
Quale interconnessione con le dimensioni sociale, economica e politica presenta il fenomeno del cambiamento climatico?
Data la numerosità e la complessità delle interconnessioni, l’approccio geografico si è rivelato particolarmente adatto anche per costruire un ponte tra la sfera dei saperi tecnico-scientifici, che spiegano i meccanismi fisici di funzionamento del sistema climatico, e la sfera sociale, economica e delle politiche, su cui le variazioni del clima generano molteplici e complessi impatti. Basti pensare, solo a titolo di esempio, al cambiamento climatico come minaccia alla sicurezza, intesa nelle sue varie sfaccettature, tra cui sicurezza alimentare, dell’approvvigionamento energetico, ecc., alle ripercussioni sulla salute e sui servizi ad essa preposti, e così via. Nel volume viene inoltre illustrata la necessità di approfondire da un lato le relazioni instaurate con altri luoghi e le interdipendenze tra le varie scale, da cui molte caratteristiche dei territori locali dipendono, consentendo così di rappresentare ad esempio la complessità delle interconnessioni tra i luoghi in cui si produce cibo e quelli in cui si consuma, tra i luoghi in cui si produce energia e quelli in cui si utilizza. Dall’altro lato, si affronta l’importanza di analizzare gli aspetti culturali, sociali, economici, politici che caratterizzano i contesti locali. Questa lettura territoriale consente di comprendere come le molteplici variazioni fisiche che il sistema climatico subisce (aumento della temperatura, cambiamento delle precipitazioni, innalzamento del livello del mare, fusione dei ghiacciai, ecc.) possano interagire con le peculiarità locali, che riguardano sia gli aspetti naturali, come le dimensioni geomorfologica ed ecologica, sia quelli antropici e dunque di capire come lo stesso evento estremo (ad esempio un uragano o una siccità) possa trasformarsi in un disastro per un determinato territorio, e non per gli altri ugualmente interessati.
Come si manifestano le perturbazioni del sistema climatico alle diverse scale spaziali?
Se nel sistema Terra, inclusa l’atmosfera, ogni anno entra tanta energia quanta ne esce, il pianeta non accumula né perde calore. In questo caso il suo bilancio energetico, alla base delle dinamiche climatiche, è in pareggio. Tale situazione può essere perturbata se intervengono dei fenomeni, chiamati forzanti radiativi, che agiscono alterando, in qualche modo, il bilancio. Tra i forzanti endogeni (tra cui gas serra, aerosol, deforestazione e più in generale cambiamento dell’uso suolo, eruzioni vulcaniche), ossia quelli causati da dinamiche interne al sistema Terra, ve ne sono di origine naturale e antropica e questi ultimi risultano prevalenti per spiegare il cambiamento climatico nell’ultimo secolo. Da un punto di vista spaziale i forzanti endogeni di origine antropica si caratterizzano per due tipologie di distribuzione:
- alcuni gas serra (tra cui CO2, metano, protossido di azoto, CFC, esafluoruro di zolfo) hanno la caratteristica di essere distribuiti spazialmente in modo abbastanza omogeneo all’interno della troposfera. L’esempio classico è quello della CO2, la cui distribuzione planetaria, pur con differenze in funzione della latitudine, è ben delineata dalle misurazioni di Keeling a Mauna Loa (Hawaii), che monitorano la concentrazione media, che può essere considerata rappresentativa dell’atmosfera terrestre.
- altri forzanti, tra cui certi gas serra (quali vapore acqueo stratosferico, ozono stratosferico, ozono troposferico) e gli aerosol hanno delle distribuzioni meno uniformi che dipendono dalla localizzazione dei punti di emissione, mostrando una distribuzione meno omogenea spazialmente, caratterizzata da alte densità vicino alle zone di emissione e concentrazioni molto minori man mano che ci si allontana dalla fonte. Un esempio interessante è dato dalle elevatissime concentrazioni di aerosol nel sud-est asiatico dovute agli alti livelli di inquinamento presenti in questi paesi, derivanti anche dalle pratiche del taglia e brucia diffuse in queste foreste.
Quali sono le risposte del sistema climatico?
Il volume illustra in modo dettagliato le risposte del sistema climatico ai forzanti. Si tratta di dinamiche di risposta tipiche del sistema climatico terrestre, che devono essere ben conosciute perché non sono caratterizzate da andamenti lineari e da comportamenti proporzionali, ma mostrano accelerazioni o rallentamenti; possono generare dei cicli di retroazione, avere dei punti critici di soglia, avvenire con scale temporali differenti, ecc. Tali dinamiche possono avere grandi conseguenze sulla stabilità del sistema climatico.
Da un punto di vista geografico, alcune delle retroazioni approfondite nel testo hanno caratteristiche spaziali uniformi ed omogenee, come ad esempio la retroazione del vapore acqueo, mentre altre sono legate ad aspetti spaziali locali, come ad esempio quella del ghiaccio-albedo, che deriva dall’espansione/contrazione delle estensioni ghiacciate presenti sulla superficie terrestre.
Quali conseguenze produce il cambiamento climatico?
Vi sono anzitutto i cambiamenti fisici indotti dal riscaldamento globale. L’aumento dei forzanti antropici ha provocato una diminuzione della radiazione infrarossa in uscita, causando un progressivo aumento dell’energia all’interno del sistema. L’energia in eccesso è stata quasi totalmente (per il 93%) assorbita dall’oceano, con il conseguente riscaldamento, l’innalzamento del livello medio globale del mare e l’aumento dell’acidificazione. Il 3% è stato assorbito dalla criosfera, portando alla perdita di massa delle calotte glaciali groenlandese e antartica, dei ghiacciai di montagna e del ghiaccio marino (soprattutto artico), alla degradazione del permafrost e alla riduzione della copertura nevosa. Infine, il 3% è stato assorbito dalla superficie delle terre emerse e l’1% dall’atmosfera, con conseguenze principalmente in termini di innalzamento della temperatura superficiale dell’aria, variazioni delle precipitazioni, variazioni dell’umidità atmosferica e aumento dei cosiddetti eventi estremi.
Tra le ripercussioni maggiormente rilevanti del riscaldamento globale vi sono quelle sugli ecosistemi e sui servizi ecosistemici (ossia i benefici che vengono utilizzati dalla popolazione umana) e tale depauperamento provoca numerosi impatti sulla sfera socioeconomica, tra cui quelli sulla sicurezza alimentare, sulla salute umana, nonché sull’accesso e la disponibilità delle risorse e su migrazioni e conflitti. A tal proposito è fondamentale sottolineare la necessità di tenere sempre in considerazione elementi e fattori preesistenti, che contribuiscono alle vulnerabilità locali e spesso inaspriscono ulteriormente gli effetti del cambiamento climatico. Gli impatti che il cambiamento climatico comporta devono dunque essere declinati a livello locale, in quanto sono il risultato della complessa interazione tra evento fisico potenzialmente dannoso e vulnerabilità del territorio [Birkmann 2006].
Quali considerazioni genera una lettura critica delle politiche di mitigazione in prospettiva geografica?
La lettura geografica delle politiche di mitigazione che si sono succedute negli ultimi decenni ha contribuito a far emergere alcuni aspetti particolarmente critici. Tra questi vi è l’applicazione dei meccanismi di flessibilità previsti dal Protocollo di Kyoto, che inizialmente pensati per un utilizzo complementare rispetto alle azioni di decarbonizzazione del sistema produttivo dei paesi industrializzati, hanno invece prevalso, riducendo l’impegno di decarbonizzazione all’interno di questi paesi e riorientando le risorse a favore di interventi in altri territori, tipicamente nel Sud del mondo. L’idea della sostituibilità tra emissioni e compensazioni introdotta in tali meccanismi, consente di continuare a bruciare i combustibili fossili finché sarà possibile compensare le loro emissioni attraverso l’acquisizione di crediti derivanti da risparmi di carbonio ottenuti altrove. Inoltre, l’accettazione dell’equivalenza tra emissioni ed assorbimenti e le politiche di mitigazione che ne derivano producono numerosi effetti negativi sia in termini ambientali, di depauperamento dei servizi ecosistemici, sia in termini sociali, di giustizia ambientale e climatica, dato che se è contabilmente possibile che la CO2 emessa dalla deforestazione sia compensata dalla biomassa delle piantagioni in crescita, i due ecosistemi non sono equivalenti rispetto ai servizi ambientali erogati (presenza di biodiversità, formazione del terreno, resistenza all’erosione del suolo, aspetti culturali, ecc.).
Nel volume si sottolinea l’importanza di utilizzare l’analisi critica effettuata anche in ottica propositiva. A tal riguardo, tra i vari aspetti, viene esaminata la necessità di integrare politiche e strumenti attraverso il coinvolgimento delle molteplici scale di governance. Infatti, se le politiche di mitigazione puntano a ridurre le cause del cambiamento climatico, ossia a diminuire i forzanti radiativi che agiscono a livello planetario, e la scala privilegiata di riferimento è quella internazionale mediante l’adozione di trattati, è fondamentale anche coordinare tali politiche, che rimandano a impegni nazionali e subnazionali. In parallelo, nel libro ci si sofferma sulle potenzialità di basare gli inventari relativi al conteggio delle emissioni, su cui le politiche di mitigazione vengono costruite, su un approccio che conteggi i consumi, anziché le produzioni come fatto sinora. I conteggi centrati sui consumi prendono infatti in considerazione le relazioni orizzontali esistenti tra i territori di produzione e quelli del consumo per attribuire la responsabilità delle emissioni avvenute nei primi ai secondi, permettendo di disegnare un quadro degli impatti ambientali più esaustivo e adatto a monitorare la reale evoluzione delle emissioni dei diversi territori e ricomponendo, almeno a livello di inventario delle emissioni, la delocalizzazione dell’attività produttiva.
Quali risposte al cambiamento climatico è possibile fornire?
Vi sono anzitutto le politiche di mitigazione e di adattamento. Le politiche di mitigazione sono volte a ridurre e, possibilmente, eliminare le cause alla base del cambiamento climatico. Come già sottolineato, le politiche di mitigazione devono necessariamente far riferimento alla scala planetaria, al fine di individuare obiettivi e obblighi realmente efficaci, ma anche ai livelli compresi tra la scala nazionale e quella locale, a cui gli stessi target globali devono essere declinati per diventare operativi. Nel libro l’analisi di questi aspetti si snoda illustrando il percorso storico seguito dalla climate diplomacy e le relative implicazioni, evidenziando punti di forza e di debolezza delle risposte mitigative che si sono succedute. Vi sono poi le politiche di adattamento, complementari rispetto a quelle di mitigazione poiché puntano ad agire sugli effetti del cambiamento climatico. L’attenzione dell’adattamento è sulla capacità delle società di modificare i comportamenti per alleviare gli impatti avversi del cambiamento climatico e creare nuove opportunità, in un processo continuo e dinamico in cui le società rispondono a cambiamenti di varia natura, da quelli ambientali, socioeconomici e tecnologici, a quelli culturali, legislativi, politici, istituzionali, gestionali e, più in generale, di governance.
Il volume propone anche percorsi che vanno oltre le tradizionali politiche di mitigazione e adattamento, offrendo approfondimenti in particolare sull’adattamento sostenibile, sulla transition adaptation e sulla trasformazione. Si tratta di approcci che non si concentrano esclusivamente sulle problematiche generate dal cambiamento climatico, bensì sulle complesse relazioni tra i molteplici fattori che determinano la vulnerabilità. L’adattamento sostenibile tiene conto di un’ampia gamma di effetti delle politiche di adattamento in termini di giustizia sociale, integrità ambientale e sviluppo economico. I percorsi previsti dalla transition adaptation implicano un ripensamento degli obiettivi di sviluppo e l’individuazione delle modalità per raggiungere i nuovi, anche mediante cambiamenti della struttura organizzativa. Gli interventi radicali sono invece insiti nella trasformazione, che esaminando le cause profonde del cambiamento climatico mette in discussione i fondamenti del sistema socio-economico e politico-istituzionale, per giungere ad una modificazione sostanziale del sistema, da realizzarsi grazie al ruolo fondamentale dell’azione sociale.
Antonella Pietta insegna Climate Change e Geografia del turismo all’Università degli Studi di Brescia. Tra le sue pubblicazioni, Territorio e sostenibilità: gli indicatori ambientali in geografia (con M. Bagliani, Bologna, 2012).