
Uno degli aspetti più interessanti che la ricerca ha mostrato negli ultimi vent’anni è certamente la capacità che il nostro cervello ha di adattarsi all’ambiente. Ecco nel caso del bilinguismo, abbiamo la possibilità di studiare il cambiamento che il cervello affronta se incontra più lingue e del lavoro che questo richiede, e che non si può osservare a occhio nudo.
Come dei giocolieri delle lingue, vediamo spesso bambine e bambini anche molto piccoli passare da una lingua a un’altra, mettendo in gioco abilità cognitive di controllo e attenzione che si pensa siano appunto collegate al fatto di essere bilingui e plasmino un vero e proprio cervello bilingue.
Molta ricerca sul cervello bilingue è iniziata in Canada a Toronto, nel gruppo di ricerca della professoressa Ellen Bialystok. Queste sono zone del mondo dove il bilinguismo è la norma, come oltretutto tanti altri paesi. I primi studi si sono concentrati sullo sviluppo del cervello bilingue nei bambini mostrando migliori capacità da parte dei bilingui di inibire l’interferenza. Molti altri studi stanno adesso cercando di specificare quali aspetti del bilinguismo siano importanti per il cervello, mostrando non poche sorprese. Sembra che non sia il grado di conoscenza della lingua che importi molto per i cambiamenti del cervello bilingue ma il fatto che si usino costantemente due lingue e in modo intenso. Come in una danza, bisogna avere un contributo costante da entrambe le lingue per vedere degli effetti sul cervello. E non è necessario essere dei professionisti ma basta praticare! Il fatto quindi che il bilinguismo non sia un fenomeno ristretto a un gruppo selezionato di parlanti nativi ma che al contrario è bilingue anche chi sta imparando una lingua se la pratica regolarmente o anche un adulto che impara una lingua sta cambiando radicalmente il concetto di bilinguismo nella società.
Cosa succede nel cervello di chi impara più lingue?
Succedono tante cose interessanti! Prima di tutto il cervello bilingue è consapevole che possano esistere più termini per esprimere uno stesso concetto. Ad esempio davanti ad una nuvola, un bimbo bilingue avrà almeno due parole o anche più per descriverla. Questo non lo rende più intelligente e migliore di un monolingue, ma semplicemente relativizza il mondo sapendo che esiste un confronto possibile tra punti di vista. Ecco che per esempio che alcuni studi hanno mostrato un effetto positivo sulla competenza metalinguistica, cioè il ragionamento astratto sulle proprietà delle lingue.
Ma molte altre differenze sono ancora da scoprire. Per esempio in uno studio che abbiamo condotto con parlanti bilingui Sardo/Italiano (https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2017.01907/full), abbiamo trovato un pronunciato vantaggio nella memoria da parte di chi faceva ampio uso del Sardo. Ironicamente questi erano anche i parlanti con una scolarità più bassa, ma il loro span di memoria (il numero di elementi che potevano tenere a mente) era incredibilmente migliore. Abbiamo quindi ipotizzato che il fatto che il Sardo sia per loro la lingua dominante e soprattutto sia una lingua che ha solo una modalità orale e non scritta sia la base di queste robuste capacità mnemoniche. Non abbiamo scoperto nulla di rivoluzionario, perché già Platone nel mito di Theuth nel Fedro aveva presentato la scrittura come l’arte che produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché’ fidandosi la scrittura si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni esterni e non dal di dentro e da se medesimi. Abbiamo rinnovato le motivazioni per l’importanza della cultura orale e non stigmatizzare alcune lingue considerate meno prestigiose come le nostre lingue regionali. Infatti, ci tengo a porre l’accento che è bilingue anche chi parla una lingua regionale oltre a quella, diciamo più globalmente diffusa. Considerate quindi quanti bilingui ci sono nel nostro paese!
Parlare più di una lingua può procurare vantaggi cognitivi nell’arco della vita?
Studi molto recenti stanno mostrando prospettive interessanti sui benefici dell’apprendimento delle lingue per l’invecchiamento. Sono stati affrontati temi importanti, come ad esempio il fatto che la pratica costante di due lingue possa ritardare gli effetti della demenza senile di circa quattro/cinque anni. Oppure che il bilinguismo funzioni come fattore per la cosiddetta riserva cognitiva. In pratica si sta ipotizzando che il cervello bilingue utilizzando una rete robusta di connessioni per controllare la convivenza dei due sistemi linguistici crei una struttura cerebrale più stabile e meno esposta ai fattori fisiologici degenerativi.
Non posso negare che sarei felice in futuro nel vedere una prescrizione medica per imparare una lista di parole, o basi di conversazione in una seconda lingua come terapia per i primi sintomi di demenza senile. Ci vorrà ancora del tempo, ma la psicologia basata sull’intervento nelle nostre abitudini di vita sta andando sicuramente in questa direzione e se vogliamo iniziare anche prima che ci siano delle evidenze scientifiche di sicuro imparare una lingua non ha effetti collaterali negativi!
È possibile imparare una lingua anche da adulti?
Certamente sì. Ci sono molti studi che stanno mostrando che anche da adulti il cervello si adatta all’ambiente e mostra plasticità. In particolare non sembra essere vero il fatto che solo i bambini siano dotati di abilità per imparare le lingue.
Certamente ci sono differenze importanti tra l’apprendimento durante lo sviluppo e quello diciamo più tardivo. Il cervello sa cosa vuole imparare e questo essere altamente strategico non sempre è un bene. Perché’ siamo più strategici sul cosa vogliamo imparare, omettendo aspetti importanti come ad esempio la pronuncia o la grammatica.
Bisogna poi pensare che ci sono anche delle questioni pratiche. Per imparare una lingua ci vuole del tempo e la possibilità’ di dedicarsi a una modalità di apprendimento intensiva; si fa poco con una classe alla settimana. Per fare un parallelismo, si può pensare a una lingua come a una cura che ci viene offerta per affrontare un virus. Se vogliamo che la cura abbia effetto bisogna praticarla giornalmente, altrimenti gli effetti non sono predicibili. Oggi esistono programmi online per imparare le lingue e certamente anche pochi minuti al giorno possono aiutare a mantenerci in allenamento.
Che implicazioni ha per la società l’aumento della popolazione bilingue?
Se gli effetti sul cervello saranno dimostrati e studiati più in dettaglio ci potranno essere delle conseguenze molto interessanti sull’uso dell’apprendimento delle lingue per migliorare le nostre condizioni d’invecchiamento, anche se si potrebbe facilmente obiettare che chi decide di imparare una lingua da adulto fa parte di una minoranza che si occuperà comunque di evitare un invecchiamento patologico.
Ci sono delle domande molto interessanti che la ricerca sta iniziando adesso ad affrontare e che vanno aldilà del linguaggio. In particolare sembra che le persone bilingui abbiano una maggiore capacità di capire la prospettiva del proprio interlocutore. In pratica dovendo sempre chiedersi quale sarà la lingua che il mio parlante padroneggia, il bilingue si allena ad ascoltare il punto di vista altrui e questo è stato misurato con il test della falsa credenza cui i bilingui sono più sensibili. In pratica si accorgono più rapidamente del punto di vista dell’altro. Altri studi stanno affrontando in modo dettagliato la tolleranza a un accento non nativo e quindi la possibilità’ che i bilingui si adattino più facilmente alle variazioni delle lingue. Questo fattore è particolarmente importante nella nostra società molto bilingue in cui essere nativi in una lingua non deve essere per forza la norma ma errori e imperfezioni vanno tollerate. Il tema della tolleranza e quindi lo stigma verso chi non parla la lingua come dei nativi è fondamentale e alcuni studi hanno suggerito che ci siano delle competenze differenti alla base dell’intolleranza verso chi parla con un accento. In pratica basta allertare che il nostro Italiano non è nativo e la persona si adatterà più facilmente al nostro accento. Per lavoro insegno in Inglese e ho un forte accento Italiano. Ecco quando so che il mio pubblico è composto di monolingui Inglesi iniziando sempre chiedendo se preferiscano che la lezione sia in Italiano, la mia madrelingua, o in Inglese. Dopo una bella risata, comincio in un’atmosfera più serena la mia lezione in Inglese.
Quali suggerimenti si possono dare alle famiglie bilingue per sostenere il bilinguismo?
Prima di tutto che non esistono lingue più importanti di altre. Quindi di offrire a ogni bambino la possibilità di imparare una lingua. Inoltre, suggerirei di parlare al bambino sempre la lingua che si conosce meglio per esporlo a un input consistente. Faccio un esempio. Quando con la mia famiglia ci siamo trasferiti in Regno Unito, mia figlia maggiore che aveva sei anni, ha capito immediatamente che il mio Inglese non era nativo e che Lei non avrebbe mai imparato da me la lingua che sentiva parlare a scuola. Certo era un po’ frustrante per me, ma la circostanza di non essere nativa ha anche dato la possibilità’ di continuare a parlare con lei in Italiano, la mia lingua madre. Ecco cercate di usare sempre la vostra lingua madre, sarete degli esempi migliori per imparare una lingua. Ma fate attenzione che il bambino non pensi che la lingua che si parla ad esempio in famiglia sia meno importante di quella con cui gioca a scuola, la sua lingua socializzata. Quando i bambini andranno a scuola perderanno interesse nel parlare una lingua che serve a parlare solo con mamma e papà e cercheranno con prepotenza di fare entrare la lingua con cui giocano con i loro amici a casa. Ecco, non c’è una ricetta perfetta, ma bisogna lottare ogni giorni perché’ questo non avvenga e offrire continuamente occasioni per parlare la lingua materna. Crescere bambini bilingui non è semplice e dipende come per gli adulti da un lavoro costante e con livelli di complessità crescente. Se le mie bambine non parleranno Italiano ai loro figli vuol dire che non avranno avuto un input solido e costante. Aspetto di vedere cosa il futuro mi riserverà!
Maria Garraffa ha un dottorato di ricerca in Scienze cognitive e una laurea in linguistica teorica. Dirige il Laboratorio di ricerca Language Across the Life span (https://langlife.hw.ac.uk) presso la Heriot-Watt University di Edimburgo e di Putrayaja, Malesia. Si occupa dello studio del linguaggio in ambienti atipici, come i disturbi di linguaggio, gli adulti con afasia ma anche i parlanti di lingue minoritarie che hanno poche possibilità’ di praticare la lingua. Ha trascorso periodi di ricerca presso l’Università di Siena, l’Università di Trento, Newcastle University e Harvard University.