggetti in orbita bassa sono nel cono d’ombra della terra e non riflettono.
SpaceX, la società di Elon Musk, intende lanciare 12.000 satelliti per fornire servizi di connessione internet a livello planetario: chi le ha dato il permesso?
Space X è una compagnia USA che lancia dal suolo USA quindi l’autorizzazione è stata data dalla Federal Communications Commission (FCC) che, però, non ha minimamente considerato l’impatto ambientale, come invece sarebbe richiesto dal National Environmental Policy Act (NEPA) che impone alle agenzie federali di esaminare l’impatto ambientale di tutto quello che autorizzano. Con una popolazione attuale di 9.000 satelliti (contando i 1.500 attivi e i 7.500 che hanno smesso di funzionare e sono, a tutti gli effetti, rottami), la FCC non ha battuto ciglio a raddoppiare abbondantemente la popolazione degli oggetti in orbita autorizzando SpaceX a lanciare 12.000 satelliti. Ma è solo l’inizio. Musk dice di volerne lanciare altro 30.000 senza contare i 3.200 del progetto Kuiper di Amazon, i 4.700 della Samsung, i quasi 3.000 della Boeing.
A ben guardare, il problema di chi ha dato il permesso è molto più complicato, Mentre è sicuramente vero che i satelliti vengono lanciati dal territorio americano, quindi è ragionevole che l’autorizzazione venga data da un ente americano, è altrettanto vero che le loro orbite sorvolano tutti gli altri paesi del globo che non sono stati minimamente coinvolti nella decisione. Con che autorità la FCC decide cosa mi deve passare sulla testa modificando l’apparenza del mio cielo?
Il problema andrebbe gestito dallo UNOOSA (United Nation Office for Outer Space Affairs) l’organismo mondiale, emanazione delle Nazioni Unite, che si occupa dell’utilizzo pacifico dello spazio. Esiste un trattato internazionale sull’utilizzo dello spazio, lo UN Outer Space Treaty, scritto negli anni ’60 del secolo scorso quando stava iniziando la corsa alla spazio e si voleva evitare che le potenze coinvolte proclamassero la loro sovranità sui corpi celesti. Adesso la situazione è radicalmente cambiata. Industrie private sono diventate protagoniste della nuova Space Economy il cui profitto si basa sul taglio del costo di lancio e sulla moltiplicazione del numero dei satelliti, con il risultato che è molto più difficile controllare il loro operato. Per evitare una privatizzazione indiscriminata dello spazio lo Outer Space Treaty dovrebbe essere aggiornato per regolare l’affollamento delle orbite e anche la riflettività dei satelliti.
Quale rischio costituiscono per la Terra e le esplorazione spaziali i detriti spaziali?
Il grande numero dei satelliti delle nuove costellazioni amplifica la possibilità di collisioni tra satelliti con effetti a catena a dir poco preoccupanti. Pensiamo che, in caso di collisione, si forma una nube di detriti che continuerà a percorrere la stessa orbita del satellite originale moltiplicando le probabilità di altri impatti. Si chiama sindrome di Kessler dallo scienziato che l’ha studiata per primo. Nonostante l’apparente vastità dello spazio circumterrestre, sappiamo che la probabilità di collisione già oggi non è nulla. Il 10 febbraio 2009 uno dei satelliti della costellazione Iridium si è scontrato con un satellite militare russo della serie Kosmos non più operativo. La popolazione di oggetti che orbita intorno alla Terra (formata da satelliti attivi, satelliti spenti e rottami di varia dimensione) è tenuta sotto costante sorveglianza per minimizzare i rischi di avvicinamenti pericolosi. La ISS ogni tanto effettua manovre per schivare oggetti che potrebbero avvicinarsi troppo. Musk sostiene che i suoi numerosissimi satelliti sono dotati di un sistema automatico anticollisione. Tuttavia, il 2 settembre 2019 l’Agenzia Spaziale Europea ha dovuto spostare il suo satellite Aeolus per evitare un passaggio troppo ravvicinato con uno Starlink.
Come si sta organizzando la comunità astronomica per mitigare il problema e difendere il cielo da questo nuovo tipo di inquinamento celeste?
La comunità astronomica ha cercato di quantificare il problema simulando l’effetto del passaggio dei satelliti sopra i telescopi già operativi e su quelli in costruzione. In uno studio di questo tipo il parametro più importante risulta essere la dimensione del campo di vista del telescopio. Sono stati considerati sia telescopi che operano su campi di vista “piccoli” sia telescopi che operano su campi di vista “grandi”. Come era ragionevole attendersi, i campi di vista piccoli sono meno colpiti dalla presenza dei satelliti perché possono evitare di osservare in direzione vicino all’orizzonte dove ci sono delle zone più affollate quando il problema è più severo, dopo il tramonto e prima dell’alba. I grandi telescopi europei in Cile non dovrebbero essere troppo danneggiati anche perché agli astronomi, in generale, non piace affatto osservare vicino all’orizzonte perché la qualità delle immagini non è mai perfetta. La situazione è completamente diversa per i telescopi a grande campo, come il Vera Rubin Observatory, sempre in Cile che è stato costruito per fare copertura di grandi regioni del cielo. Ogni immagini coprirà un’area corrispondente a 40 volte la luna piena e il telescopio farà molta fatica ad evitare le strisciate. Si stima che circa 1/3 delle immagini sarà attraversato da un satellite che lascerà una strisciata molto difficile da eliminare con algoritmi di pulizia perché troppo brillante. Visto che si tratta di un telescopio che si prefiggere da fare grandi survey celesti, cioè coperture molto estese del cielo, perdere un’immagine su tre è difficile da accettare. Si è cercato di valutare la possibilità di programmare i puntamenti al fine di evitare i satelliti. Purtroppo sono talmente tanti che il compito sembra essere impossibile. L’unica soluzione è cercare di limitare la quantità di luce che riflettono ed è in questa direzione che ci si sta muovendo attraverso l’utilizzo di alette parasole che dovrebbero limitare la luminosità dei satelliti Starlink.
In che modo tutti noi possiamo contribuire?
Preservare l’oscurità della notte non è una missione impossibile, con un po’ di attenzione si può riuscire ad illuminare la strada senza rovinare troppo la visione del cielo. Nel libro racconto come gli astronomi americani sono riusciti a trovare un modus vivendi con grandi comunità urbane che, opportunamente sensibilizzate, hanno accettato di limitare l’illuminazione non necessaria per vedere le stelle. In effetti, tutti possiamo contribuire a limitare l’inquinamento luminoso, per esempio scegliendo con cura le lampade che utilizziamo per cortili e giardini. La differenza tra una lampada ottima e una pessima è giocata sulla capacità di dirigere la radiazione verso il basso e non verso l’orizzonte o verso l’alto. È questo che chiedono le ordinanze regionali che sono state approvate quasi ovunque nel nostro paese proprio per limitare l’inquinamento luminoso. Occorre fare molta attenzione ai LED perché la loro efficienza, coniugata con la loro economicità, induce spesso ad abusarne peggiorando la situazione.
L’UNESCO ha definito la volta celeste un patrimonio dell’umanità del quale tutti possiamo fruire perché il cielo stellato è parte integrante della vita degli esseri umani, degli animali e delle piante che chiamano casa il pianeta Terra. Oltre a godere della bellezza del cielo stellato, tutti dovremmo contribuire alla sua conservazione per cercare di mantenerlo intatto per le generazioni future.
Patrizia Caraveo è Dirigente di Ricerca all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Dal 1997 è Professore a contratto dell’Università di Pavia, dove tiene il corso di Introduzione all’Astronomia. Astrofisica di fama mondiale, nel 2009 è stata insignita del Premio Nazionale Presidente della Repubblica. Come membro delle collaborazioni Swift, Fermi e Agile ho condiviso per tre volte con i colleghi il Premio Bruno Rossi della American Astronomical Society nel 2007, 2011 e 2012. Nel 2014 è entrata nella lista degli Highly Cited Researchers. Fa parte del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica e delle 100 donne contro gli stereotipi. È Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.