
Quindi vediamo in Rodari un valido alleato per rimarcare l’importanza di sostenere lo sviluppo rispettoso dell’infanzia. Innanzitutto, egli esprime la volontà di comprendere il bambino nella sua genuinità e autenticità, valorizzando le sue espressioni e le sue azioni. Allo stesso tempo denuncia, attraverso la sua poesia e i suoi racconti, persone e contesti che, ipocritamente, sottraggono al bambino gli spazi, i tempi e le opportunità adeguate alla sua crescita, al divenire delle sue capacità e dei suoi talenti. Il bambino persona-cittadino è attivo e partecipe, non va relegato in uno spazio artificiale e irreale. E difatti, Rodari con i bambini tratta di temi “reali” da cui si ritenevano, allora ma in parte anche oggi, esclusi: la partecipazione, la democrazia, la libertà, il lavoro, l’inquinamento, la pace, la guerra, la morte. E ciò evitando i moralismi, la retorica, il populismo. Egli evidenzia come il bambino possa essere estremamente competente se lo si mette in condizioni di esserlo. La sua è un’azione di vera e propria liberazione del bambino. Ciò avviene quando gli adulti trovano il modo di valorizzare la sua fantasia e la sua creatività a favore della sua libertà. Da talune competenze del bambino gli adulti stessi potrebbero trarre indicazioni in un’ottica di lifelong education. L’immaginazione e la creatività di cui i bambini sono capaci, rappresentano infatti una componente indispensabile per lo svolgersi del progetto di vita infantile, ma anche adulto, per stimolare il cambiamento di contesti e situazioni.
L’impegno educativo che egli prospetta agli adulti, a supporto della crescita del bambino riconosciuto quale persona libera e autonoma, è elevato e rifugge da un approccio sia paternalistico che spontaneistico, come egli stesso dichiara. Per questo, alle volte le parole di Rodari sono scomode per ogni adulto che intenda appiattirsi sulla routine del “così è”.
Come si articola la proposta educativa allo sviluppo sostenibile nella geografia fisica e fantastica di Gianni Rodari?
La pedagogia rodariana sottolinea l’importanza di porre al centro dell’agire educativo l’infanzia nella sua specificità per promuoverne la partecipazione, l’espressione creativa e le inedite potenzialità. Ma ogni bambino e ogni bambina sono radicati in un determinato contesto ambientale e sociale, che può offrire loro opportunità di crescita o limitarne le possibilità. Vi è un’ecologia ambientale, nel senso anche di sociale e politico, che va sottoposta al vaglio critico perché le questioni rilevanti e gli aspetti problematici che in essa emergono hanno una diretta ripercussione sul progetto di vita di ogni bambino e di ogni bambina. Rispetto alle questioni del paesaggio fisico e antropico i bambini non possono essere lasciati all’oscuro, mentre al contempo è necessario che gli adulti si pongano in un’ottica generativa per individuare le azioni sociali più opportune per agire in chiave emancipativa e offrire, democraticamente, adeguate opportunità di crescita a tutti, riconoscendo e rimuovendo tutto ciò che alimenta disuguaglianze e diversità circa l’opportunità di realizzazione di ogni persona-cittadino.
E se i bambini divengono competenti sul versante delle politiche educativo-sociali, essi al contempo vanno riconosciuti come cittadini portatori di diritti e co-responsabili delle sorti del pianeta Terra. Rodari potrebbe essere definito un eco-pacifista, anche se non si è mai professato tale; rappresentando paesi e città, ambienti e stagioni, anticipa l’ampia problematica dello sviluppo sostenibile, attualmente al centro dell’interesse dato che è divenuta precaria la sopravvivenza stessa del pianeta Terra, e su questo coinvolge il bambino. Si entra in tal modo in una geografia fisica e fantastica in cui il ricorso al surreale è una denuncia degli elementi irrazionali del comportamento presente e serve per avviarne una revisione critica, per sviluppare uno sguardo antidogmatico nei giovani capaci di sovvertire le derive negative di un uso scellerato delle risorse ambientali. I suoi scritti non vanno perciò considerati solo un immediato strumento didattico, quali fossero “pillole” di educazione ambientale, ma uno stimolo ad una riflessione più ampia che coinvolge adulti e ragazzi in un’ottica sistemica e complessa.
Quale lezione offre, sul versante delle politiche educativo-sociali, il progetto pedagogico di Rodari?
Rodari è un “narratore civile”, un convinto difensore dello sviluppo democratico della società italiana – che tra l’altro, quando scrive, è da poco uscita dal secondo conflitto mondiale – per la quale fantastica mondi nuovi la cui realizzazione richiede la militanza di tutti.
Rodari intende tutelare l’ambiente naturale ma anche quello antropizzato, quello cioè, in cui le diverse interazioni tra uomo ed esseri viventi, natura, oggetti, prodotti, a seconda di come vengono interpretate dall’uomo, danno vita a conformazioni di vario tipo, sostenibili o meno, più o meno democratiche e solidali.
Rodari ritiene che siamo tutti inclusi tutti in una “rete della vita” e sollecita gli adulti alla costituzione di un patto intergenerazionale in cui ciascuno sappia prendersi cura di sé e dell’altro nel rispetto reciproco, con lo sguardo rivolto in maniera privilegiata all’infanzia con i suoi diritti, e nella considerazione della specificità e dell’impegno che spettano ad ogni agenzia educativa, famiglia e scuola in primis, ma anche considerando l’educazione diffusa. Rodari abbozza percorsi formativi in cui sono presenti valori quali la collaborazione, la solidarietà, il rispetto delle differenze, la ricerca del bene comune. Essi debbono trovare un’adeguata concretizzazione in progetti sociali e politici coerenti; il che, come si è detto, non esclude l’uso della fantasia, che, anzi, permette di individuare percorsi trasformativi, di pensare in grande.
Come si traduce per Rodari l’importanza di porre al centro dell’agire educativo l’infanzia nella sua specificità?
Rodari vuole sollecitare il bambino ad esprimere le proprie competenze e quindi crea costantemente le condizioni e le situazioni formative perché ciò possa avvenire. Sollecita l’interazione con i bambini attraverso la stimolazione della fantasia, considerando tale percorso come una vera e propria risposta al loro diritto a crescere. Usa la parola come strumento principale di liberazione e di sviluppo creativo. E, infatti, nella Grammatica della fantasia, afferma che “con le storie e i procedimenti fantastici per produrle noi aiutiamo i bambini ad entrare nella realtà dalla finestra, anziché dalla porta. È più divertente: dunque è più utile. […] Non vi sono dubbi che essi vogliano, prima di tutto, e sopra tutto il resto, crescere. Il diritto di crescere, in effetti, noi glielo riconosciamo solo a parole. Ogni volta che lo prendono sul serio, ci giochiamo tutta la nostra autorità per vietargliene l’uso”.
E sottolinea la necessità di una guida discreta e equilibrata dell’adulto, che ha il dovere “di rispettare sempre nel bambino il bambino: di non metterlo mai bruscamente e senza preparazione di fronte a emozioni e scoperte che potrebbero urtare il delicato sistema del suo equilibrio; di non abusare mai della nostra superiorità di adulti per imporgli le nostre idee, i nostri atteggiamenti, le nostre – chiamiamole col lor nome – passioni”.
Rodari è contrario ad un ambiente in cui ‘si respira un’aria che addormenta’, in cui si cerca il compromesso e ci si scava una nicchia individualistica in cui trascorrere il tempo. Per questo ritiene che il rispetto per i ragazzi comporti anche l’educazione alla ‘giusta passione’, legata alla capacità di ‘sognare in grande’, di cambiare in meglio, di non fare sempre e comunque come gli altri o perché lo si è sempre fatto. Intende quindi evitare anche l’educazione alla rassegnazione per promuovere la cura educativa che stimoli nei ragazzi la ricerca per la verità che sia al tempo stesso ‘passione’ della verità”, rendendoli così “testimoni attenti ma partecipi alle cose di questo mondo”.
Afferma infatti Rodari che “i ragazzi hanno bisogno di quelle che una volta si chiamavano ‘le cose più grandi di loro’ hanno bisogno di prender parte a ‘cose vere’. Hanno bisogno di misurare la loro energia su scala più vasta che non siano la scuola e la famiglia. Hanno bisogno di concepire ideali e d’imparare ad amarli sopra ogni altra cosa. Ciò che facciamo per incoraggiarli in questa direzione è giusto: ciò che facciamo per trattenerli è sbagliato”.
Oggi, in cui la generatività educativa adulta sembra assopita, appare fondamentale far prendere coscienza all’educatore della sua responsabilità nell’aiutare i giovani a coltivare una progettualità e una speranza verso il futuro. Un percorso che Rodari intende attuare non tanto presentando personaggi infantili da prendere ad esempio, ma incitando gli adulti ad entrare mondo del bambino, rispettando il suo essere e permettendogli di agire, di fare, anche sbagliando, anzi valorizzando l’errore del bambino come sperimentazione di sé e anche il suo divertimento. Rodari fa tutto ciò con la parola, le storie, l’ascolto e il dialogo per e, soprattutto, con i bambini.
Nel libro si definisce quello “all’ascolto dei bambini” il “più rodariano dei diritti”: quale ruolo riveste, nella pedagogia rodariana, la disposizione ad ascoltare il bambino?
Rodari fonda la relazione educativa sull’ascolto, che diviene anche partecipazione del bambino. Un ascolto che significa allo stesso tempo per l’adulto disporsi a spiegare, a mostrare, a raccontare al bambino, in definitiva a dialogare con lui. Il bambino di Rodari non è mai lasciato solo, è accompagnato nelle sue esplorazioni, è sollecitato nelle sue libertà, nei suoi originali modi di esprimersi.
Adulto e bambino sono interlocutori entrambi partecipi e attivi, entrambi rispettosi l’uno dell’altro, entrambi aperti e pronti a uscire dalle loro cornici per avvicinarsi a nuovi orizzonti, a nuove conquiste. E la storia del diritto all’ascolto, che poi prende forma nell’articolo 12 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, evidenzia che Gianni Rodari l’aveva già assunta nella sua declinazione pedagogica, perché attraverso l’ascolto egli esprime i principali diritti dei bambini: alla libertà, al sapere, alla critica, ad essere se stessi, all’amore, all’amicizia, al gioco….
Quale visione della scuola emerge dall’opera di Gianni Rodari?
La crescita del bambino, nell’emergere della creatività, passa dunque attraverso un’educazione non repressiva, che può essere invece presente in famiglia, nella scuola, così come anche nella società, secondo modalità spesso subdole. Rodari propone quindi di mettere il bambino nelle condizioni di sperimentare il suo vero ruolo di ricercatore, attore e produttore, valorizzando l’azione per tentativi ed errori che si costruisce anche nell’esercizio con le parole “vere”. Costruisce, così, una pedagogia dell’errore e assume il divertimento come elemento dialogante con l’impegno. “Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo? – afferma. – Se si mettessero insieme le lagrime versate nei cinque continenti per colpa dell’ortografia, si otterrebbe una cascata da sfruttare per la produzione dell’energia elettrica. Ma io trovo che sarebbe un’energia troppo costosa. Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio la torre di Pisa”.
La sua scuola non è quella del programma “cosificato”, della ripetitività, ma la scuola che si caratterizza come apprendistato del pensiero divergente e critico, condotta con maestri disposti a sintonizzarsi con i bambini per costruire un patto formativo che permetta un rinnovamento personale e sociale. E, anticipando i tempi, rigetta una scuola autoreferenziale, staccata dalla realtà in cui è inserita, perché la vera scuola “è grande come il mondo”, è un bene comune della società, che si apre alla società.
In che modo è possibile coniugare la valorizzazione dell’infanzia auspicata e promossa da Rodari con il percorso di riconoscimento del bambino cittadino promosso dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989?
Il messaggio di Rodari appare rivoluzionario perché, con estrema naturalezza, sposta l’attenzione dall’azione educativa dell’adulto al bambino, e rende quest’ultimo attore. Così facendo promuove “una didattica attivistica avanzata”, valorizzando le sue capacità e la sua maturità.
E in tal modo sembra anche rispecchiare l’iter metodologico di cura e interesse per il bambino che si profila nel passaggio dalla Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo del 1959 alla Convenzione del 1989, in particolare attraverso gli articoli 12 e 13, dedicati all’ascolto e alla partecipazione del minore, e l’art. 14:
Art. 12: “Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”. Art. 13: “Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo”. Art. 14: “Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”.
Il documento del 1989 offre una prospettiva dell’infanzia che da oggetto di protezione, come ancora in parte appare nella Dichiarazione del 1959, diventa soggetto di protezione e di partecipazione, con il riconoscimento dei modi, tempi e spazi di crescita adeguati alla fase di sviluppo del bambino. Ciò significa anche che i diritti dell’infanzia vanno “vivificati” e costantemente aggiornati in base alle sollecitazioni dei bambini stessi, perché ciò equivale a rispettare la dignità del loro essere persone e quindi il diritto a possedere diritti. Possedere diritti ed esercitarli vuol dire essere riconosciuti ed avere voce.
È all’interno di tale scenario che il bambino si presenta non come soggetto da mantenere separato e recluso dal resto del mondo adulto o da ‘analizzare’ settorialmente, ‘in vitro’, dalle singole discipline. Serve invece una visione olistica del bambino, come Rodari stesso aveva ben compreso: “Almeno una cosa ho imparato: che quando si ha a che fare con i bambini, e si vuol capire quel che fanno e quel che dicono, la pedagogia non basta e la psicologia non arriva a dare una rappresentazione totale delle loro manifestazioni”. Così è Rodari stesso a mettere in guardia da una carta dei diritti dei bambini che si presenti come un teorico orpello legislativo o un accattivante slogan, incapace però di raggiungere in maniera permanente e quotidiana il bambino in carne-e-ossa. Scrive infatti:
“Per ultima è arrivata anche l’Onu, prima emanando una carta dei diritti infantili, poi programmando l’anno del fanciullo. Personalmente credo che i bambini abbiano diritto non a un anno di attenzioni, di problemi, di esposizioni, di mostre, ma alla attenzione permanente e crescente di ogni giorno, di ogni anno, in ogni paese. Allora io credo che ogni anno è anno del bambino. Allora mi sta bene l’anno dei bambini”.
Rodari insomma ha colto il significato dei diritti dell’infanzia proprio integrando l’idea di provision e protection con quella di partecipation che caratterizza appunto la Convenzione del 1989. Bambini e adulti hanno ugual valore per Rodari. Egli attinge dagli uni e dagli altri e crea un universo linguistico ed esperienziale che rappresenta la sua visione utopica di cambiamento politico, sociale ed educativo, in cui i rapporti umani siano modificati, cioè migliorati, umanizzati.
Mirca Benetton è Professoressa associata di Pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata dell’Università di Padova, dove insegna Pedagogia dell’infanzia, dell’adolescenza e diritti dei bambini e Pedagogia del ciclo di vita. Fra le sue monografie: Preadolescenza e scuola. Profilo pedagogico-educativo di un’età incerta (2012); Allenamento per la vita. L’educazione-sportivo-motoria for life (2015). Al suo attivo figurano inoltre numerosi contributi in opere collettanee e in riviste scientifiche relativi, in particolare, alla pedagogia del corso di vita in una dimensione ecologico-sostenibile.