
La presenza degli animali nella Commedia è incredibilmente ampia. Si tratta di una presenza continua e variatissima, che si apre nel primo canto dell’Inferno, con la lonza, il leone e la lupa, le cosiddette “tre fiere”, e arriva sino alle api, cui sono paragonati gli angeli nell’Empireo (Par. XXXI). Naturalmente si tratta di presenze molto diverse fra loro e occorre sempre prestare la massima attenzione alle differenze, distinguendo fra gli animali incontrati “realmente” nel viaggio oltremondano e quelli chiamati in scena attraverso allusioni, perifrasi, metafore, similitudini.
Si tratta in parte di una grande novità dell’oltremondo dantesco. Nella letteratura medievale di viaggi e visioni dell’aldilà esiste sì un ricco bestiario infernale, costituito da animali che svolgono la funzione demoniaca di tormentare i peccatori, ma sono invece quasi assenti gli animali nelle rappresentazioni del Paradiso. E soprattutto, in tali testi sono molto rare le similitudini animali, che invece costituiscono una delle modalità più rilevanti del bestiario dantesco.
Nella Commedia, la rappresentazione del demoniaco infernale è fortemente caratterizzata dalla mostruosa combinazione di elementi umani e animali. Sono invece pochi gli animali non mostruosi incontrati “realmente” nell’Inferno dantesco: i mosconi, le vespe e i vermi che tormentano i pusillanimi o ignavi (Inf. III), i serpenti che accompagnano le Furie (IX), le cagne che danno la caccia agli scialacquatori (XIII) e infine i terribili e metamorfici serpenti della bolgia dei ladri (XXIV-XXV). Per il resto gli animali incontrati dal protagonista svolgono per lo più una funzione tutta allegorica. Si pensi appunto alle celebri “tre fiere” o al “veltro” o alle tante figure animali nei canti del Paradiso terrestre, come il grifone cristologico, l’aquila imperiale, la volpe eretica, il drago diabolico.
Ma la vera novità della Commedia, rispetto alla tradizione visionaria, è nell’uso dei riferimenti agli animali in similitudini riferite soprattutto alle anime dell’aldilà.
Quale rilevanza aveva nella cultura medievale la letteratura naturalistica?
La cultura medievale aveva un enorme interesse per il mondo animale e più in generale per la natura. Tale attenzione si realizzava soprattutto nella prospettiva dell’interpretazione allegorica e simbolica di ogni aspetto della realtà. La natura è considerata un insieme di segni con i quali Dio parla agli uomini delle realtà spirituali. Ciò vale soprattutto per le pietre, le piante e in particolare per gli animali.
La presenza degli animali nel testo biblico aveva spinto gli esegeti fin dai primi secoli a impegnarsi nell’interpretazione dei valori allegorici e morali di tali riferimenti. Esemplare è il caso del Fisiologo, composto in greco probabilmente nel II secolo e poi diffuso in tutta Europa: a ogni animale si associano una o più citazioni bibliche, poi si spiegano le “nature” dell’animale e infine se ne danno una o più interpretazioni allegoriche e/o morali, che rendono ragione del significato ultimo del versetto biblico da cui si era partiti.
Da qui si sviluppa una lunga e ricca tradizione, in quanto nel Medioevo queste “nature” degli animali vengono riprese nella letteratura naturalistica, nelle enciclopedie e nei bestiari, libri interamente dedicati a illustrare e a interpretare allegoricamente gli animali. Anche le notizie provenienti dalle opere antiche più “scientifiche”, quelle di Plinio e di Aristotele, sono raccolte nei bestiari e nelle enciclopedie, ma vi si sono piegate alla stessa procedura allegorizzante.
Sulla base di questa pluralità di tradizioni, gli animali venivano anche assunti, in funzione esemplare e in senso morale, all’interno del discorso religioso, sia nella trattatistica teologica su vizi e virtù sia nelle varie forme della letteratura devota e spirituale, e soprattutto nella predicazione. Ma le immagini del bestiario popolano anche la lirica amorosa, in cui spesso i comportamenti degli animali diventano immagini per illustrare atteggiamenti e stati d’animo degli amanti. E del resto anche la letteratura classica proponeva una pluralità di immagini animali nobilitate dalla poesia epica di Virgilio o rese memorabili dalle vertiginose metamorfosi raccontate nel poema di Ovidio.
Dunque l’uomo medievale aveva a disposizione un thesaurus ampio e diversificato di animali biblici, simbolici, allegorici, moralizzati, esemplari, scientifici, poetici, i quali non potevano non popolare la sua memoria e il suo immaginario, e condizionare il suo modo di guardare e interpretare anche gli animali osservati nella realtà. Perciò, anche per l’interpretazione dei riferimenti agli animali nella Commedia dantesca occorre tenere in considerazione il bestiario medievale nei suoi molteplici aspetti.
In che modo si esprime la presenza degli animali nella Commedia?
Come dicevo, i riferimenti agli animali nel poema dantesco assumono soprattutto la forma della similitudine. Si va dalle tre similitudini usate in Inferno V per le anime dei lussuriosi, storni, gru e colombe, sino a quella delle api per gli angeli nell’Empireo (Par. XXXI), passando attraverso decine di altre occorrenze.
Anche nella rappresentazione dei mostri infernali altri animali sono richiamati per via di metafora o similitudine. Faccio solo l’esempio di Gerione (Inf. XVII), che ha faccia d’uomo, corpo di serpente, zampe pelose, e inoltre gli si riferiscono numerose similitudini attraverso le quali è assimilato al castoro, all’anguilla, al falcone, allo scorpione. Anche per gli angeli non mancano le immagini da bestiario: non solo le già citate api o il cigno (Purg. XIX) ma perfino una sorprendente biscia (Inf. IX).
Le similitudini animali sono spesso riferite anche al protagonista del viaggio. In particolare, nel Purgatorio egli è di volta in volta rappresentato, da solo o insieme ad altri, come colombo (II), uccello (IV; X), bue (XII), talpa (XVII), falcone (XIX), cicognino (XXV), capra (XXVII). La particolarità è che in alcuni casi tali similitudini coinvolgono non solo Dante personaggio, ma insieme a lui le anime che si purgano nel secondo regno e di cui talvolta egli condivide la punizione e il percorso penitenziale.
Quanto agli spiriti dell’aldilà, le similitudini animali che li riguardano sono distribuite nelle tre cantiche, e la prevalenza quantitativa di quelle riferite ai dannati appare legata principalmente alla maggiore varietà di tipologie degli spiriti infernali e alle maggiori esigenze descrittive che li riguardano. Così, nella prima cantica, i dannati sono via via paragonati a uccelli da caccia (III); storni, gru e colombe (V); cani (VI, VIII, XVII, XXXIII); porci (VIII, XIII, XXX); rane (IX, XXIII, XXXII); buoi (XVII); delfini (XXII); lontre (XXII); topi (XXII); anatre (XXII); lucciole (XXVI); pesci (XXIX); cicogne (XXXII); caproni (XXXII). La bolgia dei ladri, poi, è piena di serpenti diabolici che puniscono i dannati (XXIV-XXV), ma i serpenti sono anche anime che subiscono questa trasformazione, e a tali anime-serpenti si applicano ulteriori similitudini animali, con la fenice, il ramarro e la lumaca.
Anche per gli spiriti del Purgatorio le similitudini animali sono numerose: colombi (Purg. II); pecorelle (III); leoni (VI); buoi aggiogati (XII); sparvieri ciliati (XIII); gru (XXIV). Infine, nell’ultima cornice si trovano tre similitudini animali riferite ai lussuriosi, formiche, gru e pesci (XXVI): una serie che risponde circolarmente a quella relativa ai lussuriosi dell’Inferno.
Perfino nel Paradiso le similitudini animali sono numerose, in quanto i beati sono comparati a pesci (V); bachi da seta (VIII); falconi (XVIII); taccole o cornacchie (XXI); colombi (XXV). Nel sesto cielo, per gli spiriti giusti si utilizza una serie di immagini aviarie (XVIII-XX): dapprima gli spiriti sono paragonati alle gru che disegnano volando lettere dell’alfabeto, poi formano l’immagine di un’aquila, infine per tale aquila si usano altre tre similitudini: falcone, cicogna, allodola. E anche per Beatrice si attivano due immagini animali: la beata è infatti paragonata a un’aquila (Par. I) e poi a un uccello che attende l’alba per nutrire i piccoli (XXIII).
Quale funzione svolge la similitudine animale?
Fin troppo facilmente, l’infittirsi di immagini animali nei canti del basso Inferno può essere interpretato come un segno della degradazione dei dannati a causa del peccato e della dannazione. E in questa direzione insistono infatti molte letture e analisi. Ma non bisogna pensare che la similitudine animale svolga esclusivamente una tale generica funzione. Altrimenti come potremmo spiegare le numerose immagini animali che Dante usa per gli spiriti del Purgatorio e del Paradiso o perfino per gli angeli? Si tratta quindi di una grande varietà di riferimenti che non possono essere ridotti univocamente alla funzione generica di segni della degradazione bestiale dei dannati.
Un’altra tendenza dominante negli studi è quella di interpretare le immagini naturalistiche e quelle animali disseminate nel poema come prova di un atteggiamento “realistico” da parte di Dante. Non si può certo negare che il poeta manifesti una grande attenzione per la realtà in tutti i suoi aspetti né può essere negata l’icasticità e la vivacità della sua tecnica rappresentativa. Tuttavia, parlare di “realismo” per un poeta che rappresenta l’aldilà appare per lo meno improprio.
A mio avviso, invece, quando nel poema dantesco si incontrano similitudini animali, bisogna prestare particolare attenzione, perché non si tratta di semplici quadretti naturalistici nei quali spicca lo spirito di osservazione del poeta e trova espressione il suo realismo. In esse agiscono sempre complesse strategie di costruzione del significato, attraverso l’attivazione dei significati simbolici che agli animali erano attribuiti nell’esegesi biblica, nei bestiari e nelle enciclopedie, ma anche tramite allusioni alla presenza degli animali in altri testi poetici antichi e medievali. È quindi necessario interrogare le tradizioni letterarie relative per capire se e come abbiano agito su Dante. E ancora, dato che l’interpretazione simbolica era l’operazione più diffusa, davanti a un animale dantesco occorre chiedersi quali valori allegorici o simbolici esso sia chiamato a veicolare. Andrà poi considerata la dimensione intratestuale nel caso in cui uno stesso animale sia presente in più luoghi del poema.
In altre parole, credo che tali immagini non svolgano soltanto una funzione ornamentale o realistica ma contribuiscano, attraverso l’attivazione dei loro sensi simbolici, a costruire il significato complessivo del passo. A volte l’interpretazione è semplice e immediata, a volte richiede al lettore più sottili operazioni ermeneutiche o intertestuali.
Quali sono a Suo avviso le similitudini animali più icastiche?
Farò soltanto un esempio, prendendo un canto ben noto a tutti, per far capire l’impatto interpretativo che può avere lo studio delle similitudini animali: le tre similitudini nel canto V dell’Inferno, in cui i lussuriosi sono paragonati dapprima a «stornei», poi a «gru», infine a «colombe».
La prima impressione delle anime trascinate dalla bufera infernale è affidata all’immagine degli storni, uccelli cui venivano solitamente associate caratteristiche negative: un assetto di volo in stormi affollati e casuali, una tendenza alla sporcizia, una rumorosità eccessiva, che raggiunge il massimo durante l’accoppiamento. Tali caratteristiche negative li rendono adatti a rappresentare questa prima massa indistinta di lussuriosi dannati.
Ma le anime di una seconda schiera, quelle di coloro che sono morti violentemente a causa dell’amore, appaiono disposte in una fila ordinata come uno stormo di gru. E le gru nella tradizione dei bestiari hanno un trattamento positivo e prestigioso. Sono grandi uccelli migratori, capaci di volare in modo ordinato e di formare in volo l’immagine di lettere dell’alfabeto. Inoltre hanno una perfetta organizzazione sociale: quando sono in volo la prima della formazione è come il re dello stormo, ed esercita questo suo potere con grande senso di responsabilità. Infatti emette continui richiami per dare un segnale sonoro ai membri del gruppo che perdono il contatto visivo e quando è stanca cede il posto del comando a quella che viene dopo: è l’immagine di un potere assunto per senso di responsabilità e ceduto ad altri quando non è più efficace. Ma l’immagine così positiva delle gru appare rovesciata nei lussuriosi della schiera: sono grandi regine, re, condottieri, che anziché costituire un modello di comportamento retto hanno sovvertito i valori e le leggi, facendosi trascinare dalla lussuria, e hanno portato rovinosamente i loro popoli e i regni alla distruzione.
Dante nota poi due anime che a differenza delle altre vanno insieme, incuriosito le chiama a sé ed esse vengono verso di lui: «Quali colombe dal disio chiamate / con l’ali alzate e ferme al dolce nido / vegnon per l’aere, dal voler portate». L’immagine delle colombe pare dolce e tenera, ma in realtà, come tutta la rappresentazione di Paolo e Francesca, nasconde un’ambivalenza, e svela infine un significato negativo. La colomba ha infatti nella tradizione una serie di valori pienamente positivi, ma accanto a questi, nei bestiari viene valorizzata anche una antica linea interpretativa negativa. Le colombe sono infatti gli uccelli di Venere e sono caratterizzati da una lussuria sfrenata, che si esprime in particolare nei baci che si scambiano continuamente come preliminari all’accoppiamento e nella frequentazione ossessiva del nido a fini sessuali. Inoltre le colombe piangono invece di cantare. Come si vede, la tradizione dei bestiari offre lo sfondo simbolico per interpretare la similitudine delle colombe in relazione agli altri elementi presenti nell’episodio di Paolo e Francesca: la lussuria, il «dolce nido», il tema del bacio, il pianto che si mescola alle parole.
Ma si potrebbe poi andare oltre, perché le gru e le colombe sono presenti in similitudini anche nel Purgatorio e nel Paradiso (per le gru: Purg. XXIV; XXVI; Par. XVIII; per le colombe, Purg. II, Par. XXV). In tal modo si disegnano dei percorsi simbolici lungo il poema. Le gru, per esempio, che nell’Inferno erano associate ai lussuriosi trascinati dalla bufera e destinati a girare vanamente per sempre nell’aria infernale, recuperano nel Purgatorio, dove sono citate ancora in riferimento ai lussuriosi, la loro capacità di migrazione, di movimento verso una meta. E quando infine sono citate nel Paradiso, appaiono ormai giunte a tale meta, dove si cibano lietamente e poi si alzano in volo a formare le lettere di una frase della Bibbia, diventando così parola di Dio.
Spero che questo singolo esempio, che parte da un canto conosciuto e amato da tutti, possa suggerire le possibilità di nuova comprensione del testo che un’attenta considerazione delle immagini animali può dare al lettore della Commedia.
Giuseppe Ledda insegna Letteratura italiana all’Università di Bologna. Il suo principale campo di ricerca è costituito dagli studi danteschi e medievali, ma si occupa anche di letteratura del Rinascimento e del Novecento. Tra le sue pubblicazioni i volumi danteschi La guerra della lingua. Ineffabilità, retorica e narrativa nella «Commedia» di Dante (2002); Dante (2008); La Bibbia di Dante (2015); Leggere la «Commedia» (2016); Il bestiario dell’aldilà (2019). È membro dei comitati direttivi e scientifici di riviste e di centri di ricerca italiani e internazionali.