
Dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, l’Italia si trovò ad affrontare un difficile dopoguerra. Con la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 che fu una resa incondizionata e la successiva guerra civile, il paese era uscito malconcio dal conflitto mondiale.
Il 4 aprile 1949, l’Italia, fu uno dei paesi fondatore della NATO (Nord Atlantic Teatry Organization) assieme a Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Inghilterra e Stati Uniti.
Il Trattato aveva una durata infinita. Consentiva anche una cooperazione e una consultazione permanente nei campi politico, economico e militare.
I paesi firmatari dichiararono il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi. Si riaffermò la propria fede nei principi dell’ONU e tutti si impegnarono a mantenere la pace e la sicurezza internazionale e a favorire la stabilità e il benessere nella regione dell’Atlantico settentrionale.
Perché ciò potesse avvenire, tutti i firmatari assunsero vari impegni in diversi campi. Si impegnarono ad astenersi dal ricorso alla minaccia o all’impiego della forza in modo incompatibile con gli scopo delle Nazioni Unite. Inoltre si impegnarono ad evitare ogni contrasto tra le rispettive politiche economiche internazionali e ad incoraggiare la loro reciproca collaborazione economica.
Tutti i paesi contraenti il Trattato adottarono una politica di sicurezza fondata sul diritto inalienabile all’autodifesa individuale e collettiva sancito dall’articolo 51 dello Statuto dell’ONU, pur affermando, nello stesso tempo, l’importanza della cooperazione reciproca in altri campi.
Il Trattato era composto da 14 articoli, preceduti da un preambolo. Si sottolineò che l’Alleanza era stata costituita nel quadro dello Statuto dell’ONU, mettendo in evidenza le finalità principali.
Era già iniziata la Guerra Fredda. Il termine Guerra Fredda fu utilizzato per la prima volta dal giornalista inglese George Orwell nell’ottobre del 1945. Non ebbe nessun eco la nuova definizione fino a che due anni dopo, il politologo americano Walter Lippman in una serie di articoli pubblicati nel New York Herald Tribune rese celebre la definizione.
La metafora rappresentò il confronto tra gli USA e l’URSS, la loro rivalità ideologica, il loro status di superpotenze, le sole, come aveva detto Napoleone un secolo e mezzo prima, a cui potesse essere data rilevanza mondiale. Un confronto che non poteva divenire una guerra perché la grande potenzialità degli armamenti nucleari avrebbero portato alla distruzione dell’umanità.
Fu una guerra non combattuta ecco perché definita fredda che però si riflettè sulle guerre locali che in tutti i continenti ci furono nel secondo dopoguerra. Convenzionalmente, quando si parla di Guerra Fredda, si intende il periodo che va dal 1947 fino al 9 novembre 1989 quando ci fu l’abbattimento del muro di Berlino. Nella realtà la conclusione vera e propria della Guerra Fredda fu nel 1991 con la dissoluzione dell’URSS.
Nel teatro geostrategico dell’Europa, durante la Guerra Fredda, l’Italia ebbe un ruolo molto importante nella NATO.
La penisola italiana confinava ad est con l’Austria paese neutrale e la Jugoslavia, paese non allineato da dove, secondo i piani difensivi della NATO, sarebbe arrivato l’attacco delle forze militari aderenti al Patto di Varsavia.
L’importanza del nostro paese fu testimoniata, dai primi anni ’50 fino agli anni 90 del secolo scorso, nel nord est che fu militarizzato con reparti dell’aeronautica, esercito e americani che dovevano presidiare la cosiddetta Soglia di Gorizia, la zona da dove sarebbe arrivato l’attacco delle forze corazzate ungheresi.
Sin da fine ‘800, la zona fu strategicamente molto importante, perché ai confini con l’Austria Ungheria per cui l’Italia, dagli inizi del ‘900, costruì in Friuli una serie di fortificazioni permanenti per la difesa dei confini.
Il ruolo dell’Italia fu sempre difensivo anche se nella prima guerra mondiale, fu l’Italia ad attaccare l’Austria Ungheria.
Il confine orientale fu al centro del secolo breve, così definito dallo storico Hobsbawm, perché da lì partì la grande guerra con l’attentato di Sarajevo, fu al centro della 2ª guerra mondiale e poi con la questione di Trieste che si risolse solo nel 1954. L’Italia rappresentò anche in quel frangente il confine tra la NATO e il Patto di Varsavia e gli alleati, con la loro occupazione della città giuliana testimoniarono il loro appoggio al nostro paese con mezzi e materiali.
Nel corso degli oltre 40 anni della contrapposizione tra i due blocchi, le varie esercitazioni della NATO che si svolgevano nel nostro territorio, erano nel confine di nord – est, per testare nuovi armamentI e strategie ma anche per far capire a chi era dall’altra parte della Cortina di Ferro che le forze militari alleate erano addestrate e pronte all’azione in qualsiasi momento.
Ci furono dei momenti di tensione durante la Guerra Fredda, come la crisi dei missili di Cuba, dell’ottobre 1962, quando si arrivò molto vicino ad una guerra nucleare che fu scongiurata grazie all’intervento del Papa Giovanni XXIII e di altre personalità. La crisi si risolse, grazie ad un accordo fra USA ed URSS che prevedeva che le installazioni con missili Jupiter fossero dismesse sia in Italia che in Turchia. Anche da questo indizio risulta evidente la grande importanza geostrategica del nostro paese.
Con la caduta del Muro di Berlino e la conclusione della Guerra Fredda, vennero resi noti documenti del Patto di Varsavia. Uno prevedeva un attacco atomico con il bombardamento di Verona, ritenuta una zona molto importante perché aveva sede il comando delle forze terrestri della NATO.
Durante il periodo di tensione fra i due blocchi, ci furono dei momenti di tensione ma soprattutto negli anni ’70, con il Presidente USA Richard Nixon, ci fu la distensione. Questo non volle dire un disarmo delle forze militari ma solamente un allentamento della tensione che ritornò ad essere alta, agli inizi degli anni ’80, con il nuovo presidente Ronald Reagan che definì l’URSS come l’Impero del Male.
Gli anni ’70, portarono ad una grande riforma della forze armate italiane, in linea con le direttive della NATO con l’ammodernamento dei mezzi e materiali, tenendo conto delle nuove strategie che però non ridusse l’importanza geostrategica dell’Italia perché il pericolo di un’invasione delle truppe del Patto di Varsavia rimaneva.
Durante l’esercitazione NATO Able Arch del 1983, che si svolgeva ogni anno, si alzarono in volo dei bombardieri sovietici con bombe atomiche perché da parte sovietica si era capito che l’esercitazione fosse un primo passo per un attacco della NATO. Il tutto si risolse con delle dichiarazioni degli esponenti delle due grandi potenze che determinarono la fine del clima di allarme.
La caduta del Muro di Berlino del novembre 1989 diede l’inizio alla conclusione della Guerra Fredda che ebbe termine nel 1991 con la dissoluzione dell’URSS. Ciò comporto per l’Italia un cambiamento del suo ruolo geostrategico nella NATO: il pericolo non sarebbe più giunto dall’est perché un po’ alla volta i paesi del Patto di Varsavia entrarono nella NATO, non rappresentarono più un pericolo ma ci si doveva difendere da un attacco proveniente da sud. Un primo sentore si era verificato nel 1986 con il lancio di missili Scud verso Lampedusa dalla Libia di Gheddafi.
Ancor’oggi percorrendo il Friuli Venezia, Veneto e Trentino Alto Adige si vedono caserme dismesse, fortificazioni, aeroporti militari, basi missilistiche che sono testimoni di quel periodo, molto vicino ai tempi odierni.
L’Italia ancor’oggi ha una sua importanza geostrategica per la NATO, diversa dal periodo della Guerra Fredda.
Come si articolava il sistema difensivo installato in Italia dalla NATO durante la Guerra Fredda?
Fin dalla nascita, la NATO elaborò delle strategie per opporsi ad una eventuale invasione delle forze sovietiche e dei paesi sotto il loro controllo.
La prima fu nel settembre del 1950. Si basava sulla dottrina della difesa avanzata. Prevedeva il mantenimento di forze convenzionali schierate a ridosso di confini con il blocco contrapposto per fermare l’invasione quanto più ad est possibile. Subito si capì che avrebbe richiesto ai Paesi dell’Europa occidentale più tempo del previsto a causa delle elevate spese occorrenti, a fronte di economie nazionali che non si erano ancora ripresa dallo sforzo bellico. Pertanto lo schieramento sul territorio europeo, compresa l’Italia, di ingenti forze americane era una condizione indispensabile.
Le forze militari della NATO stanziate in Italia dipendevano, da SHAPE (Supreme Headquaters Allied Power Europe), il Comando supremo della NATO in Europa con sede prima a Casteau in Francia e poi a Mons in Belgio guidato da un generale americano a 4 stelle che aveva alle dipendenze i seguenti comandi:
- del Nord – Europa (AFNORTH con sede a Oslo),
- del Centro – Europa (AFCENT; sede trasferita nel 1967 da Fontainebleau a Maastricht, nei Paesi Bassi),
- del Sud – Europa (AFSOUTH con sede a Napoli)
AFSOUTH aveva giurisdizione sui paesi del Sud Europa (Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, Turchia ed i mari circostanti) in AFSOUTH vi era anche una rappresentanza francese che manteneva i contatti con la NATO a quel livello.
AFSOUTH che era anche responsabile su tutto il mediterraneo, aveva stretti contatti con il Comando della 6^ flotta americana (COMSTRIKEFORCESOUTH) il cui comando era a Gaeta
- Il Comandante di AFSOUTH, era chiamato CINCSOUTH (COMMANDER IN CHIF SOUTH) come gli altri che si chiamavano CINCNORTH e CINCENT
- AFSOUTH era composto da 3 Comandi:
- LANDSOUTH comando terrestre,
- NAVSOUTH comando navale
- AIRSOUTH comando aereo
Per quanto attiene al territorio Italiano:
FTASE (Forza Terrestri Alleate Sud Est in Verona)
Oltre alla struttura delle forze armate italiane appena descritta, nel nostro paese ci furono dei comandi della NATO.
Nel nuovo quadro strategico, nel settore italiano il pericolo poteva provenire dalla cosiddetta Soglia di Gorizia da dove poteva provenire un’invasione delle forze sovietiche.
Dal 10 luglio 1951 fu installato a Verona il Comando delle forze terrestri alleate del sud Europa (F.T.A.S.E. per l’Italia e Headquarters Allied Land Forces Southern Europe, più brevemente LANDSOUTH per la NATO) guidato da un generale di corpo d’armata italiano.
Il comando NATO di Verona era composto da uno Stato maggiore comprendente personale italiano, americano, tedesco, greco e portoghese e turco. Inoltre erano presenti ufficiali di collegamento con la VI flotta americana e con il comando delle forze navali del sud Europa, NAVSOUTH, un ufficiale di collegamento con CENTAG (il gruppo di armate responsabile del fronte tedesco centro – meridionale) e un ufficiale di collegamento francese distaccato da AFSOUTH.
La scelta cadde sulla città scaligera per la sua posizione e perché ospitava vari reparti dell’esercito italiano. La maggior parte della forza armata, in caso di guerra, era assegnato alla NATO, ma si conservò la dipendenza di comando dalla catena gerarchica italiana mentre per la pianificazione fu concordata fra lo Stato maggiore e la NATO che ebbe la direzione ed il controllo dell’attività addestrativa.
Oltre al comandante, c’erano un Capo di Stato Maggiore e due sottocapi di Stato Maggiore, uno operativo italiano e uno logistico – amministrativo americano, da cui dipendevano vari uffici.
Alle dipendenze della grande unità c’erano i corpi d’armata, 3°, 4° e 5°, il battaglione di supporto psicologico logistico Monte Grappa, gruppo misto di telecomunicazioni e tutte le forze alleate presenti nel nord.
In situazione di guerra, FTASE avrebbe avuto alle dipendenze il 3°, 4° e 5° Corpo d’Armata per un totale di 20 brigate a cui si potevano aggiungere, se ci fosse stato un preallarme sufficiente per consentire l’afflusso e il rischieramento, unità di rinforzo assegnate alla NATO in quel settore; la 1ª Brigata mista portoghese e la 30ª brigata della North Carolina National Guard.
Un altro elemento era la fortificazione permanente dislocata al confine montano tra Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli e quella collinare di pianura nella Venezia Giulia tra i fiumi Torre e Tagliamento.
Questo per la difesa terrestre.
Per la difesa aerea, dipendente da AIRSOUTH, aveva giurisdizione in tutta la penisola la 5ª ATAF (Allied Tactical Air Force). Il Comandante della regione sud dell’alleanza (CINCSOUTH) con sede a Napoli, esercitava il comando di tutte le forze aeree della regione attraverso un comando subordinato AIRSOUTH sempre nella città campana che a sua volta affidava il controllo operativo dello spazio aereo italiano al Comandante della 5ª ATAF. Egli, sulla base delle direttive ricevute e d’intesa con i comandanti delle forze terrestri e navali interessate, indicava gli obiettivi particolari che dovevano essere raggiunti nel quadro della battaglia aerea, fissava la ripartizione percentuale degli sforzi che dovevano essere dedicati alle singole forme di intervento e determinava particolari aspetti procedurali che si dovevano applicare nell’uso dello spazio aereo.
I comandi di AFSOUTH, LANDSOUTH e 5ª ATAF avevano la sede di guerra in dei bunker antiatomici chiamati Proto per il comando di Bagnoli mentre per quello di Verona West Star e la sede alternata di Back Yard.
La grande unità per l’impiego dei reparti aerei e nello scacchiere disponeva di uno specifico Centro operativo di Regione Aerea (ROC). Il 1° ROC aveva sede a Monte Venda, sui Colli Euganei, in provincia di Padova, il 2° ROC, attivo fino al 1976, a Monte Cavo, sui Colli Albani, vicino a Roma e il 3° ROC a Martina Franca, in provincia di Taranto.
Tutti e tre i comandi, avevano sede operativa in galleria.
Da essi dipendeva la catena radar con i seguenti enti:
Nel 1974, i radar furono denominati CRAM (Centri Radar Aeronautica Militare).
– 11° CRAM Poggio Renatico;
– 12° CRAM Mortara;
– 13° CRAM Lame di Concordia;
– 14° CRAM Potenza Picena;
– 15° CRAM Capo Mele;
– 16° CRAM Monte Telegrafo;
– 17° CRAM Monte Scinauz;
– 21° CRAM Poggio Ballone;
– 22° CRAM Licola;
– 23° CRAM Capo Frasca;
– 31° CRAM Jacotenente;
– 32° CRAM Otranto;
– 33° CRAM San Giovanni Teatino;
– 34° CRAM Siracusa;
– 35° CRAM Marsala;
– 36° CRAM Isola Capo Rizzuto.
Nel 1985, ci fu una nuova ridenominazione dei gruppi radar CRAM a GRAM (Gruppi Radar Aeronautica Militare).
L’organigramma era il seguente:
– 11° GRAM Poggio Renatico;
– 12° GRAM Mortara;
– 13° GRAM Lame;
– 14° GRAM Potenza Picena;
– 15° GRAM Capo Mele;
– 17° GRAM Monte Scinauz;
– 21° GRAM Poggio Ballone;
– 22° GRAM Licola;
– 23° GRAM Capo Frasca;
– 31° GRAM Jacotenente;
– 32° GRAM Otranto;
– 33° GRAM San Giovanni Teatino;
– 34° GRAM Siracusa;
– 35° GRAM Marsala;
– 36° GRAM Crotone.
A seguito del lancio di missili libici verso Lampedusa, nel 1986, l’aeronautica militare italiana installò una testata remota.
Un altro elemento della difesa aerea, era la 1ª Aerobrigata con sede a Padova e aveva alle sue dipendenze 12 basi missilistiche con il sistema Nike fino al 1977, divise nel seguente modo:
– 16° Reparto IT con sede a Treviso;
56° Gruppo IT con sede a Cà Tron;
57° Gruppo IT con sede a Ceggia;
58° Gruppo IT con sede a Cordovado;
59° Gruppo IT con sede a Monte Pizzoc.
– 7° Reparto IT con sede a Vicenza;
64° Gruppo IT con sede a Monte Grappa;
65° Gruppo IT con sede a Montichiari;
66° Gruppo IT con sede a Monte Toraro;
67° Gruppo IT con sede a Monte Calvarina.
– 17° Gruppo IT con sede a Padova;
72° Gruppo IT con sede a Bovolone;
79° Gruppo IT con sede a Zelo;
80° Gruppo IT con sede a Bagnoli;
81° Gruppo IT con sede a Chioggia.
Sempre alle dipendenze della 5ª ATAF, c’erano anche 15 basi missilistiche armate con il sistema missilistico Hawk al comando del comando artiglieria controaerea con sede a Padova con la seguente dislocazione:
– 5° Reggimento artiglieria contraerea con sede a Mestre:
1° Gruppo:
Sito 1 Plasencis;
Sito 2 Terzo di Aquileia;
Sito 3 San Giorgio di Livenza;
Sito 4 Fontanafredda;
2° Gruppo:
Sito 5 Peseggia;
Sito 6 Conetta;
Sito 7 Marzanata di Trecenta;
Sito 8 San Rocco di Longare;
– 4° Reggimento artiglieria contraerea con sede a Mantova:
2° Gruppo:
Sito 9 Povegliano Veronese;
Sito 10 Camatte di Suzzara;
Sito 11 Manerbio;
Sito 12 San Fioriano di Codogno;
Sito 13 Zibello;
1° Gruppo:
Sito 14 Vallibasse di Comacchio;
Sito 15 Castiglione di Cervia;
Sito 16 Passano di Coriano.
Una parte importante nel sistema difensivo della NATO erano le trasmissioni. Per le comunicazioni con i vari comandi della NATO gestiti dal comando FTASE erano i seguenti:
– Sito A (Back Yard);
– Sito B (West Star);
– Sito C (Volta Mantovana);
– Sito D (Monte Maddalena);
– Sito E (Monte Alto, Nanto);
– sito F (Monte La Gusella, Romano d’Ezzelino);
– Sito G (Caneva);
– Sito J (Pian del Cansiglio);
– Sito W (Velo Veronese);
– Sito T (trasmittente, con frequenza HF, Sant’Anna del Faedo);
– Sito R (ricevente con frequenza HF, Erbezzo);
– Monte Tondo, Negrar;
– Bunker San Michele, Cavaion Veronese;
– Ponte Radio Base 1;
– Ponte Radio Base 4;
– Ponte Radio Base 5.
Un altro sistema di comunicazione era il “Troposcatter”. In questo modo si trasmetteva su due segnali distinti e diversi. La stazione ricevente selezionava il migliore e ritrasmetteva alla stazione successiva.
Le stazioni in Italia furono le seguenti:
IDGZ, Dosso dei Galli, centro nodale;
IBMZ, Cavriana, centro nodale;
IAVZ, Aviano, centro nodale;
ICEZ, Lame di Concordia, centro nodale;
IVTZ, Monte Venda, terminale;
IMXZ, Monte Giogo, centro nodale;
ITLZ, Allumiere, centro nodale;
IMCZ Monte Cavo, terminale;
IICZ, Monte Epomeo, centro nodale;
IMNZ, Monte Vergine, centro nodale;
IVUZ, Monte Vulture, centro nodale;
IIAZ, Iacotenente, centro nodale;
IPFZ, Pietrafiaccata, centro nodale;
IMAZ, Martifranca, terminale;
IMMZ, Monte Mancuso, centro nodale. Da questa stazione c’era il collegamento con la Grecia e la Turchia attraverso la stazione di Kefallinia, GKFZ;
ICZZ, Monte Lauro, centro nodale. Da qui si diramava una linea verso Malta, MGAZ.
Quale era l’importanza della «soglia di Gorizia»?
La “soglia di Gorizia” era il luogo indicato nei piani strategici difensivi della NATO da dove sarebbe giunto l’attacco principale delle forze militare del Patto di Varsavia. Secondo le informazioni raccolte dallo spionaggio della NATO, le forze avversarie si sarebbero raggruppate sul lago Balaton in Ungheria e da lì, le forze corazzate si sarebbero mosse per invadere il nord – est italiano.
Un attacco secondario si sarebbe svolto nella Sella di Dobbiaco e dal Passo del Brennero.
Il maggior sforzo offensivo sarebbe stato per via terrestre, con l’appoggio delle forze aeree.
Tutti gli ufficiali che operarono durante la Guerra Fredda sentirono parlare della “soglia di Gorizia”. L’importanza del luogo era il facile accesso alla pianura friulana e veneta perché c’erano pochi ostacoli naturali, rappresentati dalle colline del Carso.
Per la difesa diretta della “soglia di Gorizia”, era stata approntata la fortificazione permanente in Friuli Venezia Giulia, presidiata dai reparti degli alpini e fanti d’arresto.
Non sono le opere, ma anche le opere accessorie come i campi minati e in generale tutto lo schieramento delle forze militari della NATO schierate al confine di nord – est erano per la difesa di quel famoso punto del confine.
Basta visionare una cartina dell’epoca, indicante la dislocazione delle basi missilistiche dell’aeronautica e dell’esercito, gli aeroporti militari, solo per citare dei reparti e risulta evidente che erano tutti rivolti verso il nord – est e la “soglia di Gorizia”.
Una volta sfondata la prima linea e travolte le fortificazioni, la via verso i centri più importanti del nord – est italiano era aperta senza molti ostacoli per l’avanzata delle forze corazzate ungheresi, che secondo i calcoli degli strateghi della NATO dovevano essere molto numerose rispetto alle forze dell’Alleanza Atlantica.
L’attacco si sarebbe svolto in poco tempo con l’obiettivo ultimo di mettere fuori gioco l’Italia.
Quale funzione avevano i reparti d’arresto?
Nel corso dei secoli, la funzione della fortificazione permanente è sempre andata di pari passo con gli armamenti. Fin dai tempi antichi, con le prime fortificazioni che furono i Nuraghi, in Sardegna, per passare ai castelli medievali, alle cittadelle fortificate e alle fortificazioni della 1ª e 2ª mondiale, ci fu sempre la dualità fra armamento e fortificazione.
A partire dai primi anni ’50, fu lasciata da parte l’idea di ricostituire la Gaf (Guardia alla Frontiera), le truppe che avevano presidiato le opere del Vallo Alpino del Littorio, per costituire un nuovo reparto che avesse il compito del presidio della nuova fortificazione permanente.
Il 31 luglio 1950, lo Stato Maggiore dell’Esercito costituì il 55° reggimento fanteria del 1° battaglione da posizione con il compito di presidiare le fortificazioni della frontiera orientale che era ritenuta la zona più insidiosa.
L’organico di questo nuovo reparto era su compagnie mitraglieri e compagnia cannoni controcarro, articolata su 4 plotoni che dipendeva dall’entità dei capisaldi da presidiare e dal numero di cannoni presenti.
Il 31 dicembre 1951, in attesa della struttura definitiva dei battaglioni, lo Stato Maggiore decise di costituirne un secondo da posizione presso il Comando Militare Territoriale di Padova (V C.M.T.) e uno di posizione a Bolzano al IV C.M.T. Le due nuove unità furono denominate XI battaglione e XXI battaglione da posizione. Gli enti incaricati di costituirli furono l‘8° e 6° reggimento alpini.
In Alto Adige e nell’alto Veneto, dal 1963, con la nuova denominazione, i Battaglioni Alpini d’Arresto furono:
– Battaglione Alpini d’Arresto Val Cismon, con sede a Santo Stefano di Cadore. Aveva alle dipendenze le opere di Passo Monte Croce Comelico, Braies e Landro Nord;
– Battaglione Alpini d’Arresto Val Brenta, con sede a Brunico. Aveva alle dipendenze le opere di Prato Drava, Versciaco, Dobbiaco, Anterselva, Valdaora, Perca, Sares – Mantana, Rio Pusteria;
– Battaglione Alpini d’Arresto Val Chiese, con sede a Vipiteno. Aveva alle dipendenze le opere di Fortezza, Val di Vizze, Colle Isarco, Tenne Novale, Brennero, Saltusio e Passo Resia.
Nel 1976, ci fu lo scioglimento del Val Cismon e la 264ª Compagnia e gli sbarramenti passarono alle dipendenze del Val Brenta. Quando fu sciolta la compagnia, il 30 giugno 1979, la 262ª Compagnia assunse la denominazione di Val Cismon per conservare il nome del battaglione. Lo stesso giorno fu sciolto il Val Chiese. Dal giorno seguente, la 253ª Compagnia, l’unica rimasta in vita e gli sbarramenti del disciolto battaglione passarono alle dipendenze del Val Brenta. L’unità da quel giorno fino alla dismissione delle opere fu l’unica a gestire le fortificazioni.
Nell’alto Friuli, nel 1963, a seguito della trasformazione dei Raggruppamenti, nacquero il Battaglione Alpini d’Arresto Val Fella, Val Natisone e Val Tagliamento. Già l’anno successivo venne sciolto il Val Natisone e dopo la ristrutturazione del 1975, rimase solamente il Val Tagliamento che fu sciolto nel 1992.
Passando alla fanteria d’arresto, fu la specialità dell’arma di fanteria che fu destinata al presidio delle fortificazioni dislocate nella parte meridionale del confine; in particolar modo lungo le sponde dei principali fiumi che attraversano il Friuli Venezia Giulia.
I corsi d’acqua, rappresentarono un ostacolo naturale che venne potenziato con delle opere fortificate.
Dal 1963 al 1976 le unità della specialità erano:
– 52° Reggimento Fanteria d’Arresto Alpi;
– 53° Reggimento Fanteria d’Arresto Umbria;
– 54° Reggimento Fanteria d’Arresto Umbria, in posizione quadro, da costituire solo in caso di necessità;
– 73° Reggimento Fanteria d’Arresto Lombardia;
– 225° Reggimento Fanteria d’Arresto Arezzo, mai costituito, rimase sulla carta.
Dal 1976 al 1993, i reparti attivi furono:
– 33° Battaglione Fanteria d’Arresto Ardenza, assegnato alla divisione Folgore con sede a Fogliano di Redipuglia;
– 52° Battaglione Fanteria d’Arresto Alpi, assegnato alla divisione Mantova con sede a Tarcento;
– 53° Battaglione Fanteria d’Arresto Umbria, assegnato alla divisione Folgore con sede a Jalmicco;
– 63° Battaglione Fanteria d’Arresto Cagliari, assegnato alla divisione Mantova con sede a San Lorenzo Isontino;
– 73° Battaglione Fanteria d’Arresto Lombardia, assegnato alla divisione Ariete con sede ad Arzene;
– 74° Battaglione Fanteria d’Arresto Pontida, in posizione quadro;
– 120° Battaglione Fanteria d’Arresto Fornovo, assegnato alla divisione Mantova con sede a Ipplis di Premariacco.
I reparti, sia alpini che fanti d’arresto, avevano alle dipendenze vari distaccamenti che assicuravano sul posto l’operatività delle varie opere.