
Il mio editor in Mondadori mi ha invogliato a scrivere un romanzo sugli Etruschi, perché Mondadori non aveva pubblicato romanzi sugli Etruschi da qualche anno. Io ho detto che lo avrei fatto solo se avessi trovato un argomento adatto, un argomento forte, con risvolti drammatici, di grande interesse storico, che si prestasse a un romanzo coinvolgente.
Ma purtroppo degli Etruschi non si conosce moltissimo, poiché non c’è una storiografia etrusca: di questo grande popolo si conoscono i reperti che provengono dagli scavi archeologici e quello che ne dicono gli altri, come i Greci e i Romani, secondo me non abbastanza da scrivere un romanzo con tutti i loro usi e costumi.
Per questo ho scelto di raccontare il rapporto tra Roma e gli Etruschi, che tanto ha dato a Roma e alla nostra civiltà occidentale, e ho deciso di scrivere un romanzo sulla Roma dei re etruschi, La grande Roma dei Tarquini, perché su questo argomento ci viene in aiuto la storiografia di Roma. Ma presto mi sono imbattuta nel documento che sorregge e dà un senso alla storia dei Tarquini, e si tratta di un documento etrusco: gli affreschi della tomba François di Vulci.
La tomba è stata scoperta in seguito a una campagna di scavi commissionata da Alessandro Torlonia, e io ho frequentato il liceo Alessandro Torlonia: questo mi ha incuriosita. E poi… sono stata risucchiata nel vortice di una storia drammatica e piena di interrogativi, una questione irrisolta su cui gli studiosi sono discordi. Avvenimenti di un periodo di Roma nebuloso eppure tanto affascinante.
Di quale importanza sono i Tarquini per la storia di Roma?
Chi ha definito la Roma dell’epoca narrata come La grande Roma dei Tarquini (il filologo classico Giorgio Pasquali) ha sintetizzato in modo geniale questo periodo, poiché la storia di Roma in questo periodo è la storia dei Tarquini. Oserei dire la saga dei Tarquini.
Roma ha sempre lottato, ma è con i Tarquini che si afferma, può tenere testa ai potenti Etruschi e Greci, e si prepara inoltre ai primi trattati con Cartagine, il che dimostra che ha conquistato potere sul mare. E saranno poi ancora i Tarquini, parenti meno ricchi e importanti, Lucio Giunio Bruto, figlio di una Tarquinia e Tarquinio Collatino, a cacciare con una congiura il tiranno Tarquinio il Superbo e a fondare la repubblica.
Il dominio dei Tarquini ha rappresentato a Roma una fase nuova, quella dell’apertura massima ai commerci e alla multiculturalità.
Ci fu un notevole sviluppo economico con grande diffusione della ricchezza, che mise in rilievo molti cittadini dediti ai commerci e all’artigianato, nuovi ricchi che aspiravano al potere: ciò ridimensionò l’antica aristocrazia che frenava il progresso per mantenere i suoi privilegi. I limiti della città, che diventava più popolosa, furono estesi. Insieme a una grande intensificazione dei rapporti culturali, commerciali e artistici con il mondo greco ed etrusco, ci furono riforme dell’esercito, cambiamenti politici, espansione del dominio di Roma nel Lazio.
Proprio all’epoca dei cosmopoliti Tarquini Roma comincia a guardarsi intorno e a non vedere solo l’immediato interesse di guerreggiare con i vicini, ma pensa ad affermarsi tra le città potenti intorno al Mediterraneo. Quella forte spinta alla conquista che farà di Roma un grande impero prende piede allora.
Col grande sviluppo urbanistico Roma acquista le caratteristiche di una città ampia e ricca con gli edifici decorati da terrecotte colorate. Appunto la grande Roma dei Tarquini. Conserverà questo aspetto per tanti anni.
Opere attribuite ai Tarquini sono il tempio di Giove Capitolino, uno dei più grandi del Mediterraneo, tale da divulgare nel mondo la loro fama, il Circo Massimo, le mura serviane, i templi di Fortuna e Mater Matuta, la Cloaca Massima, importantissima, che spurgava le acque stagnanti nel Tevere.
Cosa ha significato il periodo etrusco a Roma?
In questo periodo si assiste alla formazione dei poteri personali a Roma con l’uso delle ricchezze private, l’intervento di mercenari, l’appoggio dei nuovi ceti mercantili e del popolo.
Con Tarquinio Prisco si apre il periodo etrusco a Roma. Lucio Tarquinio Prisco, secondo la tradizione figlio di un Greco, un mercante ricchissimo di Corinto, e di una Etrusca, si sarebbe accattivato la fiducia del quarto re di Roma Anco Marcio e del senato, tanto da essere eletto re. Dicono gli storici che usò la sua ricchezza per comprare voti. Certo in questo c’è un accenno a qualcosa che non va: quella del re a Roma era una carica elettiva, il candidato doveva essere proposto e votato da tutti gli ordini e approvato da Giove. Già con il Prisco si avverte che comincia la tirannide, dopo di lui prenderà il potere Servio Tullio che non ha l’approvazione del senato e si appoggia al popolo, poi è la volta del Superbo, il tiranno per antonomasia, che uccide Servio e si proclama re.
Oggi definiamo tiranno chi governa in modo dispotico e crudele, accentrando a sé tutti i poteri. Originariamente il termine, riferito a situazioni della Grecia Antica, pur esprimendo la non legittimità del potere, non comportava una valutazione negativa. Fra i primi tiranni Periandro a Corinto, Policrate a Samo, Pisistrato ad Atene col suo governo illuminato, governarono con saggezza e misura, spianavano montagne, aprivano canali, costruivano fogne e fontane, bonificavano paludi. Ma il termine poi assunse un valore negativo quando i tiranni cominciarono a governare con crudeltà, (quando i tempi erano maturi per altre forme di governo).
In questo Roma non si distinse dalle altre città occidentali.
Molti interpretano il regno dei re etruschi come un dominio etrusco su Roma, ma io lo ritengo piuttosto il dominio di una potente e ricchissima famiglia etrusca proveniente da Tarquinia, non di Tarquinia su Roma. Roma ha mantenuto la sua connotazione latina, pur con grandi influenze etrusche. Non sembra che sia diventata una città etrusca, la lingua ne è testimone.
Questo è il periodo del predominio delle grandi gentes, che potevano fare guerre da sole a una città, come a Roma i Fabi. Potevano schierare in armi i loro clienti e ingaggiare mercenari. Dopo la cacciata dei Tarquini si trasferirono a Roma dalla Sabina i Claudi, al seguito di un Appio Claudio. Fu una vera migrazione di molte persone: sembra che i Claudi, contrari ai Tarquini, potessero schierare cinquemila armati. Appio Claudio fu accolto tra gli aristocratici e divenne potentissimo.
A quali fonti si è rivolta per la stesura de I Tarquini?
Gli storici a cui mi sono riferita sono principalmente Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, molto anche Cicerone col De Republica, e risulta importante Tacito solo con una breve frase. Ma nel caso di questi fatti così lontani è venuta in aiuto l’archeologia, che è riuscita a grandi linee a supportare il racconto della tradizione storiografica. D’altronde il racconto degli storici che noi possediamo è molto tardo, inoltre questi storici si sono basati su autori che hanno scritto già molti anni dopo i fatti narrati. Per questo il periodo regio è spesso ritenuto dagli studiosi moderni solo mito o leggenda. Così per la fondazione di Roma, dove ci sono voluti i riscontri degli scavi nelle zone pubbliche già frequentate nel periodo indicato dagli storici per la fondazione, per dare in parte credito al racconto degli storiografi.
Una prova archeologica molto importante per l’età dei Tarquini è etrusca ed è la Tomba François.
Chi fu il sesto re di Roma Servio Tullio? Quali diverse versioni della vita di Servio Tullio esistono?
Servio Tullio è una figura molto discussa: è certamente uno dei più grandi personaggi della storia romana, il rifondatore, il nuovo Romolo. È un servo che diventa re, e con le riforme, contrastando i privilegi dei patrizi, avvia Roma a diventare una grande potenza del Mediterraneo.
La figura tradizionale di Servio deriva principalmente da Livio, Dionigi di Alicarnasso e Cicerone. Secondo la storiografia ufficiale Servio Tullio era figlio di una schiava che viveva nella casa del re Tarquinio Prisco. Tarquinio e sua moglie Tanaquil, la regina, ne videro le grandi qualità e lo fecero educare, lo tennero come un figlio, tanto che il re ne fece il suo capo della cavalleria e gli diede in moglie la figlia Tarquinia. Questo fu un chiaro segnale per gli aristocratici sabini e latini: pensarono che Tarquinio Prisco stesse tramando per far diventare re alla sua morte Servio Tullio, e poiché a Roma la monarchia non era ereditaria, ma veniva eletto un re straniero, e super partes, gli aristocratici fecero assassinare Tarquinio Prisco per evitare che riuscisse nel suo intento. Avevano paura che Servio il servo demolisse i loro privilegi. Ma Tanaquil riuscì a dargli il trono con un colpo di mano che gli aristocratici non avevano previsto: nascose la morte del re e annunciò che il re era solo ferito ma ordinava che durante la sua convalescenza fosse Servio Tullio a detenere il potere al suo posto. Poi, quando il potere fu saldamente nelle mani di Servio, la regina annunciò la morte del re.
Quindi già nella versione romana tradizionale Servio è un tiranno, poiché non è stato eletto regolarmente. Ma Servio si appoggiò al popolo, riuscì a creare un certo equilibrio tra gli ordini, fu poi molto amato dai Romani e considerato per la sua moderazione un re giusto.
Ma c’è un’altra versione della vita di Servio Tullio e delle sue origini.
Secoli dopo Servio Tullio viene menzionato dall’imperatore etruscologo Claudio in un suo discorso in senato conservato nelle tavole di bronzo di Lione, in cui dice che Servio era un mercenario conosciuto come Mastarna e fedele compagno del condottiero di Vulci Celio Vibenna, giunto a Roma dopo varie vicissitudini con quanto rimaneva del suo esercito e stabilitosi sul Celio. Mastarna avrebbe poi cambiato il suo nome in Servio Tullio e sarebbe diventato re con sommo beneficio di Roma.
A sostegno di questa ipotesi ci sono il racconto di Verrio Flacco e le parole di Tacito, e, cosa più importante, gli affreschi della Tomba François di Vulci, che rappresentano questi avvenimenti.
Una tomba arcaica di una famiglia aristocratica di Vulci, i Saties, ricevette una nuova decorazione nella seconda metà del quarto secolo a.C. con affreschi di soggetto storico e mitologico di profondo significato politico ideati dal proprietario, Vel Saties. Gli affreschi riguardano la storia etrusco – romana, quando ancora gli Etruschi pensavano di poter battere Roma, e ricordano una circostanza in cui Vulci ha battuto Roma. Vi sono raffigurati l’uno di fronte all’altro due episodi, uno è il sacrificio dei prigionieri troiani da parte di Achille, (sappiamo che il principe troiano Enea era considerato il capostipite della dinastia di Alba e dei Latini) l’altro è una battaglia tra Vulcenti e Romani, rappresentata per mezzo di duelli vinti dai Vulcenti. Vi si riconoscono Servio Tullio, con il suo nome etrusco Mastarna, e Marce Camitlnas che vince su Gneo Tarquinio, un Romano. Ci sono Celio e Aulo Vibenna i capi mercenari che erano venuti a Roma chiamati dal re Tarquinio Prisco. Il significato è apologetico, rappresenta una vittoria di Vulci su Roma, e la presenza di un Tarquinio ci fa datare l’evento all’interno del regno di Tarquinio Prisco.
Cosa hanno in comune le figure di Servio Tullio della tradizione romana e Mastarna della tradizione etrusca?
Certo il Servio Tullio della tradizione romana e il Mastarna della tradizione etrusca sembrano due figure che non hanno nulla in comune.
La storiografia ufficiale romana racconta con dovizia di particolari che Servio visse la sua infanzia e giovinezza a Roma e nemmeno nomina Mastarna. La parte etrusca dice che era un mercenario etrusco, sodale di Celio Vibenna.
Tra tante interpretazioni che ne sono state date dagli studiosi moderni, la più interessante mi sembra quella di Andrea Carandini, alla quale mi sono attenuta per delineare la figura di Servio.
Carandini riunifica le due figure e ipotizza che Servio vivesse a Roma, ma frequentasse Vulci e la scuola d’armi dei Vibenna allo scopo di imparare la tecnica della falange oplitica e diventare amico dei mercenari, così da essere in grado di intervenire a Roma con truppe mercenarie nel momento in cui gli aristocratici di Roma si fossero opposti con le armi ai Tarquini. Carandini ipotizza inoltre, sulla scorta di alcune affermazioni di Cicerone, Livio e Dionigi, che Servio Tullio fosse il figlio bastardo di Tarquinio Prisco, scelto da lui per succedergli perché era uno spirito indomito, un grande condottiero, detto infatti Mastarna, il magister per antonomasia. Inoltre Servio era legato e riconoscente solo a Tarquinio, non aveva legami familiari con gli aristocratici, che potessero impedirgli di portare a compimento le riforme iniziate da Tarquinio.
Perché la storiografia ufficiale romana non conosceva Gneo Tarquinio e la doppia identità di Servio?
Tarquinio aveva un figlio, che non poteva succedergli, poiché a Roma la monarchia era elettiva e il figlio non poteva succedere al padre: il re doveva essere super partes, in quanto a Roma convivevano etnie diverse e nessuna doveva prendere il sopravvento.
La ricostruzione di Carandini, studio comparato delle fonti letterarie e dei resti archeologici, e geniale opera di immaginazione, ha il grande merito di portare l’attenzione su una figura importante e quasi del tutto ignorata da altri storici moderni, o confusa con la figura del padre: Gneo Tarquinio, il figlio di Tarquinio Prisco, dipinto nell’affresco della Tomba François mentre un alleato di Mastarna, Marco Camillio, è pronto a sgozzarlo, dunque citato dalle fonti etrusche e ignorato da quelle romane. Ma su questo punto è molto chiaro l’affresco della tomba, e anche le parole di Dionigi di Alicarnasso e di Tito Livio vanno nella stessa direzione.
Dunque esisteva un altro Tarquinio, e poiché Livio dice che il Prisco aveva tre figli legittimi, due femmine e un maschio, che non compare da altre parti, forse è lui il figlio maschio, Gneo, che, in quanto figlio del re, non poteva accedere al trono, e molto probabilmente ha sostenuto un partito contrario a Servio. Ciò che sorregge e dà un senso alla storia di questo periodo e al mio romanzo è il radicato sentimento antidinastico dei Romani.
Naturalmente anche questa ricostruzione ha molti punti deboli, ma al momento mi sembra la più plausibile e la più affascinante, cosa di fondamentale importanza per il romanziere.
Per una ricostruzione del periodo regio non ci si può avvalere di un gran numero di prove certe, poiché non ci sono, ma nemmeno si può fare come molti storici odierni che accettano solo la versione etrusca della vita di Servio e poco accettano di quanto ci hanno lasciato scritto Livio o Cicerone o Dionigi di Alicarnasso, i quali, per quanto posteriori all’epoca arcaica, erano comunque più vicini di noi e avevano a disposizione archivi e opere precedenti.
Dobbiamo chiederci perché la storiografia ufficiale romana non conosceva Gneo e la doppia identità di Servio: forse ciò dipende dal fatto di voler tramandare una storia edificante. Certo a qualcuno conveniva che queste cose non si sapessero e Gneo è stato cancellato dalla storia. Carandini dice che probabilmente fu lo stesso re Servio Tullio a tramandare una storia edificante per nascondere che lo stesso figlio del re aveva congiurato contro di lui: sarebbe stato poco d’immagine per l’istituto monarchico e anche per lui stesso, Servio. D’altronde la casa del re controllava quanto veniva divulgato, soprattutto agli stranieri in visita, e inoltre Servio Tullio scrisse le sue memorie, che furono poi alla base della repubblica.
Livio dice che Roma elesse due consoli basandosi su quanto consigliava Servio: ex commentariis Servi Tulli.
Quale ruolo ha, nelle vicende da Lei narrate, Tanaquil?
Io tengo molto ai personaggi femminili dei miei romanzi, mi piace dare voce alle donne, che non sono state prese molto in considerazione dalla storia. Chi scrive la storia soffre dei pregiudizi della sua epoca: per i Romani era un bene che delle donne si parlasse poco o non si parlasse affatto.
Eppure Tanaquil è un personaggio molto importante nel racconto degli storici antichi e per quanto riguarda i Tarquini è la chiave di volta. È colei che convince il marito Lucumone a trasferirsi a Roma da Tarquinia, è colei che, morto il re suo marito, ne nasconde la morte, e prepara la successione per Servio Tullio: solo quando il potere è nelle mani di Servio annuncia la morte del re. È una dispensatrice di regalità, una creatrice di re. Ne ha creati ben due. Non si sono tramandati i nomi delle regine precedenti, e questo dimostra la sua importanza.
Io ne ho fatto un personaggio audace, a cui piace il pericolo, che segue le sue inclinazioni, eppure sa sacrificarsi, quando diventa regina, al bene di Roma.
Delle regine dell’epoca etrusca conosciamo i nomi: Tanaquil, Tarquinia, Tullia. Dunque a Roma, con gli Etruschi, le donne contavano e sono state determinanti. Oppure gli storici hanno dato spazio alle donne per accentuare la loro condanna degli Etruschi, che secondo loro alle donne di spazio ne davano troppo?
Qui ho fatto un po’ di ironia, ma la storia antica è un cumulo di interrogativi e ogni epoca dà diverse risposte e interpretazioni.
Certo queste donne intraprendenti sono servite ad accentuare le differenze tra le Etrusche e la casta Lucrezia, sul cui corpo esanime hanno giurato i fondatori della repubblica che si preparavano a cacciare i Tarquini. Due diversi modi di vedere. Queste donne sono diventate il simbolo di modi diversi di vivere e di considerare la società: eleganza e cosmopolitismo contro frugalità e osservanza del costume dei padri.
Emma Pomilio, laureata in lettere classiche all’università La Sapienza di Roma, nipote di Mario Pomilio, è autrice di vari romanzi storici, tutti pubblicati da Mondadori, tra i quali Dominus, La notte di Roma. Nella serie “Il romanzo di Roma”, curata da Valerio Massimo Manfredi, ha pubblicato Il ribelle e Il sangue dei fratelli. Nel 2019 è uscito il suo nuovo libro I Tarquini. La dinastia segreta.