“Idee virali. Perché i pensieri si diffondono” di Emanuele Arielli e Paolo Bottazzini

Idee virali. Perché i pensieri si diffondono, Emanuele Arielli, Paolo Bottazzini Prof. Emanuele Arielli, Lei è autore insieme a Paolo Bottazzini del libro Idee virali. Perché i pensieri si diffondono edito dal Mulino: come si diffondono le idee?
Prima di tutto consideriamo le idee nella loro accezione più ampia, ovvero qualsiasi contenuto che attraversa la nostra mente, influenzandone pensieri e azioni. Possono essere i contenuti di un articolo di giornale, uno slogan politico o pubblicitario, una scoperta scientifica ma anche una notizia di gossip. Inoltre ideologie e religioni sono insiemi di idee: chiedersi come si propaghino significa quindi indagare i meccanismi generali di diffusione culturale. Ma anche uno stile artistico di successo o una moda, un’immagine che fa il giro del web o un cosiddetto meme consistono in prodotti della cultura umana che occupano i nostri pensieri e influenzano i nostri comportamenti, e quindi possono essere considerati idee in senso ampio.Ecco dunque che allora le idee si diffondono in modi molto diversi e in apparenza senza legami tra di loro: possono propagarsi perché prodotte da culture dominanti che le impongono d’autorità, attraverso l’istruzione scolastica e la codificazione su testi. Nel quotidiano invece, le idee possono diffondersi con il passa parola tradizionale, oppure ai giorni nostri con l’ausilio delle nuove tecnologie. Idee e comportamenti possono anche diffondersi attraverso il contatto sociale diretto, come quando il panico si diffonde in una folla, o perché si imitano gli atti e i pensieri di un soggetto che viene preso a modello (è il caso drammatico, per fare un esempio, dei suicidi emulativi). Si tratta in questo caso di fenomeni di diffusione automatici e inconsapevoli, ondate repentine all’interno della popolazione che differiscono dalla diffusione culturale lenta e progressiva.

Nel nostro testo offriamo una panoramica generale di queste diverse forme di propagazione qui brevemente descritte, andando però alla ricerca di una radice comune: l’istinto mimetico degli individui. Una spinta imitativa dei pensieri e delle azioni le cui conseguenze diventano ancora più rilevanti in un contesto di accresciuta esposizione ai flussi mediatici.

Quali fattori favoriscono la diffusione delle idee?
Le strutture delle reti di comunicazione sono decisive: per usare un’analogia, quando scoppia un incendio boschivo, non è solo l’intensità di una scintilla a esser importante, ma la densità della boscaglia, la struttura dei rami, la loro predisposizione a prendere fuoco e il loro grado di connessione o vicinanza. Per questa ragione nel nostro saggio trattiamo la questione da due prospettive, quella delle idee o dei contenuti virali e quella delle reti in cui tali contenuti circolano.

A questi si aggiungono fattori umani e psicologici. Un contenuto si diffonde non solo perché sembra utile o importante, ma anche perché contribuisce a mettere in buona luce chi lo diffonde, diventa cioè una “moneta sociale”, un criterio di distinzione tra chi ha l’esclusiva di un’informazione di valore e chi non la ha ancora. Quindi tutto ciò che favorisce la mia immagine di individuo arguto, sofisticato, colto o più aggiornato degli altri stimolerà a essere diffuso prima ancora che la reale sostanza del contenuto venga valutata. Inoltre, dal momento che il simile cerca il simile, la facilità di connettersi con chi la pensa come me diviene un altro fattore umano rilevante. Infatti, e su questo ci soffermiamo in modo specifico in quanto costituisce uno dei nuclei teorici della nostra indagine, la diffusione delle idee è spesso favorita quando esse permettono di proteggere la nostra identità e visione del mondo. Il punto cruciale è che non siamo veramente fatti per andare alla ricerca della verità in modo obiettivo e spassionato, lo sguardo neutro e scientifico sulle cose non fa parte della nostra natura “tribale” e richiede anzi uno sforzo contro-intuitivo. Il più delle volte preferiamo adattare il nostro consenso verso ciò che porta acqua al mulino del gruppo sociale o ideologico a cui ci sentiamo di appartenere, prediligiamo le verità che confermano le nostre convinzioni e vengono incontro ai nostri interessi specifici. La diffusione di idee è quindi favorita facendo leva su questa nostra naturale tendenziosità, e noi lo mostriamo analizzando alcuni casi contemporanei.

Quali caratteristiche deve possedere un’idea per divenire ‘virale’?
Oltre ai fattori menzionati prima (rilevanza di un’idea nel confermare un’identità e una visione del mondo), nel nostro saggio presentiamo ricerche sui meccanismi percettivi e cognitivi che contribuiscono a indirizzare e catturare la nostra attenzione, coinvolgono i nostri sensi e le nostre emozioni, costituendo dei cosiddetti superstimoli, ovvero contenuti altamente seducenti e appetibili in grado di prendere in ostaggio la nostra curiosità e attenzione. Per esempio, un motivo orecchiabile ha caratteristiche musicali salienti che possono trasformarlo in un “tormentone”, così come esistono video apparentemente privi di significato (in cui, per esempio, dei prodotti vengono scartati dalle loro confezioni) che tuttavia catturano in modo ipnotico l’attenzione delle persone, in questo caso per lo più bambini, accumulando milioni di visualizzazioni e diventando virali. La componente sensoriale ed estetica che contribuisce a catturare la nostra attenzione e il nostro interesse è una questione decisiva nella società mediatica contemporanea.

Un’idea può inoltre risultare più memorabile di un’altra, e quindi più facilmente propagabile, perché ha una struttura coerente di tipo narrativo, racconta cioè una storia, è semplice e concreta (e conferma una nostra intuizione sul mondo), ma allo stesso tempo spicca per caratteristiche inusuali o addirittura contro-intuitive, è cioè sorprendente. Si pensi al fenomeno delle leggende urbane, ma anche a molti miti e fiabe, su cui le ricerche sulla diffusione culturale hanno cercato di identificare le caratteristiche che le hanno rese durature nel tempo.

Occorre precisare che sarebbe ingenuo voler individuare una facile “formula della viralità” che ci permetta di prevedere quale idea si diffonda e quando ciò accada. Tuttavia ciò non esclude che si possano analizzare in modo dettagliato le caratteristiche ricorrenti di un contenuto che fa presa nelle menti delle persone e le reti di comunicazione che ne permettono la diffusione: per fare un’altra analogia, sappiamo come e perché i terremoti accadono, ma non per questo siamo in grado di prevederli con facilità, tantomeno di controllarli. Inoltre, come già sottolineavo, non è solo l’idea o il contenuto in sé a determinare il grado del suo successo nella propagazione, ma anche le condizioni e il contesto in cui la diffusione si verifica, ovvero il tipo di rete e connessioni in cui avviene il contagio.

Dott. Bottazzini, qual è il ruolo dei social media nella diffusione delle idee?
Per rispondere a questa domanda è utile parlare dello scandalo che ha colpito Facebook a metà del marzo di quest’anno, per le relazioni pericolose con Cambridge Analytica, e che ha riempito le pagine dei giornali con dichiarazioni di allarme e con altrettante rassicurazioni o inviti alla ragionevolezza. Il tema più rilevante dello scandalo è però passato in secondo piano: ovvero in che modo il funzionamento della piattaforma di Facebook abbia messo in circolazione le idee che avrebbero condotto alla vittoria i clienti di Cambridge Analytica, e come il passaggio di queste informazioni sulla rete abbia permesso il loro successo. Su questo aspetto ci si è limitati alle opinioni, come se i dati degli utenti racchiudessero già di per sé la verità sui loro referenti: in termini di completezza e sufficienza per i pessimisti, o di strutturale incompiutezza per gli ottimisti.

Ma le campagne di Trump e del leave non sono episodi, e la raccolta dei dati non esaurisce la questione del ruolo dei social media: si deve ricordare che la loro registrazione avviene con il consenso formale di chi li affida alla piattaforma di Facebook. La storia del rapporto tra Cambridge Analytica e Facebook, dei memi e delle fake news che hanno affollato la scalata di Trump alla Casa Bianca, è stata narrata in Idee virali con le notizie già disponibili sulla stampa britannica e americana nell’anno che ha preceduto le conferme (non le rivelazioni) del whistleblower Christopher Wylie; lo scopo di questa ricostruzione però è mostrare in che modo i social media stiano modellando ormai da anni il modo in cui le informazioni sono confezionate, trasmesse, recepite e ricordate (o immediatamente rigettate) da tutti noi.

2,1 miliardi di utenti attivi ogni mese: più di tutti i cristiani, di ogni setta e confessione, messi insieme. Questi sono i numeri di Facebook nel mondo. 128 milioni di cittadini americani adulti, 10 miliardi di interazioni su contenuti politici nel periodo che va dalle Primarie al giorno del voto: sono i volumi della circolazione delle idee sulla piattaforma del social network, su 137 milioni di elettori che si sono presentati alle urne per scegliere tra Trump e la Clinton il 6 novembre 2016. Nessun medium fino ad oggi ha potuto esercitare una simile forza di formazione e di informazione sul pubblico – nemmeno la Chiesa o la televisione dei tempi d’oro. È indispensabile comprenderne il funzionamento, ed esaminare come ci stia educando a percepire e immaginare il funzionamento stesso della società, quindi quello degli interlocutori cui ci rivolgiamo, prima (e al di là) dei singoli episodi di comunicazione in cui ci impegniamo o in cui veniamo coinvolti nostro malgrado, come è accaduto con Cambridge Analytica.

La Social Network Analysis (SNA) è il dispositivo concettuale che governa tutti questi dispositivi, dal software delle piattaforme digitali all’immaginario sulla collettività che ne deriviamo. L’intera vita dei gruppi viene proiettata su una mappa bidimensionale, da cui scompaiono le strutture verticali delle gerarchie, dei rapporti di subordinazione, dei legami di sangue, dei vincoli di obbedienza. Solo punti per raffigurare gli individui, e archi per rappresentare le relazioni. Un mondo disegnato solo sui tracciati delle informazioni, sui solchi lasciati dal trasferimento delle idee, sui collegamenti documentati dal passaggio di contenuti, dal lavorìo delle negoziazioni.

Il compito di Cambridge Analytica non è stato solo quello di catturare i dati sui profili: è stato anzitutto quello di replicare il comportamento del software di Facebook. Misurare la sensibilità di ogni utente per certe idee; poi calcolare il peso del suo potere di diffusione di questi contenuti, della sua forza di persuasione nella micro-comunità con cui è più strettamente collegato. Facebook è una camera dell’eco: non modifica le convinzioni delle persone. Anzi, le rafforza, tende a polarizzare le fazioni di opinione, sollecita l’adesione ad un punto di vista. La sua forza quindi consiste nell’incentivare l’orientamento verso un certo comportamento; Cambridge Analytica ha agito come un catalizzatore di questo talento. Ha sollecitato gli utenti propensi a votare per Trump a raggiungere l’urna e a compiere il proprio dovere; ha fomentato i sospetti dei sostenitori della Clinton, per esacerbare la sensazione della distanza, per alimentare gli indugi e disincentivare la partecipazione alla giornata elettorale.

Ma anche questa indagine sulla sensibilità ai contenuti e sulla capacità di influenza, esercitata sulle cerchie dei conoscenti stretti, non avrebbe raggiunto gli obiettivi se non fosse stato preparato per lungo tempo un contesto adeguato. Lo scenario delle fake news, e quello dei memi progettati e divulgati dai troll, è servito a preparare il teatro cognitivo per l’accoglienza delle proposte di Trump e del Leave. Ma questo è un altro capitolo della riflessione sul movimento delle idee.

Come nasce l’influenza sociale?
L’influenza sociale è un prodotto del cosiddetto «capitale sociale». Il capitale sociale è l’effetto di una strategia di comportamento che il singolo (o un gruppo) persegue nei confronti degli altri individui (o degli altri gruppi). Può essere il risultato di un’inclinazione del carattere, o il prodotto di un disegno che viene elaborato a tavolino; in ogni caso, la sua misura viene calcolata sulla base della quantità di relazioni sociali che sono state strette, della loro vitalità, del tipo di negoziazioni che le hanno attraversate, e che le hanno caratterizzate e consolidate. Il capitale sociale non è circoscritto alla sola quantità di rapporti: il suo valore dipende in modo ancora più significativo dallaforma della rete sociale in cui si colloca il soggetto, e dalla configurazione delle relazioni che afferiscono all’individuo all’interno del gruppo (o dei gruppi) in cui è inserito.

L’attività di una persona può partecipare alla coesione delle comunità in cui è coinvolto, può agevolare gli scambi tra gli altri membri del collettivo, può incentivare la fiducia reciproca e intensificare la frequentazione reciproca. Oppure può operare in modo distruttivo per il clima di cooperazione, e iniettare diffidenza tra gli individui. In questo caso la rete sociale tende a sfaldarsi e a dissolversi. Quanto maggiore è la densità di una rete (cioè quanto più ogni soggetto tende ad aver legato un rapporto con ogni altro affiliato del gruppo), tanto maggiore risulta la velocità nella trasmissione delle idee, la credenza nella verità del loro contenuto, l’urgenza della loro applicazione. Ma anche superiore diventa la fiducia nella rettezza morale dei membri della comunità, nella loro ricchezza interiore, nel loro valore rispetto a tutti coloro che non appartengono al collettivo, o addirittura gli si oppongono per vedute e ideologie.

La nozione di «centralità», nella configurazione delle relazioni interne di una rete, rappresenta per la SNA una posizione di influenza per la comunità in esame. Ma il calcolo del nodo, o dei nodi, cui attribuire questa collocazione, varia secondo il significato che si riconosce al potere di influenza. Quando la centralità è il sinonimo della quantità delle relazioni che si è in grado di alimentare, e degli individui che si possono raggiungere con un passaggio di comunicazione, l’algoritmo che viene impiegato è quello che permette di identificare il peso maggiore nella «matrice delle adiacenze». Se invece il potere che si vuole esaminare è quello di catalisi del passaggio di informazioni, il processo di calcolo è quello della betweenness, che misura l’efficacia nell’incentivazione o nel blocco della circolazione delle idee. La forza nelle negoziazioni, la riduzione dell’interlocutore spalle al muro, il dominio dell’attenzione e della fissazione dei valori, vengono invece ponderati da un’altra famiglia di algoritmi, quelli di Bonacich. Il loro procedimento è diretto alla stima del potere politico, o alla pressione economica nei rapporti commerciali.

Ci si può imbattere in situazioni in cui, prima ancora di individuare il nodo della rete che è stato in grado di collocarsi in una posizione di forza, è significativo verificare l’esistenza di una posizione di centralità. Si possono dare infatti reti sociali prive di una coesione tale da decretare un’area di aggregazione abbastanza forte da coinvolgere tutti i sottogruppi della comunità. L’indagine SNA che fallisse questa osservazione preliminare rischierebbe di fraintendere i risultati dei calcoli, e di assegnare un principato che non esiste nella realtà. Quando la segmentazione dei cluster è significativa, i membri di ciascuna sottocomunità sono separati da quelli delle altre in modo quasi completo. I pochi nodi che stabiliscono rapporti con soggetti inclusi in più di un gruppo sono etichettati come ponti, o come broker, e svolgono una missione di importanza primaria per tutta la rete su cui si estendono i loro collegamenti. La teoria SNA conferisce loro la funzione dell’innovazione, della spinta dinamica che produce il progresso sociale in un contesto di concorrenza. Sono leader di competenza, dal momento che la loro capacità di traduzione tra valori e linguaggi diversi, frequentati in ambienti comunitari differenti, li mette al corrente di fatti e idee comuni da una parte, ma sconosciuti dall’altra. Il loro talento, o il loro sforzo di apprendimento, li sorregge nella selezione dei contenuti che possono attraversare la lacuna, e che possono aprire nuovi mercati, nuove ideologie, nuovi processi sociali, sui due lati della alcuna strutturale.

Le persone, o le imprese, possono diventare centri di relazione, di comunicazione, di potere – o ponti e broker – per doti naturali, o per strategia consapevole. In Idee virali abbiamo esaminato il modo in cui il regista della campagna elettorale di Trump, Steve Bannon, ha trasformato il suo giornale Breitbart nel centro di potere della destra americana attraverso un’analisi della mappa sociale dell’informazione. In questo compito è stato aiutato da Cambridge Analytica, in un progetto che ha preparato l’ambiente necessario allo sviluppo della campagna del 2016 e all’operazione di persuasione su Facebook. Questo passaggio preliminare di organizzazione e realizzazione di un contesto sociale è il fattore decisivo per la comprensione dello scandalo che ha travolto il social network e Cambridge Analytica. Ma è anche il passaggio essenziale per elaborare una comprensione delle condizioni in cui si muove la democrazia e la società del mondo liberale dei nostri giorni.

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