
Quando è nata e come si è sviluppata la cancel culture?
Ma come? Non leggete i giornali? La cancel culture non esiste! Secondo tutto l’arco intellettuale “impegnato” non esiste nulla come la cancel culture. Gli intellettuali che hanno scritto la celebre lettera-appello del 7 luglio 2020 su «Harper’s Magazine» lamentando gli effetti della cancel culture su di loro, non usano la locuzione cancel culture neppure una volta. E sono in buona compagnia: giornali come Wired ospitano articoli che negano apertamente che esista questo movimento culturale, e contemporaneamente biasimano il fatto che vi siano ancora così tanti ambiti culturali “oppressivi e prevaricatori” che non siano stati ampiamente ripuliti dalla cancel culture (che però non esiste). Insomma, è come il bispensiero di Orwell: chi lo pratica deve negare che esista, contemporaneamente conoscerne alla perfezione i meccanismi e dimenticarne l’esistenza. Si tratta di processi mentali che vengono a tal punto interiorizzati da diventare come i movimenti muscolari involontari. Nessuno si dimentica di respirare. E nessuno dovrebbe dimenticarsi di trovare giusto buttar giù una statua di quel colonialista razzista e genocida di Cristoforo Colombo.
Come si è declinata in Europa la cancel culture?
L’Europa viaggia in ordine sparso. Il caso peggiore è la Spagna, dove il passaggio fra Fascismo e Democrazia è avvenuto in maniera non traumatica, con molti anni pacifici di governi di sinistra a ridosso della dittatura stessa. Questo ha lasciato un’eredità storico-monumentale intatta, pronta per essere aggredita. E infatti a partire dall’inizio del nuovo secolo l’attacco contro le vestigia del Franchismo è diventato uno dei cavalli di battaglia della “sinistra” spagnola, in particolare da quando i suoi programmi politici sono diventati pressoché indistinguibili da quelli della “destra” popolare (liberalizzazioni, europeismo, privatizzazioni, tasse…). In sostanza la “sinistra” spagnola è essenzialmente la “destra liberista” con in più il “matrimonio gay” e la distruzione dei monumenti di Franco. Poi ci sono i paesi dell’Est post-comunista, dove la cancel culture si abbatte contro le vestigia dei regimi comunisti. Fra tutti, solo l’Ungheria e la Russia hanno trovato una quadra col loro passato, rapportandosi con esso in maniera estremamente matura. Negli altri, purtroppo, si assiste a un continuo massacro di monumenti, memoriali, perfino cimiteri di guerra di epoca comunista. Non è estraneo a questo movimento l’astio anti-russo e spinte di ordine geopolitico (non a caso in Ucraina l’annientamento di tutti i monumenti a Lenin è avvenuto dopo il golpe filo-USA e la crisi della Crimea con Mosca). Infine ci sono Francia e Italia che percorrono strade parallele, la Francia un po’ più in avanti. Entrambi i paesi hanno fortissimi tabù che salvano la loro storia: in Francia la grandeur non può essere messa in discussione. Perfino un campione del nuovo ordine mondiale come Macron ha risposto a muso duro a chi chiedeva la rimozione di questo o quel monumento a un grande di Francia. Però la cancel culture non è che sta ferma, ma come l’acqua segue le vie di minor resistenza. Che in Francia sono quelle del laicismo spinto: nell’Esagono la guerra si combatte contro le chiese costruite a fine Ottocento-primi del Novecento, ormai considerate sovradimensionate rispetto al numero dei fedeli che le frequentano e troppo costose da manutenere. Così il combinato disposto fra sovrintendenze che le derubricano a edifici “privi di importanza architettonica” in quanto “neo-gotici” o “neo-romanici” (e non gotici o romanici originali… un po’ come se noi dicessimo che il Duomo di Milano è un “falso storico privo di valore artistico” perché finito in pieno Rinascimento, quando il Gotico era alle spalle da oltre un secolo…) e le diocesi, che fanno cassa con la speculazione edilizia sui terreni di pregio immobiliare su cui sorgono le chiese, porta alla distruzione di edifici che rappresentavano magna pars dell’identità paesaggistica dei luoghi in cui sorgevano. In Italia al contrario la resistenza alla cancel culture invece viene proprio dalle sovrintendenze, mentre la politica se ne lava le mani. Da noi si ferma un cantiere se si scoprono due sassi romani… eppure il lavorio lento e degli iconoclasti non si arresta. E anche qua sta scegliendo le strade di minor resistenza: sotto attacco finiranno presto i monumenti del passato coloniale italiano, quelli che nessuno difenderà perché la gente è stata abituata a denigrare le avventure oltremare dell’Italia come “colonialismo straccione”. Presto assisteremo a richieste di abbattimento di monumenti di quel genere per “non offendere” i “nuovi italiani”, che possono trovare urtanti cose come i Quattro Mori incatenati alla fontana di Livorno. Una volta infranto il tabù che anche in Italia si possono abbattere i monumenti, non ci si fermerà più nemmeno da noi. E l’Italia è senz’altro la preda grossa per chi pianifica da decenni la distruzione della cultura occidentale…
In che modo è possibile contrastare questa ondata revisionista?
Non usiamo questo termine per definire gli iconoclasti. Il revisionista è uno studioso di storia che sottopone a revisione le tesi del passato, come ogni scienza del resto deve fare continuamente per statuto (altrimenti è catechismo, non scienza). L’iconoclastia, la cancel culture sono innanzitutto perversioni del retto pensiero. Si basano sulla dissonanza cognitiva (ovvero l’incapacità patologica di vedere dati e fatti della realtà quando questi non collimano con l’ideologia), sul doppio standard (ovvero sulla partigianeria consapevole del giudizio), sull’isteria (ovvero sulla premessa che “i sentimenti contano più dei fatti” e che se uno è “indignato” oppure “offeso” ha più ragione degli altri) e infine sulla violenza, perché quando messi con le spalle al muro dalla fredda logica, gli iconoclasti diventano cattivi, aggressivi e pretendono di tappare la bocca all’interlocutore. Imparare a ragionare sul passato con distacco ed equanimità è un ottimo primo passo. Poi occorre uscire dalle categorie imposte dal mainstream, prima fra tutti quella della dicotomia “buono-cattivo”. Con molta modestia dobbiamo pensare che è il passato che ci giudica continuamente e noi invece non abbiamo alcun diritto di giudicare il passato. La totalità di ciò di cui godiamo oggi è frutto di azioni, situazioni e personaggi che secondo il moralismo attuale dovremmo deprecare e condannare alla damnatio memoriae. Dovremmo perfino smettere di cuocere il cibo perché il fuoco è stato usato per le torture, i roghi e gli incendi delle città in guerra. Come dicono i personaggi del film di Hayao Miyazaki “Si alza il vento”, “fra un mondo con le piramidi e uno senza piramidi, tu quale sceglieresti?”. Se vuoi le piramidi devi sobbarcarti sulle spalle il peso morale del costo umano di quel che hai desiderato. Questo vale per tutto. L’ipocrisia scandalosa della cancel culture è racchiusa in una foto-simbolo che sicuramente tutti avranno visto: quella dell’attivista che piange appoggiata a una gabbia di maiali destinati al macello, stringendo in mano un Iphone. Lacrime e singhiozzi per un suino, mentre il telefono che il papi le ha comprato è stato realizzato sfruttando il lavoro minorile nelle miniere di terre rare, gli operai incatenati alla catena di montaggio nel sudest asiatico e i corrieri trattati come schiavi nella distribuzione globale. Però, per quelli, la cretina non versa una lacrima. Ecco: quando si fa come ne “I vestiti nuovi del re” e si riesce a pensare e a dire che l’atteggiamento della cancel culture è un “re nudo”, ed è dunque “da cretini”, allora si può dire d’esser liberi dalle sue categorie. E si può iniziare la lotta nelle sedi istituzionali in difesa della cultura, dell’arte, della libertà di espressione, dei diritti costituzionali, facendo per l’appunto quadrato attorno alla Costituzione, quella cosa un po’ fuori moda ultimamente che al suo art. 9 protegge “il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Se invece si è prigionieri di tare ragionative è meglio non far nulla: si può solo peggiorare la situazione, come fanno alcuni politici che si danno al benaltrismo: “se buttiamo giù le statue di Tizio, allora dobbiamo farlo anche con quelle di Caio”. E purtroppo il mondo è pieno di imbecilli che risponderanno allegramente: “d’accordo, facciamo strame di Tizio e Caio”.
Emanuele Mastrangelo, classe 1977, divulgatore, pubblicista, ricercatore, cartografo storico-militare. Dal 2006 è in redazione a «Storia in Rete». È autore e curatore di saggi e raccolte di racconti.
Enrico Petrucci, saggista e divulgatore. Collabora con «Antares» e «Dimensione cosmica». Su «Storia in Rete» firma ogni mese dal 2007 la rubrica «Le Guerre Improbabili».
Insieme, la coppia Mastrangelo/Petrucci ha firmato oltre ad alcune decine d’articoli, anche Wikipedia. L’enciclopedia libera e l’egemonia dell’informazione (Bietti, 2014), prima (e finora unica) inchiesta su Wikipedia in Italia e – insieme a Emanuele Merlino – hanno curato le due raccolte di racconti Eroi. 22 storie dalla Grande Guerra e Terra Benedetta. Racconti d’Italia e di grandi italiani.