“Il bestiario del papa” di Agostino Paravicini Bagliani

Il bestiario del papa, Agostino Paravicini BaglianiProf. Agostino Paravicini Bagliani, Lei è autore del libro Il bestiario del papa, edito da Einaudi, che tratta della tradizione che associa metaforicamente e simbolicamente animali e pontefici. Qual è l’origine di questa tradizione e come si è sviluppata nel corso dei secoli?
Per festeggiare l’inizio del Giubileo indetto da Papa Francesco, l’8 dicembre 2016 furono proiettati sulla facciata della basilica di S. Pietro in Vaticano api, lupi, delfini, leopardi, leoni, colombe, scimmie, elefanti, ed anche un pappagallo sulla Cupola di Michelangelo. Quella sera, la basilica vaticana si trasformò in una virtuale e colorita Arca di Noé, in omaggio al papa autore di una lettera enciclica «verde», «ecologista» – la prima nella storia del papato –, e il cui titolo Laudato si’ riecheggia la scelta del suo nome di papa. Sulla scia di una tradizione che risale a Paolo VI (1963-1978), due colombe vengono lasciate volare dalla finestra del terzo piano del Palazzo apostolico, l’ultima domenica del mese di gennaio, al termine dell’Angelus. Innumerevoli sono le fotografie in cui un papa, in questi ultimi decenni, è raffigurato con un animale – uccelli, pecore, pappagalli – che gli sono offerti in dono dai fedeli in Piazza S. Pietro.

Sono soltanto alcuni esempi, molto recenti, di un rapporto tra animali e il papato che è di fatto antichissimo. Già nel III secolo – e forse anche prima – un papa sarebbe stato eletto perché una colomba si era posta sul suo capo. Lo narrano i due massimi storici della Chiesa del Cristianesimo antico, Eusebio da Cesarea e Rufino di Aquileia. Dal IV secolo in poi, racconti leggendari mettono in scena il combattimento e la vittoria del papa su un drago che, secondo l’antica tradizione romana, viveva in profondissime caverne. Il cavallo bianco, ma anche il pappagallo, e il più prestigioso dei profumi di origine animale, il muschio, sono stati presenti per secoli nella storia del papato. Anche gli animali fanno storia, attraverso la funzione simbolica che è stata loro via via attribuita. La più antica attestazione di una relazione tra il cavallo e il papato risale a Gregorio Magno (590-604). Dall’epoca carolingia in poi, le fonti sul cavallo bianco del papa si infittiscono e diventano regolari. Fino all’epoca moderna il cavallo bianco del papa svolge un ruolo fondamentale, sul piano simbolico, per l’affermazione della sovranità papale, in termini imperiali e cristologici.

Nel Medioevo i bestiari erano molto popolari, una sorta di enciclopedia ante litteram: perchè nell’immaginario collettivo medievale gli animali erano così rappresentativi?
Anzitutto vorrei dire che ho usato la forma enciclopedica del Bestiario perchè è l’unica che mi poteva permettere di ricostruire e interpretare la storia simbolica degli animali che sono stati in relazione con il papato nel senso della sovranità e autorità sul lungo, talvolta sul lunghissimo periodo. Anche i Bestiari medievali sono quasi esclusivamente dedicati a interpretare gli animali in termini simbolici, per una ragione molto semplice: gli animali, pur appartengono al creato e al mondo della natura, rappresentano per la cultura medievale l’umanità nelle sue più diverse e ampie sfaccettature. Il mondo animale serve da specchio per l’uomo, sia in termini positivi che negativi. Per questa ragione un animale può avere dato vita ad una simbologia positiva o negativa. Ciò può apparire contraddittorio, ma per la cultura medievale non lo è. Il mondo naturale è un serbatoio di simboli, talvolta, anzi sovente contraddittori, ma possono funzionare senza che si tenga conto delle possibili interferenze. Fin dal III secolo, nel mondo greco alessandrino del Physiologus, il mondo animale fu fonte di ispirazione per la presenza di Cristo nella storia cristiana. Per questo il Physiologus ha svolto un ruolo fondamentale anche come fonte di ispirazione per la simbologia legata al potere.

Nel Suo libro, Lei parla anche dell’importante consuetudine, per i Romani Pontefici, di possedere un pappagallo.
Il cortile più antico del palazzo vaticano porta il nome di Cortile del Pappagallo. Ma perché? In fondo, il pappagallo è un volatile che è per noi sinonimo di futile, vanitoso e chiacchierone. La sorpresa aumenta quando si scopre che il pappagallo è presente nella storia simbolica del papato per secoli; anzi nel palazzo vaticano rinascimentale, fin dal 1420, esistevano due camere del pappagallo. Il nome del Cortile non è quindi dovuto ad una coincidenza stravagante, ma riflette una storia lunga, secolare, che inizia nell’XI secolo, quando una delle Vitae di Leone IX scritta poco dopo la morte del pontefice racconta che il rex Dalamarcie volendo essere ricevuto dal papa gli inviò in dono un pappagallo capace non soltanto di ripetere continuamente la frase «vado dal papa» (ad papam vado), ma di chiamarlo con il suo nome «Papa Leo», «sebbene nessuno glielo avesse insegnato»; e pronunciava quelle parole con voce assai gradevole. Quando il papa, stanco per il disbrigo degli affari, si ritirava nel suo appartamento privato, il pappagallo, lasciando suonare quel suo armonioso e conciso Papa Leo gli dava conforto, «conferendogli nuova forza interiore». Il volatile svolgeva quindi due funzioni: di annunciatore del nome del papa non appena questi gli si trovava davanti e di consolatore di Leone nel segreto delle stanze private.
Se il ruolo di conforto non sembra risalire ad alcuna tradizione, la funzione di annuncio ha invece radici letterarie antiche, che il biografo di Leone IX non menziona, ma che doveva conoscere. Secondo Macrobio (31 a.C.), un corvo si presentò ad Augusto e lo apostrofò con un Ave Caesar victor imperator: deliziato, l’imperatore lo acquistò. Poco dopo anche un pappagallo ripeté la stessa frase, e Augusto comperò anche lui. Isidoro di Siviglia, nelle sue Etymologiae, ripota l’epigramma di Marziale in cui si celebrava la capacità del pappagallo di mitare la voce umana per salutare l’imperatore: Pappagallo / Da voi imparerò altri nomi / Nacqui istruito a dire: Cesare Ave.
Leone IX discendeva dalla famiglia dei conti di Eguisheim, che godeva di ottime relazioni con la casa imperiale salica. Ma il punto è un altro: Leone IX è il pontefice sotto il cui pontificato si affermò a Roma il programma riformatore del papato che siamo soliti definire Riforma gregoriana, un programma che prevedeva una chiara superiorità su tutti i sovrani, in particolare sull’imperatore. Pier Damiani, uno dei principali collaboratore di Leone, definì il papa – ed è la prima volta in modo così chiaro e persino audace – principe degli imperatori, vescovo universale e superiore per dignità a tutti gli uomini.
Il pappagallo aveva la funzione di annunciare il sovrano ed è per questo che nella camera papagalli del Vaticano il papa veniva rivestito dei paramenti sacri prima di partecipare a cerimonie liturgiche nelle grandi solennità e lì deponeva i solenni paramenti su un apposito letto allestito nella stessa camera prima di ritirarsi nelle camere private. Camere papagalli furono allestite anche in residenze temporanee dei pontefici, a Roma e fuori. Perché in quelle camere il papa riceveva ambasciatori, svolgeva funzioni pubbliche, di governo. Appariva come sovrano.

Lei sostiene che queste simbologie abbiano rappresentato uno strumento importante nell’autoaffermazione simbolica del Papato.
La tesi centrale di questo libro è appunto questa: colombe, draghi, cavalli, asini e cammelli, pappagalli, fenici e pavoni, aquile, leoni, leopardi, corna di ceraste e corni di unicorni, oltre che elefanti, hanno contribuito a costruire la sovranità pontificia, talvolta senza interruzione per molti secoli; alcune figure di animali (asini, serpenti, ma anche orsi e draghi) sono state usate per motivi di polemica e di satira, o per esprimere aspirazioni di riforma del papato e della Chiesa. Alcuni di questi animali fanno parte della memoria collettiva. La colomba, ad esempio, simbolo dello Spirito santo. Il drago è servito per secoli ad esprimere l’idea che il papa è signore di Roma, protettore dell’Urbe e protettore della Cristianità contro i ribelli della Chiesa e così via. Celebri raffigurazioni di un papa a cavallo – come nelle Stanze di Raffaello in cui Leone I incontra Attila – ci ricordano che il cavallo bianco fu l’animale che dai primi secoli del Medioevo fino all’Ottocento è stato uno dei più longevi – e complessi – simboli del potere papale. Come già detto più sopra, il pappagallo serviva ad annunciare il papa come sovrano nelle sue funzione di autorità. La tiara del papa è stata sovente decorata con piume di pavone, perchè il pavone era nel Medioevo simbolo cristologico, in sintonia con il fatto che il papa è Vicario di Cristo in terra. Come tutti gli altri sovrani, anche i papi hanno posseduto delle ménageries, e molti di questi animali – dall’aquila al leone, all’elefante – diedero vita a figure immaginarie e ideali di papi.

Quello dell’evoluzione storica del potere politico e religioso in Europa è un tema di cui Lei si era già occupato in precedenza nel libro Il corpo del papa trattando del rapporto tra corporeità e dimensione istituzionale del papa e la sua persona.
Il corpo del papa e Il bestiario del papa fanno parte di una stessa idea di ricerca sul potere politico e religioso in Europa, medievale e moderna. In quei secoli, il simbolico e l’autorappresentazione erano strumenti fondamentali, indispensabili e costitutivi di una sovranità. Il detentore del potere – dall’imperatore alle signorie, dai monasteri alle città – aveva bisogno di fondare la sua legittimità su segni e simboli, i più vari possibili: metafore, titoli, oggetti, rappresentazioni visive. Anche gli animali partecipano alla costruzione di questi sistemi simbolici.
Il papato fu in quei secoli l’istituzione più potente e quindi anche quella che ha maggiormente creato simboli del potere. Lo ha potuto fare anche grazie al supporto di una serie infinita di intellettuali e chierici che si sono susseguiti, dall’esterno come dall’interno della corte papale, creando, sviluppando, proponendo. In questa lunghissima storia simbolica vi sono stati momenti particolarmente intensi – per il Medioevo, i pontificato di Innocenzo III e di Bonifacio VIII; ma la creatività simbolica del papato è un fenomeno che non ha avuto discontinuità di rilievo; è sempre presente, fin dai primi secoli della sua storia, con modalità sovente diverse, ma anche con una continuità che può oggi sorprendere, ma che costituisce un dato di fondo da tenere sempre presente. Continuità non significa però linearità, assenza di elementi evolutivi. Innocenzo III definisce la tiara signum imperii, ossia simbolo imperiale. Bonifacio VIII, alla fine del Duecento, considererà la tiara come la sommità dell’Arca di Noè, simbolo che rinvia alla Chiesa. E per confermare che la tiara è il simbolo della «pienezza dei poteri papali» nel senso più ampio, aggiungerà una corona alle due corone già presenti sulla tiara. Così nacque il triregno, al quale Paolo VI rinuncerà nel 1964. Da allora non si può più parlare di «incoronazione» con riferimento ai papi.
Un elemento molto importante nella storia simbolica del papato consiste nel fatto che per secoli il corpo del papa è stato oggetto di una molteplice, profonda e sempre viva riflessione sulla relazione che esiste tra la persona fisica del papa, mortale come tutti gli uomini, e la persona del papa detentrice della «pienezza dei poteri». È una relazione complessa, proprio per quella opposizione che necessariamente esiste tra caducità (del papa come persona) e perennità che ha dato vita a metafore ed anche – e si tratta di un elemento che non si trova presso le altre sovranità in modo così ampio e duraturo – ad una ritualità di caducità, destinata a ricordare annualmente o in circostanze precise (come all’avvento del nuovo papa) che la sua persona è destinata a morire e con la morte il suo potere avrà un termine.

Quali sono i Suoi prossimi progetti di ricerca?
Riproporre una lettura del sistema simbolico del papato è un progetto ambizioso, ma affascinante.

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