“Idee di Sardegna. Autonomisti, sovranisti, indipendentisti oggi” di Carlo Pala

Dott. Carlo Pala, Lei è autore del libro Idee di Sardegna. Autonomisti, sovranisti, indipendentisti oggi edito da Carocci: si può considerare la Sardegna una tra le “nazioni senza Stato” europee?
Idee di Sardegna. Autonomisti, sovranisti, indipendentisti oggi di Carlo PalaDa un punto di vista scientifico, politologico nel mio caso, io ritengo che la Sardegna possa definirsi nazione. Ovvero, la Sardegna dispone di tutti i requisiti che la scienza politica che si è occupata di tali temi (Rokkan, Smith, e altri) definisce come determinanti. Nello specifico, territori che dispongono di proprie caratteristiche culturali, socioeconomiche, linguistiche, storiche e di altri aspetti ancora che spesso vengono politicizzate. L’identità etnica diviene anch’essa politica. Ad ogni modo, dalla nazione allo Stato il passo è allo stesso tempo breve e lungo: breve, nel senso della definizione politica di nazione secondo la quale la nazione o è politica o non è (tradotto: o diventa stato e si autodetermina, o non è ancora pienamente realizzata); lungo, nel momento in cui una serie di plurinazionalità (si pensi ai casi britannico e spagnolo) all’interno degli Stati o non sono interessate a costituirsi come Stati o non possono/riescono. Certamente la Sardegna è una nazionalità europea che in questo momento storico-politico non ha alcun riconoscimento statuale, ma sembra timidamente cercarlo sempre più.

Com’è comparso in Sardegna il cleavage centro-periferia?
Il cleavage centro-periferia in Sardegna ha sempre caratterizzato la storia dell’isola, indipendentemente dai vari “centri” che l’hanno occupata. In tempi più recenti e per ciò che interessa a noi, il cleavage centro-periferia sardo durante l’Unità d’Italia, se dal punto di vista intellettuale e di pensiero è sicuramente antecedente, può collocarsi con il 1921, anno di fondazione del terzo partito etnoregionalista europeo ancora in attività (e partito oggi più vecchio d’Italia), il Partito Sardo d’Azione (PSdAZ).

Come si è evoluto storicamente il movimento sardista e quali sono state le reazioni da parte del centro politico italiano?
Come dicevo nella risposta precedente, il movimento sardista organizzato si è formato storicamente nel 1921, con il cosiddetto Movimento dei Combattenti, reduce dalla Prima Guerra mondiale, che da vita al PSdAZ. I soldati e i generali di quell’esperienza hanno trovato nel conflitto bellico un’occasione unica e irripetibile, forse, per ragionare sulla Sardegna, sui sardi, sulla loro identità, sull’Autonomia ancora inesistente, insomma su tutti i presupposti che poi fondarono l’impegno politico sardista. E questo è successo lontano dall’isola, per il 90% di persone che attraverso la Brigata Sassari per la prima volta hanno visto il mare, per valicarlo, e lo stesso concetto di “Italia” era per lo più sconosciuto. Prima che il fascismo decretasse fuori legge anche il PSdAZ, questo era nelle elezioni il vero partito di massa nell’isola: quasi il 30% nel 1921, appunto, e poco sopra il 17% nel 1924. In quel momento il regime li vedeva senza mezzi termini come dei separatisti e li combatté in modo molto violente, ottenendo comunque una pari risposta. Col ritorno alla democrazia, il PSdAZ è stato concepito da Roma più un partito “alleabile” con forze italiane che altro. Tranne alcuni momenti particolari, anni ’70 e soprattutto anni ’80 (quelli del vento sardista così chiamato) in cui era ferma intenzione dello stato limitare al massimo il potere di espansione non tanto delle forza elettorale PSdAZ in sé, quanto degli ideali di cui essa era portatrice. È una storia molto interessante e molto importante.

Quali sono le determinanti dell’attuale mobilitazione politica sarda?
Sono sicuramente numerose, ma io ne rintraccerei almeno quattro, che mi paiono al momento centrali, seppur con peso differente. La prima determinante è caratterizzata dalla profonda crisi che oggi vive l’istituto autonomistico nell’isola; per farla breve, oggi sono esplose in maniera visibile, non solo agli stretti addetti ai lavori, tutte le contraddizioni di una Carta risalente al 1948 e che oggi andrebbe, anche a detta dei più, rivista e riscritta. La seconda, legata alla nuova stagione che vive l’identità sarda, declinabile anche nella dimensione dell’identificazione. I sardi sono molto più vicini a politicizzare le proprie caratteristiche di popolo, percependo, come mostrano recenti sondaggi, il proprio sentimento di appartenenza. La terza, legata alla precedente, è la riaffermazione dell’opzione indipendentista, la quale oggi non appare più come un’idea folcloristica e tanto meno come una protesta fine a se stessa, raggiungendo soprattutto le nuove generazioni. La quarta la esplicito nella prossima domanda, perché vi coincide.

Qual è il ruolo della lingua nella questione sarda?
La lingua sarda ha avuto un ruolo un po’ singolare nel panorama delle cosiddette nazioni senza stato, se così le vogliamo definire, europee. Infatti, quando nasce il cleavage centro-periferia sardo, è forse l’unico le cui basi e le cui radici sono quasi esclusivamente di carattere socioeconomico e tendenzialmente politico-istituzionali. La cultura e la lingua minoritaria, centrali ed essenziali per altre “questioni minoritarie” europee (dalla basca alla bretone, dalla catalana alla gallese e alla còrsa), nell’isola non sono state avvertite come un problema perché semplicemente esso non esisteva. Infatti il problema restava semmai nella conoscenza dell’italiano, una lingua del tutto straniera, sconosciuta ai più e di cui si ignoravano soprattutto i codici semantici che sui trasformavano soprattutto in modi di vivere e di vedere le cose. Anzi, il PSdAZ e il sardismo avevano il dilemma opposto, ossia quello di insegnare l’italiano quale lingua veicolare per conoscere meglio la, se così la si può definire all’uopo, controparte. Con la modernizzazione degli anni ’60 e il ruolo sotterraneo dello stato centrale, il sardo ha cominciato ad attraversare gravi pericoli nella sua utilizzazione e trasmissione. Oggi pare essere arrivato quel momento che altre minoranze etnonazionali europee hanno conosciuto già da tempo, in cui il sardo pare essere ridiventato un tema quasi centrale nel cleavage isolano. Quel quasi dipende in buona sostanza dal grande gap nella trasmissione intergenerazionale della lingua, oggi alla base del sentimento di appartenenza. Si è capito che senza la lingua potrebbero venire meno le stesse “ragioni della specialità” sarde, nel territorio in cui comunque vive e si concentra la minoranza linguistica più importante d’Italia, sebbene lo stato non se ne sia mai occupato, anzi.

Quali sono i partiti etnoregionalisti sardi e quali le loro caratterizzazioni politiche?
Il panorama dei partiti etnoregionalisti sardi è fortemente variegato soprattutto nel numero delle sigle, elemento questo che produce una cerca confusione nell’elettorato isolano. Spesso anche ideologicamente, si stenta a trovare delle vere differenze tra i soggetti politici dell’autonomismo e, soprattutto oramai, dell’indipendentismo sardo. Infatti, oggi, con l’avvenuto “sdoganamento” dell’ideale indipendentista, non ci sono forze politiche definibili autonomiste; tutti si richiamano agli ideali indipendentisti e a quelli – neonati – cosiddetti sovranisti. Anche nel momento in cui si scrive, è in corso una rielaborazione di strutture e strategie che penso determineranno un panorama nuovo in brevissimo tempo. Tuttavia, a parte il PSdAZ, forza più importante ed oggi autopercepitasi come indipendentista “senza se e senza ma”, troviamo iRS, vero partito-faro di questa ripresa del cleavage, sebbene oggi attraversi un momento di crisi; ProgReS, altro partito indipendentista in cerca di una sua collocazione strategica; il Partito dei Sardi, nuovo soggetto politico sovranista e indipendentista che guarda alla Sardegna come Nazione; a sinistra, i Rossomori, l’ala di sinistra del PSdAZ da cui si è scisso nel 2009; Liberu, partito di estrema sinistra indipendentista. Più altre sigle. È davvero compito arduo parlare di tutte in una sola domanda! Ciò che è importante sottolineare, sono i tentativi, al momento a metà tra il sotterraneo e il visibile, che vedono la necessità da parte di queste forze a guardarsi e a parlarsi di più.

Quale futuro per l’indipendentismo sardo?
Sta un po’ in quanto detto alla fine della risposta precedente. Oggi l’indipendentismo sardo si trova nella bizzarra situazione di essere più indietro della società che vuole aspirare a rappresentare. Nel senso che diversi sondaggi indicano come una parte dei sardi, non maggioritaria ma nemmeno trascurabile, guardi all’indipendenza dell’isola e veda questa una possibile soluzione nel percorso di autodeterminazione dei sardi stessi. Non ravviso oggi alcun elemento per definire tale atteggiamento come in maggioranza nella società. Ma allo stesso tempo, sono convinto che, seppur a corrente alternata, tale sentimento sia destinato, tra gli alti e bassi che hanno sempre caratterizzato la Sardegna da questo punto di vista, a crescere. Magari non subito dal punto di vista elettorale (anche se oggi con nove consiglieri regionali che si dichiarano indipendentisti ed eletti in liste che si richiamano a quei valori e con una coalizione – quella guidata dalla scrittrice Michela Murgia – al 10,3% nel 2014 di fatto esclusa dalla rappresentanza istituzionale), ma è partita una sorta di pedagogia politica indipendentista che ha ancora molto da dire dal punto sociale e culturale e poi, chissà, magari anche da quello politico-elettorale.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link