“I Promessi Sposi, un’idea di romanzo” di Franco Suitner

Prof. Franco Suitner, Lei è autore del libro I Promessi Sposi, un’idea di romanzo edito da Carocci: quali sono le principali vicende legate alla nascita del romanzo?
I Promessi Sposi, un’idea di romanzo Franco SuitnerIl romanzo ha avuto una gestazione complessa, che nella prima parte del mio libro cerco di ricostruire, utilizzando ampiamente le tracce che abbiamo negli scritti di Alessandro, in particolare nelle sue Lettere. Decisivo è stato per Manzoni il grande successo dei romanzi storici di Walter Scott, coi quali era venuto a contatto già durante i suoi soggiorni a Parigi. In senso più ampio, tutta la prima parte della “carriera” letteraria di Manzoni può essere interpretata come la ricerca progressiva di forme espressive più realistiche, e la ricerca insieme di avere un contatto con un pubblico via via sempre più ampio: Manzoni passa dalla poesia di stampo classicheggiante a quella storica e religiosa, poi al teatro e infine al romanzo, proprio il genere letterario che consentiva un’espressione in senso assoluto più realistica e garantiva allo stesso tempo il pubblico più ampio col quale un autore a quell’epoca potesse venire in contatto. Il romanzo è poi passato attraverso un complesso processo di rielaborazione, che ha tradizionalmente molto attirato l’interesse degli studiosi. La sua conoscenza, soprattutto se non è fine a se stessa, può aiutare significativamente la comprensione della versione finale dell’opera.

Nel Suo testo Ella dedica particolare attenzione all’edizione illustrata del 1840: come mai?
Gran parte della critica recente ha dedicato molta attenzione alla edizione illustrata del 1840. Manzoni promosse questa edizione direttamente, sperando tra l’altro di ricavare dall’operazione un qualche ritorno economico, considerato che l’edizione del 1827 era diventata un best-seller ma l’autore ne aveva avuto poco giovamento. Pensò anche di corredare l’edizione di illustrazioni, secondo quella che era al tempo una pratica molto fortunata per la pubblicazione dei romanzi in Europa. Il compito fu realizzato da un gruppo di incisori fra i quali il più importante è di gran lunga Francesco Gonin. Bisogna dire che la qualità delle illustrazioni non è elevatissima, e questo probabilmente spiega il fatto che siano state per molto tempo trascurate. Tuttavia Manzoni diede istruzioni dettagliate per la loro realizzazione e per la loro collocazione nel testo, intervenendo spesso anche sui dettagli. Si tratta quindi di una “visualizzazione” dell’opera e dei suoi ambienti e personaggi che, se non è propriamente “d’autore”, è stata certamente da lui accettata e riconosciuta plausibile. Le illustrazioni originali in vari casi spiegano e arricchiscono il significato del testo.

I Promessi Sposi rappresentano il più importante romanzo della tradizione letteraria italiana: quale è stata la loro influenza sulla nostra identità culturale?
L’influenza dei Promessi Sposi è stata molto forte, fin dall’inizio, e ha avuto la sua consacrazione in qualche modo attraverso la pratica della lettura scolastica, sia pure prevista quando gli studenti hanno ancora un’età che non consente loro pienamente di comprendere a fondo la profondità del romanzo. Quando la lettura viene ripetuta in età più matura, fuori dall’obbligo scolastico, costituisce per moltissimi una vera e propria scoperta. A parte questo, i Promessi Sposi presentano tra le altre cose anche un formidabile ritratto dell’Italia, degli italiani, e dei loro pregi e virtù, e sono stati subito riconosciuti dal pubblico come correlati in qualche modo alla nostra identità nazionale. Tra le varie prove che se ne potrebbero indicare ricordo il fatto che molte situazioni descritte nel romanzo, molti suoi personaggi (si pensi a don Abbondio, Azzeccagarbugli, Perpetua, don Ferrante etc.) sono divenuti modelli esemplari di caratteri e comportamenti ritenuti dei tipi quasi eterni, che hanno una vita anche al di fuori del romanzo. Molte frasi e modi di dire sono divenuti proverbiali, entrando a far parte del linguaggio comune. Perfino nella polemica politica attuale non è raro sentirvi fare riferimento.

Il Manzoni nella sua opera presta molta attenzione al dato storico, dedicando ad esempio alle vicende belliche pagine che possiamo definire storiografiche.
Sì, Manzoni credeva fermamente, all’altezza dei Promessi Sposi, alla necessità di offrire un robusto ancoraggio storico al racconto delle vicende dei suoi personaggi d’invenzione, come del resto Walter Scott. Per questo la stesura del romanzo è stata preceduta da vaste letture e ricerche. La ricostruzione storica del romanzo è stata naturalmente anche messa in discussione, in particolar modo per quanto riguarda il giudizio, molto severo, espresso dallo scrittore sul governo spagnolo. Si tratta di un problema molto complesso, e che presenta vari aspetti, cui ho dedicato ampio spazio nel mio libro. Tuttavia non c’è dubbio che la ricostruzione manzoniana, pur discutibile, presenti anche un interesse storiografico. Bisogna osservare inoltre che la conoscenza che la maggior parte degli italiani ha di importanti fenomeni storici come il Seicento lombardo, la figura del cardinale Borromeo, o le vicende dei processi agli untori, deriva proprio dalle pagine manzoniane, ben più che dalla storiografia specialistica su questi argomenti.

Il personaggio di don Ferrante è particolarmente interessante, anche in relazione alla sua professata bibliomania che il Manzoni sembra condannare.
Manzoni non condanna la passione per i libri in generale (lui stesso ha raccolto moltissimi libri nelle biblioteche delle sue case, e celebra il cardinale Federigo fondatore dell’Ambrosiana), quanto il tipo di cultura di don Ferrante, che lui giudica particolarmente attardata e tipica di un secolo, il ‘600, che valuta molto severamente. Don Ferrante è uno specialista delle scienze inutili. Certamente don Ferrante è una vittima del potere di letture sbagliate, come lo è il don Chisciotte di Cervantes. Nulla è più estraneo a Manzoni che il credere che i libri siano importanti a prescindere dalla realtà, o che addirittura possano essere più importanti della realtà, una concezione quest’ultima che ha invece avuto molta fortuna nella cultura a noi più vicina. Insieme alla satira della cultura attardata del tempo quella di don Ferrante è anche la satira affettuosa di una figura particolare, quella del “dotto di provincia” che desidera mettersi in competizione con gli autori più acclamati.

I Promessi Sposi sono un romanzo profondamente cattolico, in cui la religiosità traspira da ogni pagina: nel Suo testo si adombra un’eco giansenista sull’opera.
Affermare tout-court che Manzoni sia stato un giansenista sarebbe sbrigativo, e non vi sono probabilmente gli estremi per farlo. Si tratta di un problema complesso, e non posso qui che rimandare a quanto scrivo nel libro. Tuttavia non c’è alcun dubbio che la conversione religiosa dei coniugi Manzoni si è svolta con l’assistenza di sacerdoti giansenisti, seguendo programmi di letture fortemente caratterizzati da autori e pensatori di quella ispirazione. È probabile che sulle questioni dogmatiche più importanti coinvolte dal movimento Manzoni si sia interrogato solo in un periodo della sua vita, probabilmente sospendendo il giudizio su alcuni temi difficili e controversi. Per il resto, la religiosità manzoniana presenta caratteristiche di austerità, di intransigenza morale e di sensibilità generale che certamente devono molto alle tante ammiratissime letture “gianseniste” di Alessandro e di Enrichetta Blondel, per cui negarlo significa negare l’evidenza. È assolutamente corretto riconoscere che la religiosità manzoniana è sicuramente intinta di venature gianseniste, e il tenerlo presente aiuta la comprensione del romanzo.

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