“I partiti e la democrazia. Dall’articolo 49 della Costituzione italiana ai partiti politici europei” di Salvatore Bonfiglio e Gabriele Maestri

Prof. Salvatore Bonfiglio, Lei è autore con Gabriele Maestri del libro I partiti e la democrazia. Dall’articolo 49 della Costituzione italiana ai partiti politici europei edito dal Mulino: che relazione esiste, anche alla luce della più recente evoluzione politica del nostro Paese, tra partiti e democrazia?
I partiti e la democrazia. Dall’articolo 49 della Costituzione italiana ai partiti politici europei, Salvatore Bonfiglio, Gabriele MaestriSenza pluralismo partitico non vi può essere democrazia. I partiti politici sono un elemento costitutivo dello Stato democratico-pluralista. Occorre, dunque, che le forme di riconoscimento del fenomeno partitico e la loro disciplina siano funzionali al pluralismo, alla rappresentanza politica e alla partecipazione democratica: soltanto così i cittadini possono davvero concorrere alla determinazione della politica nazionale attraverso i partiti politici (art. 49 Cost. it.). Nello Stato costituzionale, infatti, non vi può essere una “sovranità dei partiti”, né una “rappresentanza senza partiti”. Per questa ragione le costituzioni del secondo dopoguerra hanno riconosciuto i partiti politici, ma perché questi siano realmente costituzionalizzati occorre anche che siano regolamentati. La “democrazia dei partiti” non regolata, infatti, può degenerare in partiti personali o in movimenti o partiti populisti, che per le loro finalità, attività e organizzazione si palesano apertamente in contrasto con i principi fondamentali e il reale funzionamento di una democrazia costituzionale.

Quali posizioni adotta, nei confronti del fenomeno partitico, il neonato Stato unitario?
In Italia l’influenza costituzionale dei partiti politici fu osteggiata dalla prevalente dottrina giuridica liberale, per non compromettere prima la formazione e poi il consolidamento del giovane Stato italiano. A differenza della Germania però in Italia – grazie alla maggioranza parlamentare nata dal ‘connubio’ Cavour-Rattazzi – ci fu una trasformazione della forma di governo in senso parlamentare per via consuetudinaria, come era già avvenuto in Inghilterra. Questa evoluzione favorì una interpretazione più aperta e più disposta a riconoscere l’importanza dei partiti politici per la dinamica della forma di governo, come emergeva dallo studio, in particolare, dell’esperienza costituzionale inglese. Tuttavia, si riteneva estremamente pericolosa sia qualsiasi ipotesi di partito organizzato al di fuori del Parlamento, soprattutto per la presenza di orientamenti e organizzazioni di natura repubblicana, cattolica e socialista, sia qualsiasi ipotesi di ingerenza dei partiti sulla organizzazione e sul funzionamento dello Stato. Insomma, in epoca liberale la dottrina prevalente pensava che l’unità dello Stato monoclasse potesse essere compromessa da un “eccesso” di conflittualità sociale e di pluralismo politico.

Quali vicende segnano la polemica antipartitica e la cancellazione della rappresentanza proporzionale nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato fascista?
Di certo il passaggio dallo Stato monoclasse allo Stato pluriclasse, come conseguenza dell’allargamento del suffragio, mise in crisi il modello liberale di rappresentanza senza partiti organizzati. Ancora nei primi decenni del XX secolo la classe dirigente liberale non recepì sino in fondo l’importanza di alcuni eventi che avevano cambiato in profondità la dinamica del sistema parlamentare: l’allargamento dell’elettorato attivo in base alla legge del 30 giugno 1912; il primo conflitto mondiale e le sue conseguenze sul piano politico e sociale; l’introduzione del sistema proporzionale con la legge del 15 agosto 1919. In realtà, questi eventi avevano segnato il passaggio in Italia da una Costituzione oligarchica ad una tendenzialmente democratica, con l’affermarsi dei partiti politici di massa. La polemica anti-partitica di D’Annunzio prendeva di mira il partito popolare e il partito socialista.

Infatti, l’esito delle prime elezioni politiche del dopoguerra, che si svolsero nel 16 novembre 1919 introducendo il sistema proporzionale con scrutinio di lista, comportò una svolta storica nella vita politica e parlamentare, perché favorì la formazione di un moderno sistema di partiti a base popolare. Questo mutò profondamente la composizione della Camera dei deputati: il partito socialista ufficiale e il partito popolare italiano ottennero rispettivamente il 30,7% e il 19,7% dei seggi e le tradizionali forze liberali furono per la prima volta in minoranza.

Proprio per contrastare i nuovi partiti di massa, prevalsero le tendenze favorevoli a comprimere il pluralismo politico e a cancellare la rappresentanza proporzionale. In effetti, già nel 1923, per correggere la rappresentanza politica, smantellando il rapporto proporzionale-partiti, i fascisti con l’appoggio della vecchia classe dirigente approvarono una nuova legge elettorale: la cosiddetta legge Acerbo.

Quale ruolo assumono i partiti politici nella cultura giuridica del dopoguerra?
L’inserimento dei partiti nella Costituzione doveva intendersi nel segno di un reale superamento non soltanto del regime fascista ma anche del regime liberale fondamentalmente oligarchico. Di fatto i partiti, dopo essere stati i “protagonisti collettivi” della Resistenza, si sono posti come principali artefici della Costituzione: era inevitabile che, con queste premesse, il ruolo dei partiti dovesse trovare riconoscimento nella Carta costituzionale e con una posizione specifica rispetto alle altre associazioni cui è dedicato l’art. 18 Cost. Certo non si trovò un accordo per una formula dell’art. 49 che, oltre a richiedere la pratica di un «metodo democratico» nel confronto tra forze politiche, prescrivesse lo stesso in modo esplicito anche nell’organizzazione interna.

In un contesto politico certo non favorevole alla regolazione dei partiti per legge, i partiti sono comunque stati concepiti come “corpi intermedi” privilegiati per la partecipazione politica dei cittadini nella democrazia rappresentativa; nel “libero gioco” dei partiti ha finito però per insinuarsi un “metodo oligarchico”, che ha portato via via i partiti ad allontanarsi dai loro elettori e dagli interessi generali del paese.

Quale rilettura dell’art. 49 della Costituzione avviene all’indomani degli scandali che segnano la nascita della cosiddetta ‘seconda Repubblica’?
Dopo la caduta del Muro di Berlino nell’Ottobre del 1989 e con l’inizio delle inchieste giudiziarie nei primi anni Novanta, sembravano ormai maturi i tempi per rileggere l’art. 49 della Costituzione nel segno di una valorizzazione del “metodo democratico” per una vera e propria democrazia nei partiti. Tuttavia, fino alla fine della XVI legislatura, ogni tentativo di regolazione dei partiti è fallito. Occorrerà attendere ancora molti anni prima di vedere i primi passi verso una rilettura/attuazione dell’art. 49 Cost. Si deve alla legge n. 13/2014, che ha convertito il decreto-legge n. 149/2013, voluto dal governo Letta, l’introduzione di una cornice normativa minima per la democrazia interna ai partiti. L’art. 2, comma 2, fa un espresso riferimento all’osservanza del metodo democratico, ai sensi dell’art. 49 Cost., praticando (per la prima volta in modo esplicito) l’interpretazione estensiva dello stesso. La legge stabilisce, inoltre, che i partiti – per lo meno, quelli che vogliono accedere ai benefici economici – devono dotarsi di uno statuto, redatto nella forma dell’atto pubblico e con determinati contenuti minimi: a controllare che lo statuto rispetti i requisiti di legge e a iscrivere la forza politica nel Registro nazionale dei partiti politici è la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici.

Cosa rivela l’analisi del rapporto tra partiti e democrazia in altre esperienze costituzionali?
Gli studi di diritto costituzionale comparato ci confermano che un sistema partitico ben strutturato è indispensabile per il corretto funzionamento della forma di governo, in particolare di quella parlamentare, che si caratterizza per il rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo. Anche alla luce delle più recenti vicende istituzionali del nostro Paese, si può affermare che la qualità della democrazia dipenda molto dall’equilibrio tra i poteri, dalla democrazia nei partiti e dalla selezione delle classi dirigenti di cui fa parte la classe politica. Sotto quest’ultimo aspetto, non si può trascurare l’importanza del sistema elettorale come elemento condizionante il sistema partitico e la dinamica della forma di governo. Certo, un assetto partitico meno frammentato, una migliore selezione dei rappresentanti, governi più responsabili di fronte al corpo elettorale contribuiscono a migliorare la qualità della democrazia.

Quali novità introduce la prospettiva del partito politico europeo?
Con l’adozione del Trattato di Lisbona, si è compiuto un importante passo avanti sul piano del principio democratico, attraverso forme di democrazia partecipativa diretta da parte dei cittadini e anche grazie al riconoscimento giuridico dei partiti politici come elementi strumentali privilegiati del rapporto cittadini-istituzioni e incorporati all’interno della rappresentanza democratica dell’Unione. In questa prospettiva va considerato positivamente il Regolamento n. 1141/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 Ottobre 2014, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee.

L’istituzionalizzazione della forma-partito a livello europeo può essere utile in prospettiva a potenziare il ruolo del Parlamento europeo ed aumentare la partecipazione consapevole al voto europeo.

Salvatore Bonfiglio insegna Diritto costituzionale italiano e comparato e Diritto dei partiti italiano e comparato nell’Università degli Studi Roma Tre. Tra i suoi libri Il Senato in Italia (Laterza, 20072) e Costituzionalismo meticcio. Oltre il colonialismo dei diritti umani (Giappichelli, 2016), che è stato tradotto e pubblicato in spagnolo (Tirant lo blanch, Valencia, 2017), in francese (L’Harmattan, Paris, 2018) e in inglese (Routledge, 2019). Ha fondato e dirige dal 2011 la rivista scientifica «Democrazia e sicurezza».

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