“Il cibo nel futuro. Produzione, consumo e socialità” a cura di Paolo Corvo e Michele Filippo Fontefrancesco

Prof. Paolo Corvo, Lei ha curato con Michele Filippo Fontefrancesco l’edizione del libro Il cibo nel futuro. Produzione, consumo e socialità pubblicato da Carocci: quali cambiamenti hanno interessato negli ultimi anni il mondo del cibo?
Il cibo nel futuro. Produzione, consumo e socialità, Paolo Corvo, Michele Filippo FontefrancescoIl mondo del food ha vissuto profonde trasformazioni negli ultimi anni, diventando sempre più significativo nelle dinamiche socioculturali e nella vita quotidiana delle persone. In questo saggio evidenziamo alcuni dei cambiamenti più rilevanti nell’ambito gastronomico, relativi alle modalità di consumo, alle pratiche alimentari, all’organizzazione della ristorazione. Il cibo è diventato un fattore determinante per la definizione dell’identità individuale ed è al centro dell’attenzione dei media tradizionali, dei social network, di movimenti e associazioni di consumatori. Cogliere le nuove frontiere della gastronomia rappresenta anche una via per ripensare i modelli di consumo, gli stili di vita e le politiche pubbliche. Si assiste ad una pluralità di scelte e opzioni disponibili, senza riferimenti certi e assoluti, come mai accaduto in passato, anche se già Fischler trent’anni fa parlava di gastro-anomia, descrivendo un rapporto con il cibo caratterizzato da una generale assenza di regole. Per descrivere la situazione attuale del mondo del food sembra opportuno richiamarsi al pensiero di Zygmunt Bauman e al suo concetto di società liquida, per cui l’individuo globalizzato vive senza certezze in uno spazio estetico e frammentato. In questa prospettiva, provando a definire la situazione attuale del mondo del food si può forse parlare di cibo liquido o di gastro-liquidità, laddove l’esperienza del consumatore è quanto mai mutevole, tra lo sviluppo dell’automazione, anche nel settore ristorativo (avremo il robot cameriere o il robot chef ?), e la riscoperta di un rapporto diretto con il produttore, tra l’attenzione ai prodotti locali e l’attrazione per il cibo fusion e multietnico, tra le esperienze multisensoriali e gustative del cibo (penso alla neuro-gastronomia) e l’acquisto del cibo on line senza alcun contatto visivo o tattile. In questa varietà di possibilità ogni consumatore cerca di trovare una propria identità e consapevolezza, assumendo inizialmente comportamenti anche contradditori o quantomeno non coerenti tra loro, liquidi appunto, e riuscendo poi a adattarsi con modalità flessibili alla mutevolezza del mondo del food e del mercato alimentare. In questo contesto non è semplice delineare in modo netto quali siano gli scenari che ci attendono, ma possiamo applicare all’ambito del cibo l’auspicio di Bauman di passare da una società turbo-consumistica ad una convivenza sociale fondata sulla sostenibilità.

Quali effetti ha avuto la pandemia di Covid-19 sul mondo del cibo? E qual è la situazione dell’e-grocery e quale futuro, a Suo avviso, per la spesa alimentare on line e il food delivery?
Il primo cambiamento che vogliamo sottolineare è la crescente importanza assunta dalla modalità telematica nei consumi alimentari. Il lockdown ha certamente migliorato le conoscenze relative alla comunicazione on line. Questo è avvenuto in particolare con lo smart working e la didattica a distanza, ma anche il mondo del cibo è stato interessato da questo fenomeno, con il raddoppio delle prenotazioni effettuate on line e il crescente utilizzo delle ricette telematiche per cucinare.

Il secondo aspetto che ci sembra importante rilevare è il ritrovato interesse degli italiani per il cucinare, come dimostra il notevole aumento di chi ha utilizzato più di un’ora di tempo per preparare il pasto. I dati sono tratti da una ricerca svolta dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo nel 2020, che ha interpellato più di 3000 soggetti su tutto il territorio nazionale. Più della maggioranza assoluta degli intervistati (54,8%) ha impiegato da 1 a 2 ore per cucinare, il 23,4% da 2 a 3 ore, il 5,2% addirittura più di tre ore. Certamente hanno influito il maggior tempo libero a disposizione e la chiusura di bar e ristoranti, ma è indubbio che il cibo si è rilevato durante la quarantena un elemento fondamentale nella vita degli italiani, per il suo valore identitario e conviviale: hanno cucinato insieme genitori con i figli, coppie di fidanzati, gruppi di amici. In conseguenza di ciò sono aumentati in modo significativo i consumi di latte, zucchero, farina, uova e di lievito naturale, cioè di tutti gli elementi necessari per cucinare pane, pizza, dolci o fare la pasta. Oltre la metà degli italiani ha speso più di 100 euro la settimana per i consumi alimentari, un investimento ritenuto adeguato alle nuove abitudini. Si è passati da un’attenzione al cibo molto mediatica, spettacolare e superficiale (propria di alcune trasmissioni televisive di grande successo) ad un coinvolgimento nel mondo del food maturo e responsabile, frutto di informazioni accurate e di pratiche sperimentate con pazienza ed emozione. È interessante notare come questi comportamenti stiano diventando abituali, per cui è molto probabile che diventino una prassi costante degli italiani anche dopo la pandemia.

Quali sfide deve affrontare la ristorazione collettiva?
In effetti durante il lockdown per la prima volta, i ristoratori sono stati privati di due componenti fondamentali della loro attività: il servizio al tavolo e la presenza dei clienti nei locali. Come abbiamo rilevato alcuni dei consumatori, nell’impossibilità di recarsi al ristorante, sono ricorsi al food delivery. Per la verità questa pratica aveva già avuto una crescita negli ultimi anni, con l’utilizzo sempre più frequente delle app degli smartphone e del computer per ordinare cibo. La situazione delineatasi durante la pandemia Covid-19 ha sviluppato ulteriormente il ricorso a questa pratica. Prima del lockdown il food delivery era esclusivo di ristoranti etnici e fast food e riguardava una fascia specifica della popolazione, giovani residenti in aree urbane. Negli ultimi mesi altre tipologie di ristoranti (anche gli stellati!) hanno reso disponibile questo servizio, con il coinvolgimento di altre fasce di consumatori.

Peraltro mentre si sono diffusi gli studi sui consumi alimentari e la qualità della vita e sulla sostenibilità del food delivery, è stata rivolta minore attenzione all’impatto che tale pratica sta esercitando sulla gestione e l’organizzazione della ristorazione. In effetti si sono sviluppate diverse modalità di ristorante, per soddisfare la crescente richiesta di food delivery, in termini di diversificazione ed ampliamento dell’offerta, sviluppo di nuovi concept, ottimizzazione degli spazi e delle risorse umane.

Nello specifico sono nate le dark kitchen, le ghost kitchen e le cloud kitchen.

La dark kitchen prevede la destinazione di una parte specifica di una cucina di un ristorante già esistente per la preparazione esclusiva di cibi per asporto e delivery. Tale soluzione consente al ristoratore di diversificare la propria offerta e di ampliare il proprio bacino di clienti senza per questo dover sostenere delle spese per ampliare il locale o per assumere nuovo personale.

Le ghost kitchen rappresentano un modello per gestire un’attività dedicata esclusivamente all’online food delivery, con lo sviluppo di una nuova attività ristorativa, spesso in parallelo ad un ristorante già esistente, con un laboratorio di cucina gestito da terzi e provvisto di una brigata di cuochi residenti. In tal caso il ristoratore può determinare un’offerta alternativa in funzione della consegna a domicilio, senza pregiudicare l’identità del ristorante principale.

Le cloud kitchen, conosciute altresì come cook room, sono ispirate dai principi della food sharing economy e del co-working e consistono in ampi spazi, collocati spesso in zone periferiche della città, dove diversi operatori condividono una cucina preallestita, orientata al servizio di food delivery, e condividono i costi dell’attività. Questa tipologia di ristorazione è particolarmente utilizzata dalle start up che vengono protagonisti giovani operatori, che non hanno la possibilità di aprire un ristorante tradizionale o privilegiano il food delivery come segmento di mercato.

Come già osservato in altri studi l’aspetto economico rappresenta uno dei principali motivi di sviluppo di questo settore della ristorazione. Nei prossimi anni si assisterà ad un’ulteriore evoluzione del settore ristorativo, che non porterà alla scomparsa del ristorante tradizionale, ma certamente modificherà in modo sostanziale la relazione con il cliente. La figura del ristoratore sta cambiando profondamente ed è auspicabile che gli istituti professionali e le accademie sappiano rapidamente aggiornare modalità e contenuti del percorso formativo. Il futuro del cibo passa soprattutto dalla capacità degli operatori di utilizzare in modo ottimale le innovazioni tecnologiche e di adeguare la propria offerta, in modo creativo e sostenibile, alle esigenze mutevoli dei consumatori.

Quale sarà il cibo del futuro?
Il consumatore cerca un livello qualitativo sempre più alto, sia in casa, con i prodotti che acquista e cucina, sia quando si reca in un ristorante per pranzare o cenare: l’asticella delle richieste e delle esigenze si è alzata di molto. Non si tratta solo di una moda, ma di una vera e propria volontà di conoscere in modo approfondito il mondo della gastronomia e di poter godere di una sensazione di benessere gustando prodotti di elevata qualità.

Si assiste ad un’attenzione crescente verso i mercati agricoli, i prodotti di nicchia, le novità alimentari, ma soprattutto riguardo ai prodotti tipici e a km0. Il modello di consumo alimentare che si è sviluppato non contempla più il solo nutrimento, ma anche e soprattutto la ricerca della salute, non più intesa come assenza di malattia ma come benessere psicofisico. Da qui il successo dei cosiddetti superfood, termine utilizzato per indicare i cibi aventi presunte capacità benefiche per la salute, dovute alle loro caratteristiche nutrizionali o alla concentrazione chimica complessiva. Sono chiamati anche alimenti funzionali o nutraceutici. Negli ultimi anni vi è stata una crescita costante del consumo dei superfood, basti pensare alla quinoa, al ginseng, alle bacche di goji, la curcuma, lo zenzero, ecc. Occorre verificare si si tratti di un fenomeno di moda, legato ad efficaci politiche di marketing, o rifletta una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori rispetto alla salubrità del cibo. Probabilmente i due elementi si combinano tra loro: vanno peraltro evitati comportamenti di consumo autoreferenziali, che non ricorrono al fondamentale consiglio degli specialisti, come medici e nutrizionisti. Sul piano scientifico non vi sono infatti ancora certezze sull’effettiva salubrità di alcuni superfoods, per cui è opportuna una certa prudenza soprattutto nella quantità di prodotti consumati. Il tutto va inserito all’interno di un’alimentazione sana ed equilibrata.

Un altro fenomeno gastronomico da prendere in considerazione sono i novel foods, che secondo la definizione dell’Unione Europea sono tutti quei prodotti e sostanze alimentari prive di storia di consumo significativo in tempi recenti e che quindi devono sottostare ad un’autorizzazione prima della loro immissione in commercio. Si è parlato e scritto molto in questi ultimi anni della diffusione anche in occidente dell’alimentazione a base di insetti, l’entomofagia, termine che deriva dal greco ἔντομον (éntomon), insetto e φᾰγεῖν, mangiare (phagein).

Paolo Corvo è direttore del Laboratorio di sociologia dell’Università degli studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove insegna culture del viaggio e dinamiche sociali e nuove tendenze nel food e nella ristorazione. Le sue principali linee di ricerca comprendono gli aspetti sociali dell’alimentazione, il turismo, qualità della vita, benessere e felicità. Ha frequentato corsi di scrittura creativa e di sceneggiatura con Francesco Trento e la scuola Holden. Fra le pubblicazioni recenti si segnalano: 2021, Il cibo nel futuro (a cura di, con M. Fontefrancesco), Carocci editore, Roma; 2018, Viaggi enogastronomici e sostenibilità (a cura di), FrancoAngeli, Milano; 2015, Food culture, consumption and society, Palgrave MacMillan, Basingstoke; 2015, Quando il cibo si fa benessere. Alimentazione e qualità della vita (a cura di, con Gianpaolo Fassino), FrancoAngeli, Milano; 2015, Dimmi come mangi, Terre di Mezzo, Milano.

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