“I Verdi italiani tra politica nazionale e proiezione europea” di Giorgio Grimaldi

Prof. Giorgio Grimaldi, Lei è autore del libro I Verdi italiani tra politica nazionale e proiezione europea edito dal Mulino: quali vicende hanno condotto alla fondazione dei Verdi italiani nel 1986?
I Verdi italiani tra politica nazionale e proiezione europea, Giorgio GrimaldiLa Federazione delle Liste Verdi, poi Federazione dei Verdi è nata come risultato di un lungo e difficile processo di aggregazione e confronto a livello nazionale svoltosi nel contesto dell’Arcipelago verde, rete di cooperazione ecologista e nonviolenta sviluppatasi sin dai primi anni Ottanta e con la partecipazione di associazioni e gruppi differenti, dalle associazioni ambientaliste storiche ai comitati civici contro le centrali nucleari sino alle associazioni pacifiste e nonviolente. Un ruolo importante fu anche svolto da alcune organizzazioni promosse in Italia dal Partito radicale (tra le quali gli Amici della Terra), dalla mobilitazione sempre più ampia della società civile di fronte ad emergenze ecologiche (come quella d Seveso nel 1976) e soprattutto dal composito movimento antinucleare (nel 1978 si costituì anche il Comitato per il controllo delle scelte energetiche e, nel 1980, nacque dall’Arci la Lega per l’ambiente (poi Legambiente) divenuta un’associazione autonoma nel 1986 e un nuovo punto di riferimento per lo sviluppo delle battaglie ecologiste. Un primo e originale esperimento di lista locale interetnica ed ecologista in Sudtirolo sin dal 1978 fu la Nuova Sinistra/Neue Linke (poi divenuta Lista alternativa per l’altro Sudtirolo nel 1983), volta a promuovere la convivenza interetnica e animata dal giornalista, insegnante e traduttore Alexander Langer che si prodigò per coagulare un’esperienza politica verde in Italia capace di rinnovare la politica e affrontare una conversione ecologica della società. Anticipata dall’esperienza della partecipazione di liste verdi ad elezioni amministrative (assai ridotta nel 1980 ma che portò all’elezione di alcuni consiglieri comunali nel 1983), si manifestò nell’Arcipelago verde e in seno alle associazioni la divisione tra favorevoli (ad esempio, soprattutto Partito radicale e Amici della Terra) e contrari alla partecipazione autonoma di liste ecologiste alle competizioni elettorali. Se nell’Arcipelago verde prevalse la scelta della non partecipazione alle elezioni europee del 1984, subito dopo, tuttavia, a fronte di una crescita di interesse per l’ecologismo politico in Italia, si sviluppò un percorso che portò alla nascita di un Coordinamento dei comitati promotori delle liste verdi che si presentarono in 14 regioni alle elezioni amministrative del 1985 che raccolsero un buon risultato (il 2,6% a livello regionale) eleggendo consiglieri comunali e regionali. Nacque così il Coordinamento delle liste verdi d’Italia nel 1985 e nel corso del 1986 l’incidente nucleare di Chernobyl e diverse forme di inquinamento fecero crescere ulteriormente l’attenzione sulle questioni ambientali nell’opinione pubblica italiana. Il processo di federare in un’unica organizzazione politica le diverse liste verdi giunse progressivamente a maturazione e portò, non senza contrasti e resistenze da parte di ecologisti che volevano evitare il rischio di costituire un partito, alla fondazione della Federazione delle Liste Verdi durante la I Assemblea nazionale di Finale Ligure (novembre 1986). Questo nuovo soggetto politico si caratterizzò come un’organizzazione a metà strada tra movimento e partito con un’ampia autonomia delle liste aderenti e un Gruppo di coordinamento di 11 membri.

Quando avviene l’ingresso nel Parlamento italiano?
Sull’onda della mobilitazione antinucleare i Verdi italiani si presentarono alle elezioni politiche del 14 giugno 1987 con il simbolo del Sole che ride, eleggendo 13 deputati e 2 senatori avendo con il 2,5% dei voti nazionali conseguiti per la Camera dei deputati e il 2% di quelli per il Senato. Nel luglio 1987 il neocostituito Gruppo parlamentare verde colse un importante successo riuscendo a far approvare la proposta di legge per l’indizione del referendum nucleare. I Verdi, collocatisi all’opposizione in Parlamento, entrarono per la prima volta in una coalizione di governo a livello locale nel Comune di Palermo nell’agosto 1987 in un ampio schieramento (“Primavera siciliana”) guidato dal sindaco democristiano Leoluca Orlando sorto per contrastare l’intreccio tra politica, economia e mafia. L’8 novembre 1987 la vittoria referendaria del sì all’abbandono del nucleare costituì la più importante affermazione degli ecologisti italiani. I Verdi in Parlamento riuscirono a contribuire all’approvazione di importanti novità legislative (tra di esse la legge quadro sulle aree protette del 1991); tuttavia le diverse campagne e attività, pur significative, non riuscirono a far sviluppare una prospettiva politica chiara e ampia in un momento di profonda crisi dei partiti tradizionali. I Verdi furono tra i promotori dei referendum per la limitazione della caccia e per il bando dell’uso dei pesticidi in agricoltura che però nel giugno 1990 fallirono il loro obiettivo non raggiungendo il quorum: l’aver condotto questa battaglia referendaria senza abbinarla a quella per il referendum sul finanziamento ai partiti fece perdere l’opportunità di ampliare l’agenda politica e di partecipare in maniera più incisiva alla vita politica italiana. La Federazione dei Verdi e i Verdi Arcobaleno, organizzazione composta soprattutto da esponenti radicali (tra i quali Francesco Rutelli, divenuto poi sindaco verde di Roma nel 1993) e da altri usciti da Democrazia proletaria – Dp (tra i quali Edo Ronchi), a causa di scontri personalistici e nonostante lo sforzo profuso da diversi ecologisti, e in particolare da Alexander Langer, avevano perso l’occasione di presentarsi uniti alle elezioni europee dove raggiunsero complessivamente il 6,2% dei voti e finirono per fondersi soltanto tardivamente alla fine del 1990. A seguito di Tangentopoli e con il crollo della Prima Repubblica la Federazione dei Verdi non riuscì a porsi come attore del cambiamento, benché promotrice anche dell’ecologia della politica e di un federalismo basato sulle autonomie locali, sia per i contrasti interni che per numerosi altri fattori quali la prevalenza di un orientamento di sinistra, l’influenza di esponenti radicali, l’incapacità di essere percepiti come forza non solo volta alla tutela dell’ambiente e quindi monotematica, nonché per il difficile rapporto con l’associazionismo ambientalista.

Quale importanza ha assunto l’attività svolta dagli eurodeputati verdi italiani nel Parlamento europeo?
Già nel 1988 la Federazione dei Verdi organizzò la Convenzione Verdeuropa a Firenze per sviluppare un confronto e un dibattito sul futuro dell’Europa e sulle prospettive di cambiamento in dialogo con i paesi e i movimenti dell’Europa centro-orientale ancora sottoposti a regimi comunisti. In questa occasione furono messe a confronto tra gli ecologisti e con ospiti internazionali diverse idee e proposte. La Federazione dei Verdi partecipò per la prima volta alle elezioni europee nel giugno 1989: i Verdi ottennero il 3,8% tre eletti nella lista della Federazione dei Verdi con il simbolo del Sole che ride (Gianfranco Amendola, Enrico Falqui, Alexander Langer) mentre due eurodeputati (Adelaide Aglietta e Virginio Bettini) vennero eletti nella lista dei Verdi Arcobaleno (2,4%), organizzazione fusasi con la Fdv solo alla fine del 1990 nonostante una cooperazione nelle istituzioni venisse avviata anche precedentemente. Tutti e cinque i nuovi eletti (insieme anche ad altri due italiani, il sacerdote missionario Eugenio Melandri eletto come indipendente nella lista di Dp, e il giornalista Marco Taradash eletto nella Lista Antiproibizionista) si unirono al primo Gruppo Verdi al Parlamento europeo (Gvpe). Gli eurodeputati italiani svolsero un ruolo significativo all’interno del Gvpe orientandolo verso una critica costruttiva delle Comunità europee al fine di promuoverne un rafforzamento democratico e uno sviluppo federale, differente da quella fino ad allora prevalente nei Verdi tedeschi, principale partito verde in Europa, caratterizzata da un rifiuto netto delle politiche comunitarie e anche delle istituzioni comunitarie in quanto ritenute espressione del capitalismo selvaggio e inquinatore e del colonialismo nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Pur con una presenza ridotta, i Verdi italiani hanno contribuito a numerose iniziative e all’attività del Parlamento europeo (Pe) e anche nelle successive legislature e fino al 2009 hanno ottenuto una rappresentanza, benchè esigua, al suo interno. Nel 1994 furono eletti Langer, Aglietta e Carlo Ripa di Meana, già commissario europeo dell’ambiente e all’epoca primo portavoce della Federazione dei Verdi, poi uscito dal Gvpe nel 1998 perché contrario all’adozione dell’euro. Dopo il suicidio di Alexander Langer assunse il suo incarico il biologo Gianni Tamino, mentre nel 1999 furono eletti al Pe in Italia lo scalatore Reinhold Messner e l’etologo Giorgio Celli e, con i verdi valloni in Belgio, l’italiana Monica Frassoni, federalista europea e poi a lungo co-presidente del Partito dei Verdi europei costituitosi come europartito a Roma nel 2004. In quello stesso anno gli ultimi eurodeputati verdi eletti in Italia furono la stessa Frassoni e l’altoatesino Sepp Kusstatscher (distintosi poi come l’europarlamentare italiano con un maggior numero di presenze alle riunioni del Pe durante la legislatura avendo partecipato al 97,2% delle sedute), mentre dal 2009 in poi la Federazione dei Verdi, presentatasi in diverse forme ma non in alleanze con altri partiti, non è riuscita più a ottenere rappresentanti in seno al Pe, soprattutto a causa del mutamento della legge elettorale italiana per le elezioni europee che prevede uno sbarramento del 4% (anche se negli ultimi anni al Gvpe hanno aderito alcuni europarlamentari eletti con il Movimento Cinque Stelle dopo essersi staccato da esso).

In che modo i Verdi italiani hanno contribuito allo sviluppo di un orientamento critico verso la Comunità europea e poi verso l’Unione europea?
Soprattutto Alexander Langer (si veda in proposito il mio contributo Alexander Langer: speranze e proposte per un’Europa federale in “I Temi”, anno VII, n. 26, dicembre 2001, pp. 9-40 on-line [1]) e Adelaide Aglietta (che hanno anche ricoperto in tempi diversi il ruolo di co-portavoce del Gruppo Verdi al Parlamento europeo) e successivamente Monica Frassoni (anch’essa divenuta co-portavoce del Gruppo Verdi/Alleanza Libera europea, il gruppo politico frutto dell’accordo raggiunto nel 1999 e poi finora sempre confermato tra i Verdi e i partiti regionalisti di orientamento progressista appartenenti al partito europeo dell’Alleanza Libera Europea) si sono impegnati in maniera continua per la creazione di un’Europa federale, ecologica, costruttrice di pace nel mondo contribuendo a far divenire i Verdi europei una forza politica eurofederalista, effettuando una svolta rispetto al prevalente antieuropeismo predominante in diversi partiti verdi europei. Già nel corso degli anni Novanta, criticando le riforme istituzionali dei Trattati succedutesi, da quella di Maastricht a quella di Lisbona, i Verdi italiani hanno sostenuto una riforma federale della Comunità europea e dell’Unione europea, a sostegno di maggiore integrazione sovranazionale, rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo e abolizione del diritto di veto in tutte le procedure decisionali. Posizioni anche euroscettiche presenti nei Verdi europei sono state progressivamente abbandonate e a questo risultato hanno soprattutto contribuito alcuni esponenti di rilievo: oltre ai Verdi italiani, quelli francesi (da segnalare è l’azione di Daniel Cohn-Bendit eletto sia con i Verdi tedeschi che con quelli francesi ed eurodeputato dal 1994 al 2014) e anche quelli tedeschi dove peraltro il leader riformista Joschka Fischer, divenuto vicecancelliere e ministro degli esteri tedesco dal 1998 al 2005, ha rilanciato con un suo celebre discorso nel 2000 il dibattito sulle riforme dell’Ue prospettando, pur a titolo personale, un necessario sviluppo federale europeo basato su un centro di gravità, un nucleo di paesi che avrebbero dovuto creare un’avanguardia per la costituzione di una federazione di stati-nazione. Il discorso di Fischer aprì un ampio dibattito e contribuì al rilancio del processo d’integrazione europea.

Quali sono le ragioni del declino dei Verdi, fino al crollo nelle elezioni europee del 1999?
Diversi sono i fattori che hanno contribuito al declino dei Verdi. Alcuni sono di origine interna ed altri di natura esterna. Tra i primi si possono annoverare divisioni e faziosità che hanno impedito a più riprese, prima il rafforzamento organizzativo e poi una scelta di apertura più ampia all’interlocuzione con la società civile e con i partiti, nonché l’eterogeneità di posizioni conflittuali che hanno creato la ricerca di un portavoce esterno (prima Ripa di Meana, che aveva da poco lasciato il Psi, dal 1993 al 1996; poi Luigi Manconi, già eletto senatore nelle liste dei Verdi come indipendente, dal 1996 al 1999) bloccando lo sviluppo di una leadership interna e una maggiore coesione della Federazione. Anche l’influenza delle componenti radicale e di sinistra libertaria e della sinistra alternativa dei movimenti della sinistra extraparlamentare e di Democrazia proletaria hanno pesato sugli orientamenti scelti e allontanato componenti ambientaliste e della società civile in disaccordo con questi orientamenti. Tra i fattori interni va inoltre anche inclusa l’incapacità di adottare una visione politica complessiva di riforma politica vista anche come conseguenza delle lotte interne. Pur avendo partecipato alla costituzione dell’alleanza dei Progressisti e poi dell’Ulivo (con la quale la Fdv giunse al governo nazionale) e infine dell’Unione (con la quale tornò nell’esecutivo nazionale), la Federazione dei Verdi ha finito per collocarsi politicamente in uno spazio politico ridotto alla sinistra del centro-sinistra, a volte su posizioni antagoniste nella stessa alleanza scelta, perseguendo accordi di corto respiro e tattici senza una visione strategica condivisa. Inoltre ha pesato anche la scarsa valorizzazione dell’operato svolto individualmente e collettivamente in ruoli istituzionali e ministeriali pur rilevanti (si pensi, ad esempio, all’attività di Edo Ronchi come Ministro dell’Ambiente per un lungo periodo con la riorganizzazione del Ministero, l’istituzione di nuove aree protette e l’adozione di un Testo unico sui rifiuti per la prima volta in Italia). Tra i fattori esterni limitanti vanno considerati: la difficoltà di trovare una collocazione nel sistema politico italiano dove la questione ambientale è stata di frequente relegata a tematica non prioritaria (second issue) e come tale considerata da larga parte dell’elettorato, emergendo come elemento di mobilitazione del consenso solo periodicamente e in contesti specifici; i ristretti spazi offerti dalla comunicazione e dai mass media all’ecologismo politico in una situazione di concentrazione del potere dei mass media italiani alquanto anomala soprattutto a partire dagli anni Novanta che ha consentito l’ascesa politica dell’imprenditore televisivo Silvio Berlusconi come leader politico del centro-destra; i sistemi elettorali (inclusa la modifica della legge elettorale per le elezioni europee in vigore dal 2009 che ha introdotto lo sbarramento del 4% e da allora impedito l’elezione di eurodeputati verdi) che a volte hanno pesantemente penalizzato forze minoritarie come i Verdi. Tuttavia la marginalità cronica, frutto di un lungo declino, è forse dovuta più in profondità alla incapacità dimostrata dalla Federazione dei Verdi di porsi come riferimento di una cultura politica ecologista autonoma dalla sinistra e di creare un’organizzazione politica coesa, aperta a istanze sociali e politiche più ampie. Sin dalla fine degli anni Ottanta, Langer aveva proposto per i Verdi la funzione di catalizzatori capaci di biodegradarsi per farsi portavoce di un progetto politico più ampio, civico, ecologista, nonviolento a partire dalle reti e dalle realtà della società civile in un prospettiva di crescita dal basso ma orientata a promuovere la pace e un benessere entro i limiti ecologici, nuovi stili di vita, per costruire un’Europa e un nuovo sistema internazionale basato sulla pace e la convivenza e sull’unità nella diversità. Dopo le elezioni europee del 1999 che videro un declino consistente di consenso (venne raggiunto solo il 1,8% e furono eletti due eurodeputati), determinato dalla posizione critica ma di appoggio all’intervento militare in Kosovo che aveva scontentata una parte dei militanti e la concentrazione soltanto su alcuni temi sociali e ambientali trascurando un’azione più decisa per le riforme istituzionali europee, e che aveva portato complessivamente portato la Fdv a concentrarsi più sui temi dei diritti civili e sociali che su quelli ambientali, Luigi Manconi, sociologo e già militante di Lotta Continua, si dimise da portavoce (carica ricoperta dal 1996 dopo la rottura di Carlo Ripa di Meana con il partito). A seguito di forti dissidi i Verdi italiani hanno vissuto scissioni e tentato rifondazioni e percorsi costituenti ma hanno sofferto della concorrenza di altri attori che di volta in volta si sono presentati con programmi ambientalisti nella competizione elettorale. L’ascesa del Movimento 5 stelle, accreditatosi anche come un “nuovo” soggetto ecologista, rappresenta un esempio di questo fenomeno.

Quali sono gli ultimi sviluppi del soggetto politico ecologista e il percorso verso Europa verde?
Un ciclo di vita della Federazione dei Verdi pare ormai concluso dopo diversi tentativi finora infruttuosi di uscire da una profonda e lunga crisi, che come si è visto affonda le sue radici già nei primi anni Novanta. Tentativi iniziati con un’assemblea costituente ecologista nel 2000 e l’arrivo alla guida della giornalista ecologista Grazia Francescato, passando per l’esperienza fallimentare dell’alleanza elettorale del Girasole insieme allo Sdi (Socialisti democratici italiani) nel 2001 e la guida del partito assunta da un esponente di lungo corso, Alfonso Pecoraro Scanio (con il ritorno al governo all’interno dell’Unione) durata fino al 2008, quando si dimise per la sconfitta subita alle elezioni politiche dai Verdi che, unitisi alla sinistra radicale nella lista Sinistra Arcobaleno alle elezioni politiche, non riuscirono ad eleggere alcun parlamentare. In particolare, nel 2009 si è anche consumata, dopo che si erano già verificate nel corso degli anni significative defezioni, la scissione di un gruppo di esponenti verdi confluiti in Sinistra Ecologia e Libertà.

La sfida attuale di Europa verde, riaggregatasi come tentativo di rilancio dei Verdi in un contesto europeo che ha visto un avanzamento delle forze ecologiste in altri paesi dell’Europa occidentale negli ultimi anni, è quella di far rinascere un soggetto ecologista riformista consolidando l’ancoraggio ad un programma e ad un’azione all’interno del Partito verde europeo e in una dimensione di costruzione di un’Unione europea più democratica, civica ed ecologista, cooperando e costruendo con parti della società civile impegnate per la conversione ecologica (ad esempio i gruppi e movimenti che si ispirano all’enciclica “Laudato sì”, i giovani del movimento “Fridays for Future” ecc.) una nuova prospettiva politica di ampio respiro per generare un’alleanza politica non di nicchia ma popolare e capace di proporsi come forza per la gestione della transizione ecologica, economica, politica e sociale da affrontare urgentemente. Se gli spazi politici per Europa verde sembrano nel breve periodo ancora angusti (pur avendo riottenuto alcuni primi risultati con l’elezione di alcuni consiglieri regionali e una presenza negli enti locali) le prospettive rimangono incerte in uno scenario politico italiano immerso in una difficile e problematica transizione. Il perseguimento di alleanze e aperture inedite uscendo dall’omologazione a sinistra e un lavoro di formazione culturale e politica pragmatico e costante possono offrire nuove opportunità e inaugurare una nuova stagione politica. Per il momento è comunque difficile fare previsioni. Rimane ad oggi sicuramente inespressa o dispersa in molti rivoli a livello politico un’area potenziale di consenso ecologista e civico che potrebbe consentire a Europa verde di mettersi alla prova operando per la costruzione di un’ampia alleanza politica ecologica e sociale per far pace tra gli uomini e tra gli uomini e la natura, riprendendo e attualizzando in particolare le proposte di Alexander Langer, politico e attivista ecologista lungimirante, esploratore e costruttore di ponti per unire le persone, le comunità e i popoli al fine di rendere, come affermava ormai già quasi trent’anni fa, la conversione ecologica una prospettiva desiderabile per fermare lo sviluppo distruttivo e violento del pianeta.

Giorgio Grimaldi, dottore di ricerca in Storia del federalismo e dell’unità europea, è assegnista di ricerca in Storia delle relazioni internazionali all’Università di Genova. Ha tenuti diversi corsi di insegnamento presso l’Università della Valle d’Aosta e l’Università di Genova ed è attualmente docente a contratto del corso di Geografia economico-politica dell’Unione europea all’Università eCampus. È autore di Federalismo, ecologia politica e partiti verdi (Milano, Giuffré, 2005) e I Verdi italiani tra politica nazionale e proiezione europea, (Bologna, Il Mulino, 2020).

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[1] Link collegato http://www.giovaniemissione.it/categoria-testimoni/2200/alex-langer/ ma anche in “La domenica della nonviolenza”, supplemento domenicale de “La nonviolenza in cammino”, Viterbo, n. 29, 10 luglio 2005 (parte prima http://lists.peacelink.it/nonviolenza/2005/07/msg00013.html e n. 30, 17 luglio 2005 (parte seconda http://lists.peacelink.it/nonviolenza/2005/07/msg00022.html) e in http://www.reteccp.org/biblioteca/nonvio/langer/alex4.html

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