
La sua morte non avrebbe portato, a differenza di quella del sovrano, a un cambiamento di ordine politico e sociale. Ma come il re, e forse più di lui, costituiva un simbolo: e se l’uno era stato cancellato con la morte, l’altro non avrebbe mai potuto aspirare alla grazia dell’esilio.
Dopo l’esecuzione di Maria Antonietta il dubbio e la paura del diffondersi di un nuovo sentimento monarchico non fecero che portare i partiti all’autodistruzione con l’inaugurazione del periodo del Terrore, che ebbe tra le sue vittime alcuni dei suoi stessi sostenitori tra cui Maximilien de Robespierre.
Durante la Restaurazione, anche per Maria Antonietta si aprì un periodo di mitizzazione della sua figura. Lo stesso Napoleone I decise di prendere in sposa la futura duchessa regnante di Parma, Piacenza e Guastalla Maria Luigia d’Austria – figlia dell’imperatore Francesco II e pronipote di Maria Antonietta – allo scopo di suggellare la pace tra Francia e Austria e omaggiare la monarchia che segnò la fine dell’ancien régime.
Quali falsità sulle figure di Luigi XVI e Maria Antonietta si sono tramandate?
Se Luigi XVI doveva essere riconosciuto colpevole soprattutto dalle alte sfere della nuova realtà repubblicana, Maria Antonietta doveva esserlo anche per il più umile cittadino. Se la morte del re doveva servire per convincere la nazione che la Rivoluzione era giusta e per permettere a essa di risorgere come libera, uguale e definitivamente affrancata dalla monarchia, la morte della regina doveva servire al popolo come riscatto per tutti i soprusi patiti.
Durante il processo, a Luigi XVI furono contestati fatti la cui responsabilità venne ingiustamente fatta risalire alla sua persona, tra cui le repressioni militari eseguite da Bouillé o quella civile del Campo di Marte, i primi insuccessi dell’esercito francese e la resa di Verdun. L’interrogatorio, condotto da Bertrand Barère, s’installò su accuse alcune delle quali risultarono illegali in quanto si riferivano a fatti – eventualmente – avvenuti prima dell’accettazione della Costituzione e della grande amnistia politica promulgata in quella occasione.
Le falsità tramandate su Maria Antonietta durante il suo processo furono, però, ancora più eclatanti. Tra le tante spiccano l’essersi macchiata di incesto con il figlio e la partecipazione all’orgia del 1° ottobre 1789 in occasione del banchetto delle guardie del corpo della famiglia reale, voci avvalorate dai libelli scandalistici e dalle deposizioni dei nemici della regina. Soprannominata l’“Austriaca”, per tutti coloro che non la sostenevano era la spia inviata dagli Asburgo allo scopo di nuocere alla Francia e la sobillatrice del re che la stessa Nazione aveva messo a morte. Le incriminazioni, soprattutto quella totalmente infondata d’incesto col figlio Luigi Carlo, avevano lo scopo di smuovere anche l’opinione pubblica più semplice e analfabeta che era stata toccata dal politico processo al re soltanto per via indiretta.
Che tipo di potere era quello incarnato dal re di Francia?
L’ufficio dei re si fondava su un diritto divino e le loro persone dovevano essere considerate sacre: un simile diritto e una tale sacralità, però, non apparteneva loro in quanto uomini ma solo in quanto re, e sarebbero venuti entrambi meno in caso di perdita del titolo. I sovrani, per provvedere agli scopi del governo, vennero pertanto elevati al di sopra degli altri uomini i quali avevano l’obbligo di riverirli. Al vertice della gerarchia temporale e al di sopra dei signori stava quindi il Re di Francia, incarnazione ereditaria dell’antica monarchia: un re assoluto, i cui diritti procedevano soltanto da Dio; “padre” di tutti i suoi sudditi; proprietario eminente del regno intero e proprietario diretto di vastissimi possedimenti fondiari; detentore infine di tutti i poteri che oggi siamo abituati a distinguere, ossia l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario.
Come si sviluppò in Francia la giuria penale?
L’istituzione della giuria penale, stabilita col decreto n° 1310 del 16-29 settembre 1791 – Décret concernant la police de sûreté, la justice criminelle et l’établissement des jurés – trasformato in legge il 21 ottobre dello stesso anno, costituì uno dei capisaldi dell’attività riformatrice della Costituente.
Negli anni seguenti l’idea di un’urgente riforma penale che meglio tutelasse le ragioni dell’innocente si fece sempre più insistente.
La distinzione tra giudizio sul fatto e giudizio sul diritto affidati a organi diversi e, più in generale, il modello inglese – sebbene non fu l’unico a essere preso in considerazione – influì in modo considerevole sull’introduzione nel continente di un istituto di common law.
Quello che si contestava al sistema giudiziario dell’ancien régime era il fatto che il medesimo collegio dei giudici aveva il duplice compito di accertare il fatto e di applicare la legge: ciò poteva verosimilmente condurre alla creazione di una maggioranza – per la condanna o l’assoluzione – inesistente nella realtà. Soltanto la formale separazione tra il giudizio sul fatto e il giudizio sul diritto inducevano a suggerire che le due operazioni venissero affidate a uomini diversi. Nonostante alcuni dubbi persistenti, l’Assemblea rivelò propositi di innovazione che non lasciarono spazio alle tesi conservative del passato: la volontà di cambiare le radici del sistema penale era così forte e così efficace era stata la penetrazione dell’idea della giustizia dei pari, che la giuria penale fu acquisita in tempi brevissimi.
Come fu possibile processare Luigi XVI e sua moglie?
La Rivoluzione francese non si proponeva soltanto di cambiare un antico Governo, ma di abolire la vecchia forma della società, e per fare questo essa dovette attaccare contemporaneamente tutti i poteri costituiti e le tradizioni che governavano la società da secoli. Luigi XVI fu la vittima prescelta di questo meccanismo essenzialmente per due ragioni: innanzitutto incarnava la cristianità e il diritto divino che il movimento rivoluzionario pretendeva di minare, laicizzando progressivamente la Francia e i suoi costumi. In secondo luogo, il sovrano era la personificazione dell’assolutismo antidemocratico in netto contrasto con gli ideali di libertà e uguaglianza sanciti dalla Rivoluzione. Con l’abolizione della monarchia e l’istituzione della Repubblica, Luigi XVI si rivelò un vero e proprio ostacolo, il più alto antagonista della Rivoluzione. Per scavalcare il problema dell’inviolabilità, gli accusatori si videro costretti a considerare Luigi XVI reo di non aver mai accettato la Costituzione, ovvero il contratto che aveva fatto di lui un re costituzionale: soltanto ritenendo Luigi XVI un traditore ancora prima che diventasse Re dei Francesi la Convenzione poté giudicarlo.
Se l’odio del popolo di Parigi per Luigi XVI era stato principalmente di matrice politica e si era rivolto per lo più al suo ruolo di re che all’uomo, il risentimento che lo stesso popolo nutriva per Maria Antonietta era sia di carattere istituzionale che personale. Maria Antonietta venne appunto scelta come sommo capro espiatorio: se la Nazione, attraverso i suoi rappresentanti, si era vista obbligata a condannare Luigi XVI, era stato perché lei lo aveva aizzato contro il suo popolo e manipolato; se il re era morto era stata colpa della regina.
Quali accuse venivano rivolte ai due sovrani?
Se per Luigi XVI gli accusatori si erano per lo più concentrati a notificargli delitti di carattere istituzionale e governativo, tra cui spiccava la cospirazione contro la libertà della Nazione e l’attentato contro la sicurezza dello Stato, a Maria Antonietta vennero contestate principalmente altre colpe – fondate o meno – indipendenti dal suo ruolo pubblico: adulterio, incesto, dissimulazione, solo per citarne alcune. I crimini principali legati al suo ruolo di regina furono invece ritenuti i seguenti: accordi segreti con esponenti di potenze straniere, compresi i suoi fratelli, prìncipi emigrati e generali traditori; invio di denaro all’estero per aiutarli; e, infine, cospirazione con queste potenze contro la sicurezza dello stato francese, sia all’interno che all’estero.
Quali vicende segnarono i processi e chi ne furono i protagonisti?
Tra i tanti mi sento di citare Robespierre: fu lui, dopo la scoperta del compromettente armadio di ferro di Luigi XVI, a pronunciare un decisivo discorso davanti alla Convenzione che poi processò il sovrano. Fu sempre lui ad accanirsi dopo l’esecuzione del re su Maria Antonietta; Robespierre, infatti, riportò l’attenzione sulla permanenza della regina nella prigione del Tempio e sulla questione irrisolta della sua punizione: contestava il fatto che una persona non meno colpevole del defunto Luigi XVI, e non meno accusata dalla Nazione, fosse lasciata in pace e libera nella sua prigionia. Fu lui a proporre alla Convenzione che l’ex regina fosse chiamata di fronte al Tribunale rivoluzionario. Il saggio riporta anche un piccolo approfondimento su quest’uomo che, per ironia della sorte, nei suoi ultimi giorni si ritrovò rinchiuso nella cella vicina a quella che nove mesi prima aveva ospitato Maria Antonietta.
Ci furono brogli nelle votazioni?
Mentre il processo al re può essere definito come un percorso riduttivo ma politicamente necessario, complesso e con esito tutt’altro che scontato, quello alla regina fu un vero e proprio «processo burla, con il verdetto già deciso in anticipo».
Durante il processo a Luigi XVI ci furono numerose complicazioni durante le operazioni di voto e conteggio nel momento della sentenza, tanto che alcuni voti vennero ripetuti nei giorni successivi. La sorte di Maria Antonietta, invece, era stata decisa a tavolino e nessun eventuale broglio si rese necessario. La regina venne giudicata unanimemente colpevole di alto tradimento verso la Francia e all’unanimità condannata a morte.
Giorgia Penzo, emiliana, è laureata in Giurisprudenza e in Scienze dell’Educazione. Ama il cinema, la mitologia, l’Art Nouveau, divorare biografie di personaggi storici femminili e scappare a Parigi alla prima occasione. È autrice dei romanzi Ritratto di dama (CartaCanta Editore) e Ogni giorno come il primo giorno (Editrice Nord).