
A chi si deve la scoperta dei neuroni specchio?
I neuroni specchio sono stati scoperti dal gruppo del professore Giacomo Rizzolatti dell’Università’ di Parma. Il gruppo di Rizzolatti aveva adottato da anni un approccio allo studio delle cellule del cervello che controllano le nostre azioni abbastanza inusuale rispetto a molti altri laboratori. Di solito le proprietà funzionali dei neuroni sono studiate in animali da laboratorio che eseguono, dopo una fase di apprendimento, dei compiti molto specifici. Questo permette agli scienziati di misurare l’attività dei neuroni in momenti specifici del compito da eseguire. A Rizzolatti e ai suoi collaboratori, però, interessava di più misurare l’attività neuronale durante movimenti spontanei, movimenti che la scimmia eseguiva anche al di fuori del laboratorio. Loro definivano questo approccio ‘clinico’. Sulla scoperta dei neuroni specchio girano un paio di storie famose. In una di queste, Vittorio Gallese, uno dei ricercatori del gruppo di Rizzolatti, entra in laboratorio con un bel gelato e si rende conto che ogni volta che lecca il gelato, il neurone della scimmia sul quale stavano registrando l’attività quel giorno, si attiva. La scimmia è immobile, in una pausa dell’esperimento, e il neurone che si attiva si trova in un’area del cervello che controlla il movimento e che quindi dovrebbe attivarsi solo quando la scimmia si muove, non quando vede Vittorio leccare il gelato. Che succede? L’altra storia è simile, ma invece di Vittorio il protagonista in questa storia è Leo Fogassi – un altro dei ricercatori del gruppo – che si rende conto che, ogni volta che lui afferra una nocciolina, il neurone motorio della scimmia si attiva, anche se la scimmia lo sta solo guardando. Mentre scrivevo il libro, mi sono reso conto che non sapevo quale delle due storie fosse vera, o se lo fossero tutte e due. Allora ho deciso di mandare una mail ai ricercatori di Parma e chiedere loro come erano andate veramente le cose. La risposta è stata illuminante. Mi hanno riferito che quelle due storie erano ‘leggende metropolitane’ e che non avevano idea chi le avesse inventate. Tendiamo ad avere questa idea che le scoperte scientifiche siano momenti epifanici, illuminazioni che ci fanno capire immediatamente tramite un’osservazione singola, meccanismi e fenomeni complessi. In realtà le cose, e purtroppo, non sono così semplici. Per esempio, nel caso dei neuroni specchio, per gli scienziati che facevano esperimenti in laboratorio era inizialmente impensabile che lo stesso neurone potesse codificare un’azione sia dal punto di vista motorio (con il soggetto che compie l’azione) sia da un punto di vista visivo (con il soggetto che guarda l’azione di un altro). Dopo molte osservazioni di risposte neuronali che per gli scienziati non avevano molto senso, e solo attraverso un processo di graduale e lenta realizzazione che spiegasse in qualche modo queste risposte neuronali apparentemente senza senso, gli scienziati cominciarono a realizzare che un fenomeno del genere fosse possibile, anche se con parecchio scetticismo. E dopo aver finalmente concepito questa idea inizialmente impensabile, il gruppo di Rizzolatti testò l’ipotesi che la stessa cellula codificasse l’azione motoria del sé e l’osservazione della stessa azione eseguita da un altro. Da lì anche l’idea di chiamare queste cellule ‘neuroni specchio’. Come se le azioni altrui fossero un riflesso allo specchio delle nostre stesse azioni.
Come funzionano i neuroni specchio?
I neuroni specchio sono cellule nervose come tutte le altre, nel senso che si attivano (attraverso un processo elettrochimico complesso chiamato potenziale d’azione) in relazione a eventi specifici. Quello che li rende particolarmente interessanti è che gli eventi che sono codificati dai neuroni specchio sono molto complessi, non sono legati ad una singola modalità (nel senso che possono essere motori, visivi, e anche uditivi), e non sono nemmeno legati all’identità del soggetto, visto che i neuroni specchio codificano azioni del sè e dell’altro. All’interno della popolazione generale dei neuroni specchio, ci sono anche sottopopolazioni con proprietà più specifiche. Per esempio la gran parte dei neuroni specchio codificano non tanto un’azione specifica, ma piuttosto l’intenzione associata all’azione. Comunque, una minoranza di neuroni specchio codifica l’azione di per sé, non l’intenzione associata all’azione. Per esempio, io posso afferrare un bicchiere per riempirlo d’acqua e bere o per metterlo in lavastoviglie. L’azione dell’afferrare il bicchiere è la stessa, ma le intenzioni sono differenti. Un’altra cosa interessante che abbiamo scoperto in questi primi decenni di ricerca sui neuroni specchio è che queste cellule non si trovano solo in sistemi neurali molto localizzati. Teniamo presente che la scoperta iniziale è stata fatta nella scimmia in un’area dove la maggior parte dei neuroni codifica da un punto di vista motorio azioni di afferramento con la mano ma anche azioni della bocca come mangiare e bere. Si è anche scoperto che espressioni facciali comunicative vengono codificate dai neuroni specchio in questa area del cervello che nella scimmia è chiamata F5. Questa è stata una scoperta iniziale importante perché ha fatto pensare immediatamente a connessioni tra i neuroni specchio e l’empatia. Comunque dopo queste osservazioni iniziali tutte legate ad un’area cerebrale specifica, adesso abbiamo dati scientifici che dimostrano che altre aree cerebrali, altri sistemi neurali, contengono neuroni specchio per altri tipi di azioni o per altri aspetti dell’azione. Per esempio, mentre i neuroni specchio in F5 codificano soprattutto le intenzioni associate all’azione, in un’area del cervello che si chiama supplementare motoria, abbiamo osservato neuroni specchio che codificano soprattutto l’inizio dell’azione. Tra l’altro l’osservazione nella supplementare motoria è stata fatta in pazienti sottoposti a chirurgia, in esseri umani. Questo studio, che abbiamo pubblicato nel 2010, è il frutto di una collaborazione tra il mio gruppo e quello del neurochirurgo Itzhak Fried all’UCLA. In questo studio, i pazienti erano pazienti epilettici che non rispondevano bene al trattamento farmacologico e che avrebbero beneficiato di un intervento chirurgico. In questi casi l’intervento ha lo scopo di rimuovere il focolaio dell’epilessia del paziente, e cioè una parte del cervello del paziente dalla quale originano le scariche epilettiche che poi si diffondono su tutto il cervello. Il problema è che non è facile individuare il focolaio dell’epilessia e che, ovviamente, il neurochirurgo vuole rimuovere solo il tessuto cerebrale patologico, non quello sano. Perciò è necessaria molta precisione. Per ottenerla quello che si fa è ricoverare il paziente in ospedale, inserire nel cervello dello stesso una serie di elettrodi che possono registrare attività neurale in molte aree cerebrali simultaneamente e poi sospendergli i farmaci affinché il paziente abbia una crisi epilettica. Gli elettrodi inseriti nel cervello del paziente rivelano l’area cerebrale del focolaio epilettico al neurochirurgo permettendo così che solo quella parte di tessuto cerebrale venga rimossa. Generalmente, gli elettrodi usati in questi casi registrano solo attività elettroencefalografica, non attività di cellule singole. Infatti, per la procedura chirurgica, l’attività elettroencefalografica è quella essenziale. Itzhak Fried, e anche altri neurochirurghi, utilizzano elettrodi che riescono a registrare anche l’attività di singoli neuroni. Questo ci ha permesso, mentre il paziente era ricoverato in attesa di avere una crisi epilettica che rivelasse il focolaio epilettico, di studiare l’attività di neuroni singoli in esseri umani, un tipo di dato scientifico estremamente raro. Naturalmente gli elettrodi vengono inseriti in questi pazienti in aree cerebrali che sono importanti per risolvere il quesito clinico del paziente stesso, non quello scientifico. Perciò avevamo registrazioni in aree dove non ci saremmo mai aspettati neuroni specchio, aree generalmente associate con epilessia e anche associate con funzioni di memoria ma non con funzioni motorie. Queste aree si chiamano temporali mediali. Sorprendentemente abbiamo scoperto neuroni specchio anche in queste aree. In quello studio avevamo chiesto ai pazienti di osservare o eseguire l’afferramento di una tazza, o osservare o eseguire espressioni facciali come sorridere o essere accigliati. In questo caso, mentre il paziente esegue l’azione, le cellule temporali mediali registrano la traccia mnemonica dell’azione eseguita, e mentre il paziente osserva un altro eseguire la stessa azione, le stesse cellule temporali riattivano quella traccia mnemonica dell’azione eseguita dal paziente stesso. Questi dati ci dimostrano che il meccanismo di ‘rispecchiamento’ che i neuroni specchio rendono possibile nel nostro cervello è un meccanismo molto ricco e complesso, che coinvolge tanti aspetti diversi delle nostre azioni e delle azioni altrui.
A quali attività presiedono?
Le prime due ipotesi sulle possibili funzioni dei neuroni specchio che sono state formulate subito dopo la scoperta avevano a che fare con il riconoscimento di azioni e con il linguaggio. Per quanto riguarda la prima, l’idea è che se nel mio cervello si attivano gli stessi neuroni che uso mentre sorrido quando vedo qualcun altro sorridere, mi è molto facile ‘riconoscere’ il sorriso sulla faccia altrui. Non devo neanche fare una dettagliata analisi visiva delle contrazioni muscolari della faccia altrui. Riconosco il sorriso ‘dal di dentro’, dal mio stesso piano motorio che uso per sorridere. L’ipotesi sul linguaggio era basata su due fattori. In primo luogo, l’area dove il gruppo di Parma ha scoperto i neuroni specchio originariamente, area F5, è un’area che è stata ipotizzata come il precursore evolutivo di un’importante area per il linguaggio nel cervello umano, l’area di Broca. In secondo luogo, l’ipotesi gesturale delle origini del linguaggio, che suggerisce che le prime forme di comunicazione che hanno preceduto il linguaggio umano fossero basate sui gesti. I neuroni specchio sembrano cellule perfettamente adeguate a consentire la comprensione reciproca di gesti. C’è anche una teoria, sulla percezione del linguaggio parlato, chiamata la ‘teoria motoria’, che ipotizza che un meccanismo attraverso il quale capiamo ciò che dicono gli altri sia quello di rievocare il piano motorio che ci permette di emettere gli stessi suoni linguistici di chi ci parla. I neuroni specchio ovviamente sembrano meccanismi neurali ideali per una teoria del genere. Nel mio laboratorio abbiamo prima dimostrato con le neuroimmagini funzionali che le aree motorie che si attivano quando parliamo si attivano infatti anche quando ascoltiamo gli altri. Poi, in uno studio successivo, abbiamo usato la stimolazione cerebrale non invasiva per interferire con l’attività di quelle aree, inducendo un deficit transitorio della capacità di comprendere, cosa che dimostra che quelle aree, seppur motorie, sono essenziali anche per la comprensione del linguaggio parlato.
Le altre due ipotesi importanti associate alle funzioni dei neuroni specchio sono le ipotesi che ritengono queste cellule essenziali per l’imitazione e per l’empatia, due funzioni tra l’altro connesse da studi psicologici che mostrano che chi tende a imitare gli altri durante interazioni sociali, tende anche a essere più empatico. Queste sono le due ipotesi sulle quali il mio gruppo ha lavorato di più negli ultimi 20 anni. Abbiamo dimostrato che l’area di Broca è essenziale per l’imitazione usando di nuovo sia le neuroimmagini funzionali che la stimolazione cerebrale non invasiva. Questi dati hanno chiaramente rinforzato anche il concetto di un continuum evolutivo dai neuroni specchi in area F5 nella scimmia ai neuroni specchio nell’uomo, importanti sia per il linguaggio che l’imitazione. Negli studi successivi sull’imitazione ci siamo chiesti quali sono i meccanismi di controllo. Noi non imitiamo in continuazione quello che fanno gli altri, quindi ci devono essere meccanismi di controllo che ci permettono di inibire l’imitazione degli altri. La capacità di imitare è essenziale sia per l’apprendimento sociale e culturale che per l’apprendimento motorio di per sé (di qui il particolare interesse anche nel mondo dello sport per i neuroni specchio).
Infine l’empatia. I neuroni specchio facilitano processi empatici attivandosi quando sentiamo ed esprimiamo emozioni e quando le vediamo espresse in altre persone. Il mio e altri gruppi hanno dimostrato che più forte è la risposta cerebrale in aree con neuroni specchio alle emozioni altrui, più si è empatici. Poi con la stimolazione cerebrale non invasiva abbiamo anche dimostrato che inibendo le aree di controllo dei neuroni specchio rendevamo i partecipanti più empatici.
Insomma, i neuroni specchio sembrano essenziali per importanti funzioni sociali, dal linguaggio all’imitazione per finire con l’empatia.
Quali deficit produce il loro cattivo funzionamento?
Vista la loro preminente funzione sociale, è plausibile che un cattivo funzionamento dei neuroni specchio possa produrre un effetto negativo sulla competenza sociale. La prima ipotesi, proposta quasi simultaneamente da un gruppo di ricercatori britannici e separatamente da Ramachandran stesso, presuppone un cattivo funzionamento dei neuroni specchio nell’autismo. Il mio gruppo ha fatto uno dei primi studi di neuroimmagini funzionali che dimostrava una riduzione dell’attività di aree cerebrali con neuroni specchio in partecipanti con autismo mentre i partecipanti allo studio osservavano e imitavano l’emotività delle espressioni facciali. Inoltre in quello studio abbiamo osservato che la riduzione di attività nelle aree con neuroni specchio era correlata alla severità del quadro clinico. Forme più gravi di autismo erano associate a riduzioni più forti dell’attività delle aree con neuroni specchio. Diversi altri gruppi hanno poi confermato il fenomeno anche se una delle difficoltà negli studi sull’autismo è l’eterogeneità dei soggetti autistici, che rende i risultati talvolta variabili da studio a studio.
In generale le malattie mentali sono associate a una ridotta competenza sociale, anche quando i sintomi più importanti sono controllati bene dai farmaci. Per esempio, pazienti schizofrenici che rispondono molto bene a farmaci antipsicotici che controllano le loro allucinazioni, hanno comunque una ridotta competenza sociale che riduce di molto la loro qualità della vita. Ci sono dati che suggeriscono un deficit dei neuroni specchio in questi pazienti. Anche in questo caso, l’eterogeneità della schizofrenia rende difficili le generalizzazioni. Ovviamente pazienti psicopatici e sociopatici hanno probabilmente un ridotto funzionamento dei neuroni specchio. I dati controllati sono ancora pochi, sia perché la scoperta è relativamente recente rispetto ai tempi lunghi della scienza, sia perché è tradizionalmente difficile studiare questi pazienti.
Infine, un’ipotesi interessante è che pazienti con disturbo funzionale del movimento possano avere qualche alterazione dei neuroni specchio. Questi pazienti hanno movimenti involontari e deficit del movimento che a prima vista sembrano di natura neurologica. Però sia l’esame neurologico che esami molto più approfonditi non mostrano nessun chiaro segno associato a malattie neurologiche. Tradizionalmente, la natura di questi disturbi è stata definita ‘psicogenica’, di natura psicologica. Un’ipotesi interessante è che questi pazienti potrebbero avere un disturbo che dissocia le intenzioni dall’esecuzione dell’azione. Viste le proprietà dei neuroni specchio, si sta cominciando ad investigare se il disturbo di questi pazienti sia dovuto a un cattivo funzionamento di questi. Tra l’altro disturbi funzionali del movimento sono molto più frequenti di quanto si immagini. Se ne parla poco solo perché non si riesce bene a catalogarli. Un’ipotesi unificante sulla genesi di questo disturbo potrebbe generare studi su trattamenti efficaci per i pazienti.
Quali prospettive di ricerca apre la scoperta dei neuroni specchio?
Una prospettiva di ricerca importante riguarda le interazioni funzionali e computazionali di processi e sistemi che sono stati concepiti fino ad adesso in modo separato. L’idea che abbiamo due modi di pensare e decidere, uno veloce, pre-riflessivo e che utilizza poche risorse cognitive, e l’altro più lento, ma più flessibile e che utilizza molte risorse cognitive è stata dominante negli ultimi anni. Questi due modi di pensare e decidere sono stati concettualizzati come sostanzialmente indipendenti. In certe situazioni usiamo il primo, in altre usiamo il secondo. Per esempio, se vedo un ciclista investito da una macchina, ho una reazione emotiva immediata, come se provassi di persona il dolore fisico dell’investito. Decidere di donare soldi ad organizzazioni filantropiche, d’altro canto, richiede di ponderare in merito a quali organizzazioni scegliere e quanto donare sulla base di considerazioni sia personali che relative all’organizzazione filantropica prescelta. Per quanto queste due situazioni sembrino intuitivamente implicare processi cognitivi e neurali molto diversi, c’è da chiedersi se in realtà in tutte e le due le situazioni le nostre reazioni, i nostri pensieri e i nostri comportamenti non siano regolati invece da interazioni complesse ma fondamentalmente stabili tra i due sistemi cognitivi. In fondo, le proprietà funzionali stesse dei neuroni specchio richiedono un continuo controllo per evitare l’imitazione involontaria e incontrollata. D’altro canto, l’input computazionale continuo dei neuroni specchio alle strutture di controllo dovrebbe anche influire su queste stesse strutture. Infatti dati recentissimi del mio gruppo mostrano che anche semplicemente osservando l’attività neurale a riposo (i partecipanti allo studio di neuroimmagini funzionali non hanno nessun compito da eseguire, sono semplicemente ad occhi aperti e fermi) dei sistemi neurali con neuroni specchio e dei sistemi neurali che controllano l’attività dei neuroni specchio e usando tecniche di intelligenza artificiale per analizzare le connessioni funzionali tra i due sistemi, si può predire il livello di empatia dei partecipanti allo studio. Questo approccio apre prospettive scientifiche sia pratiche che teoriche molto interessanti, ed è il prodotto di considerazioni oggettive sulle implicazioni della natura dei neuroni specchio.
Quali ricadute a livello scientifico, filosofico e sociale ha la scoperta dei neuroni specchio?
Dal punto di vista scientifico, la ricaduta più interessante della scoperta dei neuroni specchio sembra essere l’aver generato molte collaborazioni interdisciplinari tra neuroscienziati e altri tipi di studiosi, ispirando progetti molto creativi che probabilmente saranno illuminanti in un futuro a breve termine.
Dal punto di vista filosofico, i neuroni specchio dimostrano come il sé e l’altro non sono così separati come le culture individualistiche occidentali sembrano suggerire, implicare. Come tante culture orientali ci ricordano, siamo il prodotto delle nostre relazioni sociali con gli altri. Questo vuole anche dire che non abbiamo un libero arbitrio sfrenato e incontrollabile, perché le influenze sociali determinano tante nostre decisioni. D’altro canto, questo non nega una componente decisionale individuale, dovuta alla presenza delle strutture di controllo dei neuroni specchio.
Infine, da un punto di vista sociale, l’esistenza dei neuroni specchio dimostra che il processo evolutivo ha selezionato un meccanismo nel nostro cervello che ci rende fondamentalmente agenti sociali empatici. Siamo stati indottrinati per secoli sul fatto che la nostra natura è egoista e che dobbiamo apprendere a cooperare con gli altri e ad aiutarli. I neuroni specchio ci suggeriscono che la nostra natura è in realtà fondamentalmente empatica. Semmai, sono le influenze culturali che ci rendono egoisti. Rendersi conto della tendenza naturale che abbiamo a empatizzare con gli altri, grazie ai neuroni specchio, dovrebbe renderci un po’ più immuni da quelle influenze culturali.
Marco Iacoboni è un neurologo e neuroscienziato italiano che fa ricerca e insegna da molti anni alla University of California, Los Angeles (UCLA). È Professore presso il Department of Psychiatry and Biobehavioral Sciences della David Geffen School of Medicine dell’UCLA. Dirige inoltre il Neuromodulation Lab dell’Ahmanson-Lovelace Brain Mapping Center dell’UCLA.