
In questo contesto, i buchi neri, e in particolare lo studio delle loro possibili proprietà quantistiche, hanno oggi assunto un ruolo fondamentale, diventando la principale fonte di progresso e idee nella ricerca di questa ineffabile teoria quantistica della gravità. Il motivo per la centralità dello studio dei buchi neri in questo contesto è presto detto: si tratta di uno dei pochi sistemi dove sia obbligatorio considerare contemporaneamente effetti relativistici ed effetti quantistici. Nella maggior parte dei sistemi fisici, infatti, si può alternativamente ignorare uno o l’altro di questi aspetti. Ad esempio, quando si deve costruire un modello di una galassia, o dell’universo intero, bisogna sì tenere conto della curvatura dello spaziotempo descritta dalla relatività generale, ma allo stesso tempo si ha a che fare con sistemi di dimensioni talmente estese che il loro comportamento microscopico e quantistico non è cruciale (un’eccezione è la descrizione delle fasi iniziali dell’universo, appena dopo il Big Bang, dove la gravità quantistica è necessaria). D’altro canto, quando per esempio si deve descrivere il comportamento delle particelle elementari, per esempio tramite il modello standard, la teoria quantistica è fondamentale, essendo queste particelle microscopiche, ma la Relatività Generale invece può essere trascurata. Queste particelle hanno infatti troppa poca massa per generare livelli apprezzabili di curvatura dello spaziotempo, che nella Relatività Generale è legata alla massa tramite le Equazioni di Einstein. In altre parole, la forza gravitazionale, in questo tipo di problemi, è trascurabile perché di diversi ordini di grandezza più debole delle altre forze coinvolte nel problema.
Vediamo quindi che le situazioni dove effetti quantistici e relativistici sono entrambi rilevanti sono rare. I buchi neri sono però un’eccezione. Sono infatti uno dei pochi sistemi dove la gravità quantistica gioca un ruolo fondamentale nella loro descrizione. Per capire perché, partiamo dall’osservazione che la gravità in generale, e la relatività generale in particolare, sono cruciali per la descrizione dei buchi neri. Di più, i buchi neri sono un fenomeno intrinsecamente legato alla Relatività Generale, essendo regioni dove la forza di gravità, e quindi la curvatura dello spaziotempo, sono tali da non permettere nemmeno alla luce di uscirne. Questo è possibile solo in una teoria dove la gravità è descritta in termini di curvatura dello spaziotempo e dove la luce ha una velocità finita, entrambe caratteristiche cruciali della Relatività Generale. Allo stesso tempo, la teoria quantistica gioca anch’essa un ruolo cruciale nella descrizione dei buchi neri. Possiamo renderci conto di questo pensando alla singolarità nascosta all’interno del buco nero, ovvero quel punto dello spaziotempo dove la curvatura dello spaziotempo diventa infinita e la Relatività Generale smette di essere utilizzabile. La singolarità, e la regione che la circonda immediatamente, è una regione microscopica dello spaziotempo, ed è quindi ragionevole aspettarsi che la teoria quantistica sia importante per la sua descrizione. Allo stesso tempo, essendo la (regione adiacente la) singolarità parte del buco nero, ed essendo essa una regione ad alta curvatura, anche la Relatività Generale sarà cruciale nella sua descrizione. È quindi necessario avere una teoria di gravità quantistica per descrivere appieno un buco nero. E di conseguenza, comprendere meglio la struttura dei buchi neri, e in particolare le loro proprietà quantistiche, è cruciale per lo sviluppo di una teoria di gravità quantistica, e quindi per la fisica teorica contemporanea.
Perché sono interessanti i paradossi dei buchi neri?
I paradossi dei buchi neri sono interessanti perché indicano punti di fondamentale incompatibilità tra le varie teorie che vengono combinate nella descrizione dei buchi neri stessi. Questo ci riporta alla domanda precedente, dove discutevo della rilevanza dei buchi neri per lo studio della gravità quantistica. Ho parlato della gravità quantistica come di una teoria che combina Relatività Generale e teoria quantistica. La difficoltà nello sviluppare questa teoria, però, suggerisce immediatamente che questa combinazione non sia una semplice somma, ma debba reggersi su un’alchimia più sofisticata, metaforicamente parlando. I paradossi dei buchi neri ci danno i confini di questa alchimia, o meglio, fuor di metafora, ci dicono fino a che punto una combinazione semplice di gravità e teoria quantistica può funzionare, e quando invece questa combinazione dà risultati inaccettabili e, appunto, paradossali. In questo senso, i paradossi dei buchi neri sono uno strumento indispensabile per la comprensione della gravità quantistica. Essendo infatti limiti sulle combinazioni coerenti di Relatività Generale e teoria quantistica, essi possono essere visti come affermazioni indipendenti da ogni specifico approccio alla gravità quantistica, come per esempio la teoria delle stringhe o la gravità quantistica a loop. Semmai, i paradossi dei buchi neri danno accesso a condizioni generali che ognuna di queste teorie deve in ultima istanza soddisfare, e forniscono quindi un importante test per le teorie stesse. Se un certo approccio alla gravità quantistica infatti non è in grado di risolvere i vari paradossi dei buchi neri, questo significa che in ultima istanza questo approccio è esso stesso incoerente, e quindi non è una buona combinazione di Relatività Generale e teoria quantistica. Al contrario, se un approccio alla gravità quantistica è in grado di risolvere, o comunque di evitare, i vari paradossi dei buchi neri, allora quell’approccio sarà quantomeno un modo accettabile e coerente di combinare Relatività Generale e teoria quantistica. Questo non significa chiaramente che quell’approccio sarà in ultima istanza corretto, ma quantomeno che non è incoerente. E questo, data la scarsità di dati sperimentali disponibili per la gravità quantistica, è già un importante risultato.
I paradossi dei buchi neri sono poi interessanti anche per un altro motivo: dando infatti limiti ultimi alle possibili combinazioni di Relatività Generale e teoria quantistica, possono anche fornire importanti informazioni sul destino di concetti fondamentali come lo spaziotempo nella gravità quantistica. In quest’ottica, il valore dei paradossi diventa spiccatamente filosofico e concettuale: prima ancora che test per un’ipotetica teoria di gravità quantistica, servono come strumento per esplorare lo status e in particolare i limiti dell’applicabilità nel contesto della gravità quantistica di alcuni dei concetti più fondamentali e basilari nella nostra comprensione scientifica del mondo, concetti quali spaziotempo, località e individualità. Ed essendo i paradossi dei buchi neri, come ho ricordato prima, in ultima istanza indipendenti dai vari specifici approcci alla gravità quantistica, anche le conclusioni che si possono trarre su questi concetti fondamentali saranno altrettanto indipendenti da specifici approcci teorici, e quindi più robuste e affidabili nelle loro implicazioni filosofiche e concettuali sulla natura dell’universo.
In cosa consiste il cosiddetto paradosso dei firewall e quali questioni solleva?
Il paradosso dei firewall è stato originariamente proposto da un gruppo di fisici composto da Ahmed Almheiri, Donald Marolf, Joseph Polchinski, James Sully, da allora noti come AMPS dalle iniziali dei loro cognomi, nel loro articolo del 2012 “Black Holes: Complementarity or Firewalls?”. Il paradosso dei firewall concerne l’esistenza di una regione interna al buco nero, nel caso quel buco nero sia un buco nero evaporante. Facendo un passo indietro, è bene ricordare che i buchi neri possono evaporare. La definizione teorica di questo fenomeno è dovuta originariamente a Stephen Hawking, che la elaborò negli ‘70 del secolo scorso. I buchi neri evaporano quindi, ed evaporano emettendo una radiazione chiamata radiazione di Hawking. Si ricordi però su questo punto che la radiazione di Hawking non è stata al momento rilevata sperimentalmente, a causa della sua bassissima temperatura che la rende pressoché invisibile. Nonostante ciò, gli argomenti teorici in favore dell’esistenza della radiazione di Hawking sono a tal punto forti che ad oggi essenzialmente quasi nessun fisico teorico dubiti davvero della sua esistenza. Inoltre, la radiazione di Hawking è stata rilevata per i cosiddetti buchi neri analoghi, ovvero liquidi in particolari stati della materia che fanno sì che si comportino come buchi neri. Per questi sistemi, un analogo della radiazione di Hawking è stato osservato, ed è un importante e molto dibattuta questione filosofica capire fino a che punto questa rilevazione possa fornire evidenza a favore della radiazione di Hawking per i buchi neri astrofisici. Detto questo, torniamo ai nostri buchi neri e assumiamo che siano evaporanti, essendo questa assunzione, condivisa da ogni approccio alla gravità quantistica e derivabile già dalla combinazione di Relatività Generale con materia quantistica, senza assunzioni sulla natura quantistica dello spaziotempo, comunque necessaria alla formulazione del paradosso dei firewall. Il paradosso dei firewall consiste nell’osservazione che la radiazione raccolta dopo molto tempo dall’inizio dell’evaporazione del buco nero dovrà essere in uno stato di entanglement quantistico, ovvero, per i nostri scopi, correlata, sia con la radiazione emessa all’inizio dell’evaporazione, per preservare le regole fondamentali della meccanica quantistica, e con l’interno del buco nero, per preservare le regole fondamentali della Relatività Generale. Abbiamo dunque una situazione dove la radiazione di Hawking è in uno stato di entanglement con due diversi sistemi, la radiazione emessa nel passato e l’interno del buco nero. Questo è però in contraddizione con un principio fondamentale della teoria dell’informazione quantistica, che descrive il comportamento dell’entanglement. Questo principio è il cosiddetto “principio della monogamia dell’entaglement”, che dice che un sistema può essere in uno stato di entanglement con un solo altro sistema, non due come nel caso del buco nero. Di conseguenza, o le regole fondamentali della meccanica quantistica o quelle della Relatività Generale devono essere false quando si studia un buco nero evaporante, pena il violare uno dei principi di base dell’informazione quantistica. Capire esattamente come questa violazione sia compatibile con la pacifica coesistenza che sembriamo osservare attorno a noi, e più in generale quali regole in particolare, e da quale teoria, vadano abbandonate, è il compito di qualunque risoluzione soddisfacente del paradosso dei firewall. Per capire la portata delle revisioni necessarie ad evitare questo paradosso, basti pensare che AMPS proposero inizialmente che la Relatività Generale venga modificata negando l’esistenza dell’interno del buco nero, sostituito da un muro di fuoco all’orizzonte degli eventi. Questo è il firewall da cui prende il nome il paradosso. Un’altra soluzione, invece, originariamante proposta da Juan Maldacena e Leonard Susskind nel loro articolo del 2013 “Cool Horizons for Entangled Black Holes”, è che tra la radiazione di Hawking e l’interno del buco nero vi sia un wormhole che rende i due sistemi in realtà diversi aspetti di un unico sistema, evitando il paradosso dei firewall ma sacrificando la nozione di località tanto cara ad Einstein. In buona sostanza, il paradosso dei firewall solleva questioni fondamentali riguardo la possibilità di combinare teoria quantistica e Relatività Generale, e ogni sua risoluzione tende a portare a significative revisioni delle assunzioni fondamentali dietro queste teorie.
Quale contributo può offrire la filosofia a tali questioni?
La filosofia può dare, a mio parere, un contributo significativo a tali questioni. È però prima di tutto importante intendersi su cosa significhi filosofia in questo contesto. C’è una sfortunata tendenza a confondere la filosofia con vaghe speculazioni dal tono fumoso e dal carattere tutto sommato vuoto. Quando parlo di filosofia, intendo una disciplina che si basa sull’analisi logica dei concetti e sull’utilizzo di argomenti rigorosi e ben formulati, idealmente secondo i canoni della logica formale. L’applicazione di questi metodi alla fisica moderna, che prende il nome di filosofia della fisica, può certamente essere utile nella comprensione dei paradossi dei buchi neri, in quanto diventa un processo di analisi degli argomenti alla base di questi paradossi che ne metta in luce le assunzioni e che riveli i concetti fondamentali che stanno dietro a ognuna di queste assunzioni. In questo senso, quindi, un’analisi filosofica di questo tipo permette di capire in maniera molto più chiara sia quale sia il punto stesso di una questione come il paradosso dei firewall, sia la rilevanza delle varie soluzioni di questo paradosso per i concetti fondamentali della scienza. Per esempio, come ho ricordato prima, un approccio molto gettonato alla risoluzione del paradosso dei firewall prevede l’identificazione della radiazione di Hawking e dell’interno del buco nero in un unico sistema. Comprendere appieno e rendere precisa questa affermazione, e in particolare chiarire in che senso questa affermazione risolva il paradosso dei firewall, è prima ancora che fisico, un compito filosofico. Non solo, ma una soluzione di questo tipo porta con sé domande fondamentali sui concetti che usiamo nella scienza moderna. Per esempio, se siamo disposti a considerare sistemi tra loro distanti come l’interno del buco nero e la radiazione di Hawking come un unico sistema, sembra che il principio di località, che dice che oggetti separati nello spazio non possono influenzarsi, vada almeno rivisto in gravità quantistica. Non solo, ma sembra più in generale che in questo contesto lo spaziotempo stesso diventi un concetto labile, privo di sostanza. Come può infatti lo spaziotempo avere senso, se entità distanti tra loro nello spaziotempo possono comunque essere identificate? La nozione stessa di individuo diventa problematica qui. Normalmente, saremmo disposti ad ammettere che una mia perfetta copia sia comunque diversa da me perchè, per esempio, ci troviamo in due luoghi diversi (sebbene i filosofi siano stati capaci di trovare casi dove si ha a che fare con copie talmente particolari che nemmeno questo criterio di separazione spaziale riesce a differenziarle). Ma se entità separate spazialmente possono comunque essere in realtà una e una sola, come possiamo applicare questo criterio per fondare un criterio di individualità? Esplorare questioni come queste, e le domande che inevitabilmente emergono dalle risposte a tali quesiti, è il compito della filosofia della fisica prima di tutto, e della filosofia in generale. E in questo senso, la filosofia ha molto da contribuire alla nostra comprensione del mondo e della fisica, per come paradossi come quello dei firewall e le sue risoluzioni ce li restituiscono.
Enrico Cinti è dottorando in filosofia presso l’Università di Urbino Carlo Bo e l’Università di Ginevra. Si occupa principalmente di filosofia della fisica, con particolare attenzione alla gravità quantistica e alla cosmologia. Oltre al libro I paradossi dei buchi neri. Una spiegazione elementare per comprendere l’universo, edito da Carocci, ha già al suo attivo numerose pubblicazioni sia su riviste di ricerca di livello internazionale, sia su riviste italiane di divulgazione.