
Tuttavia, le coorti pretorie non furono affatto un’invenzione di Augusto, che pure fu il primo a standardizzarne l’aspetto, la forza e le funzioni. Reparti di soldati scelti posti a protezione del comandante supremo – l’imperator, appunto –, sul campo di battaglia e non solo, sono attestati ampiamente già in epoca repubblicana, a partire da Scipione l’Africano Maggiore, e si moltiplicano in concomitanza con l’ultimo secolo della Repubblica, segnato da feroci guerre civili. Al punto che gli ultimi due protagonisti di queste lotte, Ottaviano (futuro Augusto) e Marco Antonio, disponevano già di numerose coorti pretorie ciascuno, pur senza essere “imperatori” nel significato odierno del termine.
Certo, fu solo a partire dagli immediati successori di Augusto – i Principi della cosiddetta dinastia giulio-claudia –, che i pretoriani assunsero visibilità crescente e un ruolo sempre più di primo piano nelle vicende della successione al trono imperiale, ingerendosi in modo deciso, talora brutale, nei meccanismi di tale avvicendamento. Gli imperatori che dovevano la propria posizione ai pretoriani erano soliti ricompensarli con privilegi superiori persino a quelli di cui già godeva buona parte dell’esercito. Ma non bisogna dimenticare che anche gli altri principali attori della scena politica a Roma, i senatori, ogni volta che potevano brigavano per avere l’ultima parola nella scelta degli imperatori, giungendo se necessario a ordire congiure e complotti, non di rado in combutta proprio con i più alti ufficiali del pretorio.
Inoltre, nonostante i numerosi episodi assai poco edificanti di cui si resero protagonisti, i pretoriani ebbero un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’ordine in una metropoli che contava ormai circa un milione di abitanti, né non smisero mai di svolgere le due principali funzioni ai quali erano destinati: proteggere il Principe e rappresentarne concretamente l’autorità, attraverso l’esibizione dei simboli del potere, in primis quelli legati all’esercizio della forza militare.
Quando nacquero i pretoriani?
Non è possibile stabilire con assoluta certezza quando le coorti pretorie siano diventate la guardia imperiale permanente degli imperatori romani, ma è assai probabile che ciò sia accaduto più o meno in concomitanza con l’adozione da parte di Ottaviano del cognomen “Augusto”. Lo storico greco Cassio Dione, infatti, ricorda che durante la celebre seduta del Senato del 16 gennaio del 27 a.C. Ottaviano, oltre a essere insignito del nuovo titolo, destinato a enorme fortuna, “come primo atto fece subito votare un decreto che assicurava alla guardia pretoriana un compenso doppio rispetto a quello elargito agli altri soldati, in modo tale da disporre di una guarnigione fidata”.
Secondo il medesimo storico, Augusto all’epoca disponeva già di 10.000 pretoriani, un dato che non può essere scartato a priori come eccessivo, se ipotizziamo che ciascuna coorte contasse mille e non cinquecento uomini, come era usuale invece per le coorti legionarie. Altre date significative possono essere considerate il 25 a.C., quando il Principe fondò Augusta Praetoria (Aosta), deducendovi come coloni alcune migliaia di pretoriani appena congedati, e il 2 a.C., quando sempre Augusto creò i primi due prefetti del pretorio, comandanti del corpo e secondi soltanto all’imperatore in persona.
Come era organizzato il corpo?
Il numero delle coorti pretorie, ciascuna delle quali contava 500 o 1000 uomini e, a partire da Settimio Severo (193 d.C.), forse 1500, fu stabilizzato definitivamente a 10 solo sotto Domiziano o Traiano, alla fine del I secolo d.C. In precedenza esso oscillò dalle 9-12 di epoca giulio-claudia e flavia (14-96 d.C.), alle 16-19 del convulso periodo della guerra civile del 69 d.C. Ogni coorte era ripartita in tre manipoli, ciascuno dei quali costituito da due centurie; i soldati semplici di ogni centuria erano raggruppati in squadre di 8 uomini, i quali condividevano la stessa camerata, il contubernium, o la medesima tenda (papilio) durante le spedizioni. Gli ufficiali, invece, erano alloggiati separatamente e godevano di maggiori comodità. Ad ogni coorte era ascritto un cospicuo numero di pretoriani a cavallo, anche se non possediamo cifre sicure in merito.
Al vertice del corpo, come si diceva, erano posti i prefetti del pretorio, il cui numero variò anch’esso nel corso del tempo, e che occupavano il massimo fastigio della carriera equestre. Si trattava di uomini che godevano di influenti aderenze e, talvolta, erano legati addirittura alla famiglia imperiale, ma anche di alti ufficiali di carriera, funzionari o giuristi che si erano messi in luce grazie alle proprie doti. Questi potenti personaggi, tra cui potremmo citare figure celebri come Seiano, Burro, Tigellino, Cleandro, Plauziano, Ulpiano, a poco a poco videro accrescere enormemente il numero e il prestigio delle incombenze affidate loro, anche ben al di fuori dell’ambito militare, soprattutto nella sfera giuridica e amministrativa, fino a diventare gli indispensabili collaboratori dei Principi o, nel caso di imperatori inetti come Commodo (180-192 d.C.), quasi i loro facenti-funzione. Non è un caso che la figura di prefetto del pretorio, seppur trasformata, sia sopravvissuta ben oltre la fine delle coorti pretorie stesse, nel 312 d.C., e che in epoca tardoantica occupasse uno dei gradini più alti all’interno della complessa gerarchia civile dell’impero.
Ciascuna coorte era affidata a un tribuno, anch’esso di rango equestre, equivalente all’incirca a un moderno tenente colonnello. I tribuni erano spesso ex centurioni di lungo corso, dotati di vasta esperienza, che avevano già prestato servizio anche nei corpi di stanza nella capitale. Un tribuno doveva dimostrare di possedere perizia militare, prestanza fisica e rettitudine morale, saper assicurare la disciplina, il decoro e l’addestramento dei soldati, il funzionamento, la sorveglianza e l’approvvigionamento del campo, far rispettare il codice militare, essere reperibile nel quartier generale per dirimere le liti tra i soldati, ispezionare l’infermeria. Sono rari i tribuni che riuscirono ad accedere alla prefettura del pretorio, ma per diversi di loro dopo il congedo si schiudevano le porte della carriera equestre in ambito civile, costituita dalle redditizie e prestigiose procuratele.
Ufficiali subordinati erano i centurioni, equivalenti pressappoco ai nostri capitani e posti al comando delle singole centurie. Dovevano possedere grande forza fisica e abilità nel maneggio delle armi, oltre a saper gestire la truppa e imporle la disciplina, anche con la forza se necessario. Quella del centurionato era la tipica carriera militare destinata a uomini che partivano dalla gavetta, in quanto appartenenti alle classi sociali inferiori. Nonostante questo, dopo decenni di dura fatica, meriti sul campo e raccomandazioni, un centurione poteva ambire al titolo di primuspilus e, da lì, accedere al tribunato e alla carriera equestre, oppure congedarsi con una liquidazione davvero ragguardevole.
Anche i soldati semplici potevano sperare di iniziare un percorso di carriera, soprattutto grazie ai buoni uffici di qualche superiore. I più favoriti erano coloro che possedevano conoscenze e competenze tecniche, stenografiche, contabili, oppure che sapevano suonare gli strumenti a fiato utilizzati per la comunicazione degli ordini: tutti costoro potevano sperare di accedere al rango di principales, una sorta di “graduati di truppa” che godevano di paga accresciuta ed esenzioni dalle corvée. Alcuni di loro, soprattutto quelli che restavano in servizio anche dopo aver maturato gli anni di servizio sufficienti per il congedo (16 a partire dal 6 d.C.), ambivano a diventare beneficiarii, cioè addetti allo staff degli ufficiali o addirittura all’ufficio dei prefetti del pretorio.
Quali mansioni svolgevano?
Le incombenze affidate alle coorti pretorie si moltiplicarono progressivamente nel corso del tempo, perché dall’originaria funzione di protezione dell’imperator in battaglia derivarono mansioni di tutela in senso lato del Principe, ovunque si trovasse, e dello Stato in generale.
Il complesso dei palazzi imperiali sul Palatino era sorvegliato a rotazione ogni giorno da una diversa coorte pretoria, i cui soldati e ufficiali effettuavano turni di guardia agli ingressi e nei luoghi di accesso al colle e pattugliavano dall’esterno edifici e passaggi di transito, per assicurare un perimetro di sicurezza intorno al cuore del potere imperiale e del governo dell’impero. I pretoriani inoltre scortavano l’imperatore nei suoi spostamenti all’interno dell’Urbe, durante le processioni trionfali che si snodavano per le vie più centrali e nei fastosi adventus, gli ‘arrivi’ in città dopo lunghi soggiorni fuori Roma. Ma i Principi erano accompagnati virtualmente ovunque dai pretoriani: ai banchetti, durante festività e celebrazioni pubbliche e ai grandi giochi e spettacoli indetti per dilettare il popolo di Roma.
Va da sé che i pretoriani scortassero l’imperatore anche in qualunque trasferta fuori dalla capitale, in Italia e nelle province, sia che tali viaggi avessero scopo di svago, sia che implicassero ragioni politiche o, soprattutto dal II secolo d.C., militari. Per estensione di tale concetto di protezione, fino almeno dall’epoca di Tiberio (14-37 d.C.) ai pretoriani fu assegnato il compito di scortare anche membri della famiglia imperiale, comprese le donne.
Ma non dobbiamo pensare che, in tal modo, a poco a poco le coorti perdessero la loro precipua natura militare: esse parteciparono alla conquista della Britannia a opera di Claudio, nel 43 d.C., e furono protagoniste con alterne fortune sui campi di battaglia italici nelle guerre civili del 69 d.C., ma soprattutto accompagnarono gli imperatori antonini Traiano (98-117 d.C.), Marco Aurelio e Lucio Vero (161-180; 161-169) nelle loro interminabili campagne danubiane e orientali. Poi, fra III e IV secolo d.C. i pretoriani furono quasi regolarmente impegnati in guerra lontano da Roma e dall’Italia, a causa delle sempre più frequenti guerre civili tra diversi aspiranti alla porpora e della crescente necessità di truppe che affiancassero gli imperatori in tutti i teatri operativi.
Già molto presto, poi, ai pretoriani fu affidato il mantenimento dell’ordine pubblico anche in assenza dell’imperatore, sia nell’Urbe sia, se necessario, altrove in Italia, in particolare durante o prima di spettacoli e competizioni sportive e in occasione di processi a personaggi illustri e grandi parate, oppure quando scoppiavano tumulti di piazza dovuti a proteste contro l’esosità fiscale, le carenze di approvvigionamento, la proclamazione di imperatori sgraditi al popolino. Va anche osservato che molto spesso le coorti si prodigarono in caso di gravi incendi a Roma e a Ostia, benché questa non fosse una loro specifica incombenza.
D’altro canto, una delle prime estensioni del concetto di protezione dell’imperatore consistette nel mettere in atto la sorveglianza e, in alcuni casi, la rimozione fisica di chiunque costituisse una minaccia, reale o presunta, alla sua persona. Ogni pericolo o danno in cui incorresse il Principe era inteso come diretto contro tutto lo Stato: per questo motivo gli episodi riferiti all’impiego dei pretoriani per minacce, arresti, custodia ed esecuzioni di prigionieri illustri sono numerosi. Ma in questi casi di “sicurezza nazionale” pare che i Principi facessero affidamento soprattutto a un reparto ristretto e assai specializzato, quello degli speculatores, formato da pretoriani ma anche da legionari: tutti uomini scelti che agivano come informatori, infiltrati, sicari e agenti provocatori.
Fuori dall’Urbe i soldati del pretorio erano impiegati anche con svariate altre funzioni specialistiche slegate dai loro compiti primari. Possediamo innumerevoli testimonianze epigrafiche, provenienti sia dai municipi italici sia dalle province, di pretoriani utilizzati come stationarii, con compiti amministrativi e di controllo del territorio. L’iniziativa di istituire “stazioni di polizia” di questo tipo in Italia è ascritta dalle fonti ai primi due imperatori, Augusto e Tiberio, e in buona parte mirava a contrastare il brigantaggio endemico in alcune aree. Ma ai pretoriani erano affidati anche diversi altri incarichi, che spaziavano tra ambiti di ogni genere e talvolta potevano assumere una configurazione civile-amministrativa, più che militare. Ad esempio, nel 67 d.C. i pretoriani che accompagnarono Nerone in Grecia furono impiegati nelle prime opere di scavo destinate alla colossale opera di realizzazione di un canale sull’Istmo di Corinto; e già dalla fine del I sec. d.C. molti veterani del pretorio operavano come agrimensori, talvolta con l’incarico di appianare gravi controversie sui confini tra intere comunità, oppure prestavano i loro servigi a vantaggio della collettività in qualità di geometri, architetti, ingegneri, cartografi ed esploratori.
Come avveniva il reclutamento?
Nei primi secoli del Principato tendenzialmente le reclute del pretorio non venivano più tratte dalle legioni o da altri corpi, come durante la Repubblica, bensì erano civili di nascita libera che godevano della cittadinanza romana, i quali si arruolavano come volontari per lo più tra i 17 e i 20 anni. Ma per entrare nei ranghi privilegiati del pretorio di norma occorrevano anche una solida raccomandazione e il possesso di ottime doti fisiche.
A partire almeno dal regno di Adriano (117-138) l’ingresso nelle coorti pretorie poteva avvenire anche dopo aver svolto almeno tre anni di servizio nelle coorti urbane. Il trasferimento dalle legioni o addirittura dai corpi ausiliari era solo episodico e per lo più legato a particolari circostanze, come le guerre civili del 69. Fu soltanto Settimio Severo (193-211 d.C.) a reintrodurre l’antica pratica di concedere di prestare servizio nelle coorti pretorie solo ai legionari più forti e meritevoli.
Il possesso della cittadinanza romana restò sempre un requisito imprescindibile per l’arruolamento, seppur con alcune eccezioni. In seguito, con il cosiddetto Editto di Caracalla del 212 d.C., quasi tutti i residenti dell’impero divennero automaticamente cittadini: questo provvedimento dovette di fatto eliminare il problema alla radice.
La visita di leva e la verifica dello status giuridico e dei precedenti penali dell’aspirante pretoriano avvenivano rispettivamente durante la probatio e la inquisitio, procedure che si svolgevano al cospetto dei prefetti del pretorio. In circostanze eccezionali anche l’imperatore poteva essere presente all’arruolamento, ma di solito dovevano essere i soli prefetti a sovrintendere alle procedure di leva, su delega dell’imperatore.
Nei primi due secoli della storia imperiale le coorti pretorie erano formate in massima parte da soldati nati e residenti in Italia. Solo l’epoca antonina (II secolo d.C.) vide l’ingresso nel pretorio di un certo numero di Dalmati e Pannoni. In generale, comunque, le reclute di provenienza non italica erano arruolate di preferenza in Occidente, e solo in scarsa misura in Oriente. Negli Annales Tacito afferma che all’inizio del Principato i pretoriani provenivano per lo più da Lazio, Etruria, Umbria e dalle più antiche colonie romane della penisola. Queste regioni continuarono a fornire la maggior parte dei pretoriani italici anche nel II secolo d.C., ma ad esse nel tempo se ne aggiunsero altre, soprattutto l’Emilia e la Venezia-Istria; meno cospicuo il contributo delle regioni meridionali.
Verso la fine del I secolo d.C. ormai i pretoriani, come attesta ancora Tacito, consideravano se stessi gli unici veri soldati romani, in contrapposizione ai provinciali che militavano nelle legioni e nei reparti ausiliari ed erano spesso privi della cittadinanza romana. Alcune reclute, in realtà, provenivano anche dalle province, in particolare da quelle di più antica romanizzazione, come la Gallia Narbonese (all’incirca l’attuale Provenza), le Spagne, la Macedonia e il Norico (corrispondente all’incirca all’attuale Austria). Dopo l’apertura delle coorti pretorie a legionari di qualunque provenienza decretata da Settimio Severo, la presenza di Italici subì un vistoso tracollo, anche se l’ultimo pretoriano a noi noto era un italico, congedato nel 306 d.C. Fino alla fine del III secolo i pretoriani furono in netta prevalenza originari della Pannonia (la zona oggi compresa pressappoco tra l’Austria orientale e la Serbia nord-occidentale) e della Tracia (tra la Bulgaria meridionale e la Turchia europea) e in generale delle province danubiane. Ma conosciamo anche pretoriani provenienti dalle Gallie (l’attuale Francia) e dal Reno, dalla Dacia (Valacchia e Transilvania), da alcune province dell’Asia Minore (la Turchia asiatica), dalla Siria, dalla Mauretania, dall’Africa.
Quali vicende segnarono la storia del corpo?
La risposta a questa domanda non può che essere molto sintetica, anche perché alcune di queste vicende sono già state accennate sopra.
Innanzitutto nel 23 d.C., su iniziativa del prefetto del pretorio Seiano, Tiberio acconsentì a erigere la caserma-fortezza dei castra praetoria, tra i colli Viminale e Quirinale, lungo la via Tiburtina, dopo aver concentrato in città tutte le coorti, che sotto Augusto erano in buona parte disperse in varie località italiche.
Nel 41 d.C. alcuni pretoriani per la prima volta assassinarono il Principe a cui avevano giurato fedeltà, lo squilibrato Caligola, e ne acclamarono uno di loro gradimento, il menomato ma avveduto Claudio. Avvelenato costui dalla moglie Agrippina Minore, nel 54 le coorti guidate dal prefetto Burro acclamarono il figlio di lei, Nerone, per voltargli le spalle quattordici anni più tardi, dopo il crescendo di stravaganze e spargimenti di sangue romano di cui si era macchiato il Principe insieme al prefetto Tigellino. Le stesse coorti poco dopo eliminarono Galba, che avevano sostenuto in un primo tempo, per appoggiare invece Otone, che se ne era assicurato l’appoggio a suon di sesterzi; a costui restarono fedeli fino all’ultimo, quando il Principe si suicidò a Brescello dopo la disfatta contro il suo rivale Vitellio, e per vendicarlo si schierarono dalla parte di Vespasiano, che alla fine restò l’unico imperatore sopravvissuto alle guerre del 69 d.C.
Nel 96 d.C. buona parte dei pretoriani insorse alla notizia della morte dell’amato imperatore Domiziano, eliminato da una congiura senatoria, e costrinse con le minacce l’anziano Nerva a giustiziare gli esecutori del delitto; ma solo due anni dopo il nuovo imperatore Traiano li tolse di mezzo.
Il II secolo d.C. vide i pretoriani impegnati per lo più nelle guerre di conquista e di difesa condotte dagli imperatori antonini, finché la notte dell’ultimo dell’anno del 192 d.C. il prefetto del pretorio Leto portò a compimento, insieme ad altri cospiratori, l’ennesima congiura ai danni dell’inetto e dissipato Commodo, ultimo rappresentante della dinastia. Meno di tre mesi dopo, qualche centinaio di pretoriani ribelli assassinavano il nuovo imperatore, l’anziano e debole Pertinace, dopodiché le coorti asserragliate nei castra praetoria misero all’asta l’impero, donandolo infine al miglior offerente, il senatore Didio Giuliano. Ma non poterono rallegrarsene a lungo: il ricchissimo imperatore, che non godeva del sostegno di quasi nessuno e molto presto perse pure quello di coloro che gli avevano venduto il trono, fu fatto giustiziare da Settimio Severo, il quale subito dopo congedò con ignominia tutti i pretoriani in servizio e li sostituì con i più forti e fidati dei suoi legionari danubiani.
Anche nel III secolo d.C. le coorti pretorie e i loro prefetti ebbero un ruolo più o meno centrale nell’eliminazione di molti Principi, come Caracalla (217 d.C.), Elagabalo (222 d.C.), Filippo l’Arabo (249 d.C.), mentre per la prima volta dei prefetti del pretorio assunsero la porpora: Macrino (217-218 d.C.), lo stesso Filippo l’Arabo (244-249 d.C.), Floriano (276 d.C.), Caro (282-283 d.C.). L’ultima avventura dei pretoriani, o per lo meno di quei pochi che ancora erano di stanza a Roma, fu l’acclamazione imperiale di Massenzio (306 d.C.), che sostennero fino all’ultimo contro tutti i suoi avversari, finché Costantino non sconfisse lui e il suo esercito nella battaglia di Ponte Milvio (312 d.C.): all’indomani della vittoria, Costantino sciolse definitivamente il corpo e rase al suolo buona parte dei castra praetoria.
Marco Rocco svolge attività didattica e di ricerca presso l’Università di Padova. È autore del volume L’esercito romano tardoantico: persistenze e cesure dai Severi a Teodosio I (Libreriauniversitaria.it, 2012), del capitolo Il mestiere di soldato in Storia del lavoro in Italia: l’età romana. Liberi, semiliberi e schiavi in una società premoderna (Castelvecchi, 2016) e del contributo Ascesa sociale e ideologia professionale nell’esercito romano: alcuni casi di età imperiale in Lavoro, lavoratori e dinamiche sociali a Roma antica. Persistenze e trasformazioni (Castelvecchi, 2018).