
Chi sono i ‘sicari della pace’ e in che modo hanno impedito il superamento dell’ostilità tra i due segmenti etnici ulsteriani?
Attori e processi insospettabili. La partizione dell’isola del 1921, con tutto il suo precipitato di scaltrezza di potenza, disincanto strategico e irriverenza rispetto all’insofferenza tra i due segmenti etnici che si trascinava da secoli; il neo-imperialismo illuminato e il mito della democrazia imposta, potentissimo mantra anglosferico tipico della fase unipolare del sistema internazionale post-guerra fredda; l’eccesso di fiducia nell’ingegneria istituzionale e nella possibilità di accomodare a tavolino l’incompatibilità etnica, malgrado l’esistenza di muri interni all’Irlanda del Nord (e il cui numero, dal 2007, è ripreso a salire, altro che ripristino del muro dei muri con la UKexit); la ferita narcisistica di cui soffre da tempo il popolo nordirlandese, mai preso troppo seriamente da Dublino e trattato con sempre maggiore insofferenza da Londra; infine, la UKexit, che innescherebbe un pericoloso ulteriore rischio di declassamento di potenza per Londra, non proprio salutare per i quasi due milioni di abitanti nordirlandesi.
Quali prospettive per il conflitto nordirlandese di fronte ai nuovi scenari imposti dalla Brexit?
L’otite per il malandato orecchio irlandese tornerà a dolere e saranno le sei contee nordirlandesi ad avvertire i dolori più forti, qualunque sia la forma che il divorzio tra l’ammaccata Albione e la spavalda Unione Europea prenderà. L’eventualità di un ripristino di un confine visibile (perché di questo eventualmente si tratta visto che la sostanza statuale del confine non è mai stata intaccata), una volta attuato il cuore della UKexit (la Gran Bretagna non esiste come soggetto giuridico internazionale, esiste solo il Regno Unito), regalerebbe un pretesto magnifico per il nazionalismo repubblicano alla ricerca di (legittimi) pretesti con cui riaccendere le polveri: la fine del cosiddetto confine poroso (libera circolazione di genti e merci tra le due sezioni dell’isola di smeraldo) e la sua ri-statualizzazione cioè rimilitarizzazione (questa la narrazione che circola), innescherebbero la rivolta, perché ciò equivarrebbe a una sorta di archiviazione della causa indipendentista. Se al contrario la Ukexit prevedesse la permanenza dell’Irlanda del Nord nel centro di gravità economico dell’Unione Europea (per semplificare), allora a ribellarsi sarebbero gli unionisti, contrari a qualunque ipotesi (di qualsiasi natura) di sganciamento dallo schermo ukiano. In ogni caso il caos.
Quale futuro, a Suo avviso, per l’Irlanda del Nord?
Quattro sono le opzioni sul tavolo per gestire il futuro dell’Irlanda del Nord post-UKexit, per evitare la ricaduta (plausibilissima) nella buona guerra, la guerra civile: umiliante ripresa dell’amministrazione diretta da parte di Londra; secondo, ripresa di un esecutvo di power-sharing dopo ulteriori elezioni e convocazione in data da definirsi di un referendum che decida sull’ipotesi di NIRexit dal Regno Unito e reintegrazione con l’EIRE; ulteriore partizione delle sei contee, cercando di garantire una certa omogeneità etnica dei due futuri territori sorti da questo ennesimo cesareo geopolitico, e loro agganciamento uno all’EIRE, l’altro al Regno Unito (sempre nell’ottica di evitare la guerra civile); indipendenza delle sei contee cioè scelta della statualità, con l’Irlanda del Nord che diventa il 194esimo stato del sistema internazionale, uno stato peraltro dalle capabilities di tutto rispetto. Tavolo attorno al quale stanno seduti anche i numerosi scaltri e famelici agenti internazionali del caos, intenzionati a destabilizzare l’ex regina degli oceani per indebolirla ulteriormente o, al contrario, costringerla a reagire.
Luca Bellocchio è nato a Lecco e vive a Milano. Insegna Geopolitica e Grandi Potenze e collasso del sistema internazionale presso l’Università degli Studi di Milano. È docente presso la Scuola di Giornalismo “Walter Tobagi” di Milano, presso la Scuola per Politici e Amministratori di Enti Locali e Regioni di Cesano Maderno ed è membro del Comitato Scientifico della Scuola Politica Gibel di Palermo. È autore di numerosi libri e saggi, tra questi: Londington? (2005), Fine dello stato o stato senza fine? (2005), Anglosfera (2006), I forzati del progresso (2007), Il futuro dei rapporti euro-americani e la fine del sistema internazionale (2008), L’Italia post-unitaria: politica estera e liberalismo (2009), Dissipatio Europae? (2010), Ricalibrare la politica estera nel sistema internazionale unipolare (2011), Isolazionismo globalista. La politica estera di Trump (2017), Germania, una grande (im)potenza in ascesa (2018), Putin e la sua Russia. Un’analisi geopolitica (2019).