
Gli obiettivi dichiarati dell’organizzazione includono la creazione di aree di libero scambio, di unioni doganali, di un mercato unico, di una banca centrale e di una valuta comune, venendo così a creare un’unione economica e monetaria. Tuttavia esistono anche unioni differenziate (i cosiddetti Pilastri dell’AEC), che consistono in molteplici blocchi regionali in Africa, noti anche come comunità economiche regionali (RECs), molte delle quali hanno membri che si sovrappongono.
I RECs consistono principalmente in blocchi commerciali che, in alcuni casi, prevedono anche la cooperazione politica e militare. A causa dell’alta proporzione delle sovrapposizioni è probabile che alcuni stati con partecipazioni multiple abbandonino alla fine uno o più RECs. Alcuni di questi pilastri contengono inoltre sottogruppi con unioni doganali e/o monetarie più ristrette. Evidentemente tutto questo genera una certa confusione di competenze, e i vari stadi di completamento dell’AEC sono lontani dall’essere completati.
L’Africa è il continente dove si contano i paesi più poveri del mondo. Gli indicatori economici tratteggiano un caleidoscopio di tessere molto diverse fra loro quando si guarda alla situazione economica dei paesi africani. Ad esempio il PIL varia dai 37400 dollari della Guinea equatoriale ai 700 della Repubblica Centrafricana. La situazione africana migliora di poco se descriviamo le graduatorie mondiali attraverso l’ISU (Indice di sviluppo umano, che tiene conto anche dell’alfabetizzazione e della speranza di vita alla nascita), a cui ultimi posti si collocano paesi come il Togo e la Sierra Leone.
Riguardo alla situazione politica, l’Africa oggi continua a essere terra di conflitti e la conseguente mobilità interna supera quella internazionale anche e soprattutto per le conseguenze di guerre civili e diaspore. È questa frammentarietà e queste lotte continue che, assieme al neo-colonialismo economico, impedisce uno sviluppo diffuso e armonioso. Diritti umani, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, eccidi, massacri, profughi, emigrazione, dittature cruente, tutto questo è il prodotto di secoli di sfruttamento dell’Africa durante il periodo del colonialismo da parte di potenze europee, e non solo europee.
La sicurezza civile è minacciata da gruppi armati e forze statali. Gravi violazioni dei diritti umani da parte delle forze governative nella gestione di situazioni di crisi: sono le accuse mosse alle forze di sicurezza di molti paesi, come il Darfur, l’Etiopia, il Mali. Ma c’è anche l’incapacità di proteggere la popolazione dagli attacchi dei numerosi gruppi armati della zona. Sono stati registrati attacchi ai civili in Camerun, Repubblica Centrafricana e Burkina Faso. In Somalia, forze governative ed internazionali hanno tentato di arginare il gruppo armato al–Shabaab, che continua a coinvolgere civili nei suoi attacchi. Molto grave la situazione nella Repubblica Democratica del Congo, dove circa 2000 civili sono morti e un milione di persone sfollate.
I conflitti portano naturalmente con sé l’emergenza sanitaria. Nelle regioni anglofone del Camerun, i gruppi separatisti armati hanno continuato a commettere abusi come omicidi, mutilazioni, stupri e sequestri, e hanno distrutto molte strutture sanitarie.
Attivisti e giornalisti hanno subito atti di violenza di stato e il 2019 è stato un anno nero per chi ha lottato attivamente per i diritti umani del proprio paese. Quasi tutti i paesi della regione hanno dato un giro di vite sull’attivismo. In Zimbabwe, negli scontri a seguito di una protesta contro l’aumento del prezzo del carburante, almeno 15 persone sono morte e altre decine sono rimaste ferite. In Guinea sono state vietate oltre 20 manifestazioni e la violenza delle forze armate ha causato diverse uccisioni. Anche i giornalisti sono sotto attacco: in Nigeria sono stati registrati 19 casi di aggressione, arresto arbitrario e fermo di giornalisti, molti dei quali hanno dovuto affrontare accuse costruite. Migliaia di sfollati interni e violenza xenofobica si sono avuti in Sudafrica. Nella Repubblica Centrafricana 600.000 persone hanno abbandonato le proprie abitazioni; mezzo milione in Burkina Faso; 222.000 in Ciad.
Ci sono state tuttavia anche alcune vittorie delle contestazioni nel 2019. Una delle più importanti per gli attivisti è stata la deposizione di Omar al–Bashir in Sudan e la fine del suo regime repressivo, con promesse di riforme da parte delle nuove autorità. Nella Repubblica Democratica del Congo è stato annunciato il rilascio di 700 detenuti, fra cui molti prigionieri politici e per cause ideologiche. Il Comando delle forze armate Usa per l’Africa (AFRICOM) nell’aprile del 2019 ha ammesso per la prima volta di aver ucciso dei civili nei suoi attacchi aerei diretti contro al–Shabaab, aprendo la strada alla riparazione per le vittime.
Qual è la condizione della donna africana?
Per le donne e le ragazze assumono un ruolo centrale la salute sessuale e riproduttiva e i diritti relativi, che sono elementi critici della salute e dell’integrità corporea. La cattiva salute e le violazioni dell’integrità corporea sono non solo simboli di scarso sviluppo, ma anche violazioni dei diritti umani fondamentali. Gravidanze sane e ben distanziate, insieme alla protezione dalle infezioni da HIV e da altre malattie a trasmissione sessuale, hanno un grande impatto sulla salute e sulla vita. Affinché l’impatto sia positivo, le donne devono avere la libertà di fare scelte su fecondità, gravidanze, contraccezione e su come proteggersi dall’HIV e da altre malattie sessualmente trasmissibili. L’accesso a servizi di salute sessuale e riproduttiva nonché a informazioni complete sono indispensabili per supportare le donne nel fare queste scelte.
Occorre liberare le donne dalla violenza, fisica e psicologica, dalla discriminazione e dalla coercizione, in particolare occorre evitare i matrimoni e le gravidanze precoci, la mutilazione genitale femminile e altre pratiche dannose. Ciò implica la necessità di sfidare le disuguaglianze di genere e le norme e pratiche patriarcali e promuovere relazioni di genere eque che rispettino e promuovano il consenso, la libertà e la scelta delle donne.
In Africa la situazione delle donne dipende in primo luogo dalla religione e dalle usanze tradizionali. Fra le donne musulmane dominano le regole dell’Islam, e le donne sono ovunque sottomesse alla volontà maschile, nella famiglia di origine prima e nel matrimonio poi. Solo nelle città e fra le donne istruite, e dove la laicità seguendo le orme dell’Occidente ha preso piede, il ruolo femminile ha mutato aspetto. Non solo moglie e madre per garantire uno status nella famiglia e nella società ma anche studentessa prima e donna che lavora fuori dal contesto domestico, poi.
Si parla spesso dell’istruzione come “chiave” per i diritti delle donne. Eppure, nonostante un aumento della scolarizzazione femminile, in molti paesi africani i diritti e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro rimangono a livelli miseri. Perché? L’istruzione potrebbe non essere sufficiente da sola per la piena emancipazione delle donne nei contesti più tradizionali.
Qual è lo scenario demografico africano?
La popolazione africana è formata da innumerevoli etnie, oltre 140, che a loro volta si suddividono in diversi gruppi dando luogo a un caleidoscopio letteralmente formato da molteplici tessere. Parallelamente sono moltissime le lingue e i dialetti parlati, divisi in sei grandi famiglie linguistiche.
Il numero totale di lingue parlate in Africa è variamente stimato (a seconda della definizione di lingua vs. dialetto ) tra 1.250 e 2.100, e da alcuni conti in oltre 3.000. La Nigeria da sola ha più di 500 lingue, una delle più grandi concentrazioni di diversità linguistica nel mondo. Circa un centinaio di lingue sono ampiamente utilizzate per la comunicazione inter-etnica. Arabo, somalo, berbero, amarico, Oromo, Igbo, Swahili, Hausa, Mandingo, Fulani e Yoruba sono parlati da decine di milioni di persone.
L’attuale ammontare della popolazione africana è di circa 1miliardo e 300 milioni di persone, con un tasso di incremento del 2,5% e una densità di 44 abitanti per kmq. L’Africa ospita 54 stati e paesi sovrani riconosciuti, 9 territori e 2 stati indipendenti. Nel 2009 il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione ha dichiarato che la popolazione africana aveva toccato il miliardo e quindi aveva raddoppiato le sue dimensioni nel corso di 27 anni.
La popolazione africana è molto giovane: c’è un’alta percentuale di giovani nella popolazione complessiva e il 41% ha meno di 15 anni. Questo è un aspetto importante perché la struttura della popolazione condiziona il mercato del lavoro, il futuro demografico del paese, la politica e lo stato sociale nella sua globalità. Si tratta di paesi con quote di anziani davvero basse, in particolare per quanto riguarda l’Africa sub–Sahariana, un po’ più accentuate e lievemente crescenti nell’ultimo quinquennio in Nord Africa. Questo emerge sia dall’indice di invecchiamento sia dall’indice di dipendenza senile. Molto alto ovunque l’indice di dipendenza giovanile, oltre il 70% nell’intero continente e ancora più elevato nei paesi dell’Africa centrale, come la Nigeria o la Repubblica Democratica del Congo.
L’Africa è il continente dove la mortalità è più aggressiva, a tutte le età ma in particolar modo alle età infantili. Altri aspetti tuttavia fanno riflettere sulle cattive condizioni sanitarie del continente, ad es. la mortalità materna che, all’interno dell’età riproduttiva delle donne, miete molte vittime, con valori straordinariamente più elevati rispetto alle altre regioni del mondo. Se poi aggiungiamo l’epidemia di Hiv–Aids, abbiamo già dato dei contorni a un quadro che non si può che definire di grande disagio. Intanto vediamo se nelle grandi regioni africane la speranza di vita alla nascita maschile e femminile presenta o meno una forte eterogeneità. La vita media (aspettativa di vita, o speranza di vita alla nascita) è decisamente più elevata nel Nord e nel Sud, mentre l’Africa centrale è nella media continentale e l’Africa occidentale ha un più basso valore (al di sotto dei 60 anni), e questo è nelle attese visto che le regioni occidentali sono anche quelle in situazioni di maggiore disagio.
Forse non c’è campo più legato alle tradizioni e agli usi dei popoli di quanto riguarda le unioni coniugali, la scelta dello sposo/della sposa, l’età al matrimonio/unione, i compensi in denaro o in natura in occasione del fidanzamento e del matrimonio, (la cosiddetta dote), la scelta della abitazione degli sposi, una lista interminabili di usanze che non si riesce a generalizzare con esaustività. Con l’avanzare del progresso in genere le cerimonie si semplificano, anche se la festa nuziale rimane un momento importante, complicato e costoso. In Africa le tradizioni sono radicate, e il matrimonio è un processo piuttosto che un momento. Il matrimonio in Africa è vissuto in una maniera particolare in quanto non si tratta di un evento che coinvolge solo le vite dei due promessi sposi, ma la comunità intera, poiché viene visto come un’opportunità sacra di continuazione della stirpe.
Il fenomeno che maggiormente condiziona l’evoluzione e la struttura della popolazione è la fecondità che, a parità di altre condizioni, ringiovanisce o invecchia la popolazione aumentando o diminuendo nel processo di transizione.
L’Africa – come già sottolineato – può essere suddivisa in tre fasce anche per quanto riguarda la fecondità: Nord, Centro e Sud. La fecondità nei paesi del Nord Africa evidenzia, in tendenza, alcune peculiarità. La grande presenza di giovani è il risultato dell’incremento del numero delle nascite, passato dai 2,2 figli per donna nel 2002 ai 3,1 nel 2017. Alla stessa data Marocco e Tunisia, paesi simili per cultura e struttura sociale, presentano un valore inferiore, pari a 2,4 e 2,2 figli per coppia rispettivamente, quale effetto di un lento ma continuo declino della natalità. Le cause della strana evoluzione algerina sono molteplici ma va sottolineato che l’istituto di statistica algerino prevede che la discesa riprenderà e che per il 2040 il tasso di fecondità sarà pari a 2,4 figli per donna. Ma alla base di questo boom delle nascite c’è anche un elemento culturale che va sottolineato. Da qualche decennio nei paesi musulmani si assiste a una ripresa dell’integralismo. Non si tratta di un fondamentalismo di tipo politico, ma di un conformarsi della società verso modelli di comportamento tradizionale, che nel caso dell’Islam pervade tutta la sfera pubblica della società e che nella sfera privata tocca l’utilizzo di metodi contraccettivi efficaci, diminuendone il ricorso. Analoga l’esperienza dell’Egitto, che ha visto risalire il TFT a 3,5 figli per donna.
Esperienze del tutto diverse quelle dei paesi sub-Sahariani: gli andamenti di alcuni fra i paesi più popolosi mettendo in evidenza le differenze, talvolta molto marcate, con alcuni paesi all’inizio della transizione demografica e altri già a uno stadio avanzato.
Il numero medio di figli del Sudafrica (2,4-2,6) ha raggiunto quasi il livello di sostituzione generazionale (che, in caso di bassa mortalità, equivale a 2,01), mostrando l’evoluzione verso modelli di fecondità vicini al mondo occidentale. All’interno del paese vi sono tuttavia differenze rilevanti secondo il tipo di residenza, urbana e rurale, fra 2,4 e 3,1, tenendo comunque conto del fatto che le grandi periferie urbane sono spesso formate da enormi insediamenti informali e baraccopoli. Gli altri paesi sono tutti raccolti fra 6 e 4,7 figli, livelli molto alti, con il massimo evidenziato da Angola, Mali e Nigeria.
Ogni paese ha le sue politiche e opinioni collettive nei confronti del migrare. I diversi fattori portano a svariati flussi Africa – Europa dai quali traspaiono le destinazioni europee dei migranti dall’Africa. In testa Spagna e Italia, poi Francia, Regno Unito, Germania, Belgio, Svezia e altri paesi in minor quantità.
Quale futuro per l’Africa?
In Africa sub-Sahariana si mostra che l’incremento della popolazione rappresenterà la maggior parte della crescita della popolazione mondiale nei prossimi decenni, mentre diverse altre regioni inizieranno a sperimentare un calo della popolazione. Degli ulteriori 2,0 miliardi di persone che potrebbero essere aggiunti alla popolazione globale tra il 2019 e il 2050, ai paesi dell’Africa sub–Sahariana potrebbero essere imputati 1,05 miliardi (52%). Si prevede che un altro 25% della crescita della popolazione globale si concentrerà nell’Asia centrale e meridionale, che dovrebbe aggiungere 505 milioni di persone tra il 2019 e il 2050. Inoltre l’Africa sub–Sahariana diventerà la più popolosa delle otto regioni geografiche elencate dagli obiettivi del millennio intorno al 2062, superando le dimensioni sia dell’Asia orientale e sud-orientale, sia dell’Asia centrale e meridionale.
Un esercizio di previsione ha cercato di quantificare i flussi migratori nel futuro decennio (2020–2030) rispetto al dettaglio dei flussi Africa–EU per paese di provenienza, oltre agli ancora massicci – ma in diminuzione – flussi dal Marocco verso la Spagna, l’Italia e la Francia, si affievoliranno decisamente anche quelli da Tunisia ed Algeria e si rafforzeranno soprattutto quelli dalla Nigeria, che passerà dalle attuali 22mila unità annue verso EU–28 a una media di 28mila ogni dodici mesi nel 2026–2030. Analogo sviluppo è atteso per le provenienze dal Senegal (da 19mila a 27mila unità annue), dalla Somalia (dalle attuali meno di 9mila a quasi 20mila nel 2026-2030) anche in virtù di un effetto moltiplicatore dovuto a redditi sempre più bassi (la povertà è molto diffusa in questi paesi), dal Camerun (da 11mila a 16mila), dal Sudafrica (in questo caso in diminuzione di circa 3mila unità annue a partire dalle attuali 14mila, direzionate quasi tutte verso il Regno Unito) e dal Gambia. Dietro a tali paesi, nella prospettiva del 2026-2030, si confermerà verosimilmente il flusso ghanese con poco oltre le 10mila unità annue, che verrà affiancato da quello maliano, destinato ad accrescersi in modo consistente dagli attuali circa 7mila ingressi annui nell’UE a oltre 10mila, e da quello ivoriano (con flussi dagli attuali 7mila annui a circa 9mila), mentre si affacceranno in Europa con numeri ancor più crescenti nuovi paesi quali: la Guinea (che raggiungerà flussi di 9mila unità annue, dagli attuali 5mila ingressi ogni dodici mesi), la Repubblica Democratica del Congo (da 6mila a 8mila), lo Zimbabwe (che raggiungerà numeri di 7mila ingressi annui, il doppio degli attuali) e il Kenya (da 4mila a 6mila).
In conclusione, se il continente sperimenterà un lento declino della fecondità e della mortalità infantile, la popolazione africana aumenterà in maniera molto marcata e, in mancanza di uno sviluppo sociale ed economico ben superiore a quello sperimentato finora, rimarrà un continente relativamente svantaggiato sullo scenario mondiale, con criticità che coinvolgeranno il resto del mondo e in particolare l’Europa, destinataria di convulse immigrazioni.
Silvana Salvini, già professore ordinario di Demografia presso l’Università di Firenze. I suoi studi si sono orientati in particolare verso lo studio della fecondità e della famiglia, soprattutto delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, con i libri Popolazione e sviluppo nelle regioni del mondo (2008) e Popolazione mondiale e sviluppo sostenibile (2018) scritti con Aurora Angeli dell’Università di Bologna per Il Mulino. Sempre per Il Mulino, nel 2014 ha scritto con Daniele Vignoli, ordinario presso l’Università di Firenze, Convivere o sposarsi, sulle caratteristiche delle unioni in Italia.